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La fotografia, passione e strumento di ricerca. La collezione di lastre fotografiche di Achille Forti al Museo botanico di Padova

Claudia Addabbo

Università degli Studi di Padova claudia.addabbo@unipd.it

Rossella Marcucci

Centro di Ateneo per i Musei dell’Università di Padova

Received 02/08/2025Accepted 29/08/2025Published online 3/12/2025

Per la stesura del presente saggio si intende ringraziare: Paola Mario, Jlenia Minto, Gianluca Drago e la Biblioteca storica di medicina e botanica Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili dell’Università degli studi di Padova; il Museo Galileo - Istituto e Museo di Storia della Scienza; i revisori per i loro preziosi suggerimenti e consigli. Stante la comune responsabilità del saggio, Claudia Addabbo è autrice di: Achille Forti, Diatomee, Cimeli, Mistificazioni, Per gli amici; Rossella Marcucci è autrice di: Introduzione. Le collezioni del Museo botanico di Padova, La collezione di lastre fotografiche, Sargassi; entrambe delle Conclusioni.

Abstract

Tra le numerose ed eterogenee collezioni conservate nel Museo botanico dell’Università di Padova, si annovera la raccolta di 1705 lastre fotografiche donate con lascito testamentario dal botanico veronese Achille Forti (1878-1937), insieme alle sue collezioni botaniche e alle sezioni botanica e zoologica della sua biblioteca. Costituita da lastre di formato diverso, che ritraggono soggetti prevalentemente algologici ma non solo – una discreta quantità mostra reperti paleontologici, manoscritti, scorci paesaggistici, uomini e donne di scienza – la collezione ha un indubbio valore storico-scientifico. Da un lato, attraverso lo studio congiunto con altre fonti, quali le pubblicazioni e il materiale d'archivio, permette di approfondire e ricostruire gli interessi scientifici e culturali di Forti, in particolare quelli legati al campo dell’algologia; dall’altro è un’interessante testimonianza dell’impiego della fotografia per la ricerca botanica nonché per la comunicazione scientifica in Italia, tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento. In questa sede si intende illustrare la collezione, in relazione all’attività scientifica e ai vasti interessi che caratterizzarono la vita di Forti.

English abstract

Housed within the vast and varied collections preserved in the Botanical Museum of the University of Padua is a collection of 1705 photographic plates. These were bequeathed by the Veronese botanist Achille Forti (1878-1937), along with his botanical collections and the botanical and zoological sections of his library. The collection, consisting of photographic plates in diverse formats, primarily showcases algological subjects, yet also incorporates paleontological specimens, manuscripts, landscapes, and even men and women of science. Its historical and scientific significance is irrefutable. Through a combined analysis with complementary resources, including Forti's publications and archival documents, the collection facilitates a more thorough comprehension and reconstruction of his scientific and cultural interests, particularly those related to the field of algology. Additionally, it offers valuable insight into the application of photography for botanical inquiry and scientific dissemination in Italy during the late 19th and early 20th centuries. This paper aims to illustrate this collection by exploring its connection to Forti's scientific work and the extensive range of interests that shaped his life.

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Introduzione. Le collezioni del Museo botanico di Padova

Il Museo Botanico dell’Università di Padova raccoglie numerose collezioni legate all’insegnamento delle scienze e alle ricerche che si svolsero nell'arco di quasi due secoli [Minelli, 1995]. Accanto a semi, frutti e legni, vi sono tavole didattiche e modellini costruiti nella metà dell’Ottocento e raffiguranti funghi e sezioni di strutture vegetali. Vi è poi l’Erbario che, con oltre 500.000 esemplari di piante essiccate, fa sì che il Museo sia una ricchissima fonte d’informazioni, in alcuni casi, l’unica che ci sia rimasta. Infatti, bonifiche effettuate nel territorio, disboscamenti legati alla creazione di nuove aree per costruzioni o campi per l’agricoltura, realizzazione di strade, parcheggi, campeggi, stabilimenti balneari e molto altro ancora, hanno determinato la rarefazione o, in alcuni casi, la scomparsa, di numerose specie la cui presenza in epoche passate è testimoniata dai campioni d’erbario.
Tra le collezioni, per la non comune presenza in altre strutture italiane ed estere oltre che per la particolarità, si possono citare le «Centurie» ideate da Raffaello Sernagiotto (1858-1935) agli inizi del Novecento e la «Xylotomotheca» di Adriano Fiori (1865-1950). Le prime raccolgono semi o frutti delle 1.000 specie che più comunemente si potevano osservare, oltre un secolo fa, nelle campagne italiane come piante infestanti o coltivate [Dalan, Marcucci, 2016]; la seconda, invece, è formata da sezioni ultrasottili longitudinali e trasversali di alberi e arbusti, realizzate da Fiori e dai suoi collaboratori a partire dai primi anni del Novecento [Cuccuini, 2002].
Per l’interesse storico-scientifico che rivestono, le collezioni del botanico veronese Achille Forti (1878-1937), donate con lascito testamentario nel 1937 [ANVr, L. Scolari, n. rep. 4620], occupano senza dubbio un posto d’importanza primaria. L’erbario algologico consta di 107 pacchi con oltre 43.000 campioni ed è una delle collezioni algologiche più cospicue in Italia: comprende alghe appartenenti principalmente alle classi delle Rodoficee, Feoficee e Cloroficee, provenienti da tutto il mondo e raccolte tra il 1821 e il 1936 da Forti stesso, da colleghi, da raccoglitori eraccoglitrici, durante viaggi oceanografici, o precedentemente inclusi in altre collezioni. Oltre agli exsiccata, sui fogli si trovano illustrazioni, fotografie, vetrini microscopici, lettere e anche opuscoli a stampa, materiali molto eterogenei che custodiscono numerose informazioni storico-scientifiche.
Forti raccolse anche circa 10.000 campioni di fanerogame provenienti soprattutto dall’area veronese, oggi conservati all’interno dell’Herbarium patavinum. È presente inoltre una ricca collezione di circa 10.000 preparati microscopici con diatomee provenienti da tutto il mondo, organizzati in 53 cartelle di cartoncino. Alcuni furono realizzati da Forti a partire da materiale raccolto personalmente o ricevuto, altri – la maggior parte – da colleghi o fanno parte di serie in circolazione al tempo (come quelle di Tempère e Peragallo, Klavsen, Van Huerck, Smith, Möller) [Tolomio, 1995] [Addabbo, 2024]. Infine si segnala una raccolta di campioni di alghe calcaree, prevalentemente Corallinacee e Litotamniacee, organizzati in 32 scatole di cartoncino con due etichette, una che li attribuisce al lascito Forti e l’altra, apposta dal botanico stesso e a lui intestata, con l’indicazione a penna della specie. All’interno di ciascuna scatolina c’è un foglietto che reca alcune informazioni: la specie, la collezione di appartenenza o il nome del raccoglitore e talvolta la data e il luogo di raccolta. Nella maggior parte dei casi si tratta di campioni della collezione del botanico belga Jean C. A. Chalon (1846-1921), raccolti tra il 1902 e il 1903 in diverse località dei Pirenei francesi [Addabbo, 2024].

Achille Forti

Nato a Verona il 28 novembre 1878, in una benestante e nota famiglia ebrea, Israele Achille Italo Forti (Fig. 1) si formò e si laureò in scienze naturali presso l’Università di Padova, con alcuni tra i maggiori naturalisti del tempo, come il micologo Pier Andrea Saccardo (1845-1920), l’algologo Giovanni Battista De Toni (1864-1924), lo zoologo Giovanni Canestrini (1835-1900), il geologo Giovanni Omboni (1829-1910), il mineralogista Ruggero Panebianco (1848-1930). Non lavorò all’interno dell’università, ma preferì condurre i suoi studi e le sue ricerche autonomamente, nel suo palazzo a Verona, dove aveva allestito una ricchissima biblioteca [BSPM, Fondo Forti, 101/3 - Forti, A.6A-3], sempre aperta ad amici e colleghi, e un laboratorio all’avanguardia, dotato della strumentazione microscopica e fotografica fondamentale per i suoi studi. Con l’Università e l’Istituto di Botanica di Padova ebbe comunque un legame intenso e costante nel tempo: oltre a svolgere per dieci anni, dal 1926 al 1936, un corso di libera docenza [Addabbo, 2024, p. 26, 89], restò sempre in contatto con Saccardo, suo maestro e prefetto dell’Orto patavino negli anni 1879-1915, e poi con i suoi successori Augusto Béguinot (in carica tra il 1915 e il 1921), e Giuseppe Gola (dal 1921).

Fin da studente, sotto la guida di De Toni, i suoi interessi si focalizzarono sul regno delle alghe, marine e d’acqua dolce, con una particolare predilezione per le diatomee. Dagli studi su quelle allora diffuse nei luoghi d’infanzia – come Diatomee di Valpantena (1898) e Contributo alla conoscenza della florula ficologica veronese (1898) – all’interesse per i depositi terziari delle aree di Bergonzano (Emilia Romagna), Marmorito (Piemonte), Licata (Sicilia) e altri – come si legge per esempio in Pyxilla Squinaboli. Nova species fossilis diatomacearum (1908) e nelle Contribuzioni diatomologiche XIII (1913) – i suoi contributi alla diatomologia attraversarono tutta la sua vita [Forti, 1926] [Forti, 1937]. Grazie alla fitta rete di corrispondenze e scambi con botaniche e botanici, naturaliste e naturalisti e istituzioni del tempo, nonché attraverso i propri viaggi, ebbe modo di studiare campioni di alghe provenienti da varie parti del mondo, contribuendo in modo determinante alla conoscenza della vegetazione algale del pianeta

Fig. 1 - Giannantonio Bressanini, Forti, Achille Italo, 1920 ca., stampa fotografica b/n, 23,7x17,9 cm, BSPM, IB.PP.84.

L’intensa attività scientifica di Forti lo portò a collezionare cospicuo materiale algologico – tra campioni, preparati microscopici e materiale grezzo – e una ricca letteratura, da tutto il mondo. Quando, nel 1935, scrisse le sue volontà testamentarie, decise di destinare le sue collezioni botaniche e i suoi opuscoli e volumi botanici e zoologici all’Istituto Botanico patavino, nel quale si era formato [ANVr, L. Scolari, n. rep. 4620]. Giuseppe Gola, allora prefetto dell’Orto botanico, accolse con piacere e gratitudine il dono fatto dal collega e, durante l’adunanza del 6 giugno 1937 della Sezione Veneta della Società Botanica Italiana, ai soci giunti per visitare e ammirare le collezioni del «compianto consocio Achille Forti» così ne descrisse la consistenza [Gola, 1937, p. 608-609]:

  1. Collezione diatomologica di circa 10.000 preparati microscopici riguardanti specie ordinate sistematicamente; per la massima parte tali preparati provengono da collezioni edite da autori diversi.
  2. Collezione diatomologica di circa 3.000 preparati microscopici riguardanti specie ordinate per provenienza; anche questi provengono per la massima parte da editori diversi e riguardano le più svariate regioni del globo, dalla Islanda alle Isole Kerguelen.
  3. Grande erbario di Alghe conservate su carta, ordinato sistematicamente e comprendente circa 10.000 esemplari. Esso contiene molto materiale di raccolte personali di A. FORTI, ma anche, si può dire, tutte le collezioni di exsiccata edite da Rabenhorst in poi.
  4. Erbario algologico di Ardissone di circa 5.000 esemplari.
  5. Le collezioni di preparati riguardanti gli studi personali di A. FORTI e abbondante materiale studiato e da studiare. Alcune raccolte riguardanti la Libia verranno presto studiate.
  6. Una ricca collezione di depositi fossili di Diatomee in parte studiate nei lavori sui depositi terziari, in parte ancora da studiare.
  7. Fa pure parte della collezione algologica una non piccola serie di campioni di Corallinacee e Litotamniacee in scatole, nonché una bella serie di grossissimi esemplari di specie diverse di Sargassi.
  8. Raccolta di 400 negative di grandissimo formato, riguardanti l’illustrazione del gen. Sargassum, dal FORTI stata preparata.
  9. Biblioteca algologica formata da una grande miscellanea di circa 8.000 numeri riguardanti quanto si è pubblicato di algologica negli ultimi 50 anni, nonché un complesso di circa 400 volumi comprendente le più importanti opere di algologia.
  10. Biblioteca di Botanica generale, formata da oltre 6.000 opuscoli e di 2.500 volumi comprendenti opere di Botanica generale, ma sopratutto collezioni complete di riviste di Botanica e di Idrobiologia.

Oltre alle collezioni algologiche e alla biblioteca, nell’elenco si legge di «400 negative di grandissimo formato» che ritraggono campioni di alghe del genere Sargassum. In realtà le lastre collezionate e donate da Forti erano molte di più, come si legge dal documento della «Donazione del compianto Gr. Uff. Dr. Achille Forti a favore dell’Istituto di Botanica della R. Università di Padova» [BSPM, Fondo Forti, 101/3 - Forti, A.6A-3]:

Collezioni di negative di fotografie scientifiche, di cui di particolare rilievo la raccolta di negative di sargassi - in formato grande.

Le collezioni sono così costituite:

  1. da 60 scatole contenenti 720 negative di microfotografie di alghe varie.
  2. da 18 scatole contenenti 108 negative 27 x 40 di sargassi.
  3. da 50 scatole contenenti 300 negative di sargassi.

La collezione di lastre fotografiche

Oggi le lastre fotografiche della collezione Forti sono conservate in 175 scatole in cartone originali (Fig. 2), molte delle quali riportano sul coperchio l’etichetta «Algarium A. Forti ipse legavit a. 1937», in riferimento alla donazione all’Ateneo di Padova [Antiga, Marcucci, 2015] [Tolomio, 1995]. Sono tutte lastre a gelatina bromuro d'argento, alcune delle quali ortocromatiche, extra rapide o a rapidità media; per la maggior parte prodotte dalla ditta milanese Michele Cappelli e da The Imperial Dry Plate Co. Ltd. di Cricklewood (Londra), ve ne sono anche di altra provenienza, come la belga Gevaert o la tedesca Agfa Isolar.

Fig. 2 - Alcune scatole di lastre fotografiche di diverso formato e ditte, MBUPd, Collezione lastre Forti.

Le lastre, 1705 in tutto, hanno dimensioni che vanno da 9x12 cm, le più piccole, a 30x40 cm per quelle più grandi; mentre le prime rappresentano quasi esclusivamente le diatomee, le ultime contengono soprattutto immagini di sargassi. Di queste soltanto la «collezione di negative fotografiche sul gen. Sargassum di grande formato» compare nell’inventario dell’Orto del 1939, con un valore assegnato di 1.000 lire e numero d’ordine progressivo 5520 [BSPM, Inventario Orto botanico, 1939, fol. 276].
Risalenti all’incirca ai primi trent’anni del Novecento, le lastre sono in larga parte a tema botanico (1390), sebbene 315 lastre ritraggano soggetti eterogenei: uomini e donne di scienza, formazioni geologiche, reperti paleontologici, manoscritti e altro. In un’epoca in cui la fotografia si stava diffondendo sempre più nella pratica scientifica come nella vita quotidiana, questa collezione rivela l’interesse di Forti per la nuova tecnica, nonché la sua conoscenza e padronanza anche della strumentazione, per finalità di studio così come per altri interessi. Tra le prime fotografie realizzate ci sono quelle per la tesi di laurea, discussa nel luglio del 1900, dal titolo Ricerche anatomiche intorno ad alcuni micocecidi, in cui tratta le formazioni cecidologiche provocate da agenti fungini, illustrandole mediante 22 tavole con 25 fotografie e 7 disegni, realizzate personalmente e ancora oggi presenti nella copia conservata presso l’Archivio Storico dell’Università di Padova [ASUPd, 335/E «Forti Achille», Tesi di laurea; Addabbo, 2024, p. 44-45]. I negativi di quelle fotografie sono conservati in due scatole della collezione, di formato 9x12 cm e 18x24 cm, recanti la scritta «Anatomia patologica dello Smyrnium Olusatrum 1900».

Alla luce degli studi recentemente condotti sull’attività scientifica e sui molteplici interessi e iniziative culturali che videro Forti attore, se non promotore, è possibile individuare all’interno della collezione – sia tra le lastre ‘botaniche’ sia tra le altre – dei raggruppamenti tematici e delle possibili letture e interpretazioni.

Diatomee

Come suddetto, per tutta la vita Forti si interessò alle diatomee, alghe unicellulari dalle affascinanti e simmetriche geometrie, alle quali dedicò numerosi studi nel corso degli anni [Forti, 1926] [Forti, 1937]. Alla luce di questo si comprende la presenza all’interno della collezione di lastre di 22 scatole della ditta «The Imperial Dry Plate Co. Ltd.» di Cricklewood (Londra), che ritraggono diatomee fossili. Sulla maggior parte delle scatole di lastre è apposta una piccola etichetta con la scritta «A. FORTI: Diatomaceae tertiariae Italicae: N. …», che permette di ricostruire la serie di immagini che ritraggono diatomee fossili d’Italia realizzata dal botanico. La stessa etichetta si trova anche su diversi vetrini con preparati microscopici conservati nella diatomoteca di Forti: ciò ha reso possibile il collegamento tra alcune di queste lastre e il preparato corrispondente: casi esemplari sono i generi Coscinodiscus C.G.Ehrenberg e Pyxilla Greville, oggetto di studio da parte di Forti in diverse pubblicazioni [Forti, 1908] [Forti, 1909] [Forti, 1913], corredate da tavole con fotomicrografie realizzate da lui. La Biblioteca storica di medicina e botanica Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili, inoltre, conserva nel fondo Forti anche il materiale preparatorio per la stesura e pubblicazione di alcuni suoi saggi: un esempio è costituito dalle Contribuzioni diatomologiche XIII (1913), delle quali si conservano il manoscritto, le bozze delle tavole e i ritagli di fotomicrografie con i quali furono realizzate (Fig. 3a, 3b, 3c). Questo materiale è utile alla comprensione della prassi fotografica e di ricerca di Forti: su molte lastre con le diatomee fossili è scritta di suo pugno, in alto, la località di provenienza – Marmorito (Piemonte), Bergonzano e Montegibbio (Emilia Romagna), Licata e Grotte (Sicilia) – e, in basso, la specie. Ciò permette di collegare la fotografia non solo al preparato ritratto, conservato nella diatomoteca, ma anche alla pubblicazione in cui è trattato, se corredata da tavole fotografiche. A ricostruire questo nesso contribuisce l’ottimo stato di conservazione della maggior parte dei preparati, che consente di osservarli ancora oggi al microscopio. In alcuni casi è possibile, dunque, risalire al campione specifico studiato da Forti, ricostruendo così l’iter completo dall’osservazione alla rappresentazione ed entrando nel processo visuale della pratica scientifica di uno scienziato del primo Novecento [Addabbo, 2024, p. 46].

Fig. 3a - Achille Forti, Triceratium, lastra fotografica negativa, 9x12 cm, MBUPd, Collezione lastre Forti.

Fig. 3b - Ritaglio stampa fotografica, materiale preparatorio per la tavola XII delle Contribuzioni diatomologiche XIII, BSPM, 103/1-Forti, A.6B-2.

Fig. 3c - Achille Forti, Bozza della Tavola III delle Contribuzioni diatomologiche XIII, BSPM, 103/1-Forti, A.6B-2.

Oltre alle lastre che ritraggono diatomee fossili, alcune scatole conservano negativi con diatomee recenti, spesso prelevate da campioni di alghe più grandi: è il caso delle diatomee raccolte insieme ad altro materiale fitoplanctonico dalla Regia Nave «Liguria» nel Mare di Arafura e nel Golfo di Siam (Oceano Pacifico), durante il viaggio di circumnavigazione diretto dal Duca degli Abruzzi dal 1903 al 1905 [De Toni, Forti, 1916]. Altri esempi sono le «Alghe di Australasia», raccolte nel 1920, oppure alcune diatomee pescate ad Abano, famosa località termale in provincia di Padova; tutte sono conservate in scatole di 9x12 cm.

Se la maggior parte delle lastre riproduce preparati microscopici con diatomee, un numero ridotto mostra tavole illustrative con diatomee, tratte da altre pubblicazioni: al 1917 risalgono tre scatole di lastre di formato 21x27 cm che riproducono tavole con materiale diatomologico proveniente dalle spedizioni della Nave Gazellelungo la costa occidentale africana, tra il 1874 e il 1876, e della Nave Belgica in Antartide, tra il 1897 e il 1899.

Questo primo gruppo di lastre, pur condividendo il soggetto, presenta una certa eterogeneità e varietà nei formati, nelle date, nelle finalità. È, dunque, un interessante materiale di ricerca, che, letto insieme con le fonti d’archivio e con le pubblicazioni, da un lato fornisce ulteriori informazioni sugli studi algologici di Forti, permettendo di individuare i preparati da lui esaminati – ancora oggi possibile materiale di studio; dall’altro favorisce la comprensione e l’analisi dell’uso della foto(micro)grafia come strumento di indagine scientifica, prima che di comunicazione. Come aveva sostenuto il botanico marchigiano Francesco Castracane degli Antelminelli (1817–1899) – che Forti conosceva bene per i suoi lavori – l’immagine su lastra di vetro poteva essere più nitida e dettagliata di quella fornita dal microscopio durante l’osservazione [Castracane, 1869, p. 74-79], con il pregio di poter essere osservata anche in un secondo momento, in condizioni più stabili e pratiche. Non è da escludere, quindi, che in alcuni casi anche Forti preferisse osservare e studiare la fotomicrografia al posto del preparato stesso, visti gli innumerevoli e infinitesimali dettagli che caratterizzano le diatomee e che sono fondamentali per la determinazione delle specie.

La presenza delle lastre negative, dei positivi e delle tavole corrispondenti permette, inoltre, di comprendere il livello di conoscenza e padronanza della tecnica fotografica raggiunto da Forti: dallo scatto fino alla realizzazione della tavola illustrativa, ricorrendo, talvolta, anche al ritocco. Forti riteneva le fotografie fondamentali per comunicare i risultati delle sue ricerche: l’immagine fotografica era un medium comunicativo complementare al testo e poteva rivelarsi più accurata di qualunque disegno, come il naturalista veronese Abramo Massalongo (1824-1860) aveva sostenuto nel suo Saggio fotografico di alcuni animali e piante fossili dell’agro veronese del 1859, preannunciando l’importanza che la fotografia avrebbe avuto nella trattazione scientifica. Se «con la fotografia gli originali si moltiplicano e si sottopongono allo sguardo di tutti» [Massalongo, 1859, p. 6], i testi corredati da tavole fotografiche spiegano mostrando gli esemplari, gli oggetti trattati.

In un’epoca – gli anni tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento – in cui la fotografia stava delineando il proprio ruolo all’interno della pratica scientifica e botanica, in Italia e non solo [Wilder, 2008] [Zannier, 2009] [Burbridge, 2015] [Addabbo, Casati, 2022] [Addabbo, 2023], Forti è uno scienziato che conosce la tecnica fotografica, ne individua le potenzialità e la usa per la ricerca e la divulgazione scientifica.

Sargassi

Il gruppo più cospicuo della collezione, con 63 scatole e quasi 550 pezzi, è rappresentato dalle lastre che ritraggono alghe del genere Sargassum Grunow (Fig. 4). Di formato eterogeneo, 21x27, 24x30 e 30x40 cm, sono suddivisibili in tre gruppi: il primo e meno cospicuo (8 scatole) ritrae campioni dell’algario di Giovanni Battista De Toni, il secondo di Albert Grunow (35 scatole) e il terzo della raccolta Piccone-Forti (20 scatole). Solo alcuni dei campioni ritratti nelle lastre sono presenti nell’algario di Forti: in diversi casi, pur non essendovi corrispondenza tra l’exsiccatum e la fotografia, i dati riportati sui cartellini sono gli stessi, lasciando dedurre che il materiale provenisse dalla stessa campagna di raccolta e che circolasse tra colleghi [Antiga, Marcucci, 2015, p. 31].

Fig. 4 - Achille Forti, Campione di Sargassum ilicifolium Ag. var. duplicata J. Ag., dalla collezione algologica di G.B. De Toni, lastra fotografica negativa, 21x27 cm, MBUPd, Collezione lastre Forti.

De Toni e Grunow erano due noti algologi del tempo. Il primo, laureato in scienze naturali a Padova con il micologo Saccardo, a differenza del suo maestro, si dedicò subito allo studio delle alghe, intraprendendo nel 1889 (e fino al 1905) la pubblicazione di una Sylloge algarum hucusque cognitarum in cui fissò lo stato dell'arte della disciplina fino ai suoi tempi. Il secondo era un chimico tedesco che dedicò buona parte della sua vita allo studio delle diatomee, trattandone la tassonomia e descrivendo migliaia di specie. Ma il suo interesse riguardò anche altri gruppi di alghe, evidenziando la sua profonda conoscenza della morfologia e della sistematica di questo gruppo di organismi.

Antonio Piccone (1844-1901) era stato allievo di Giuseppe De Notaris (1805-1877) e si era appassionato e specializzato nello studio delle alghe. Aveva ricevuto e studiato campioni algologici provenienti da diverse spedizioni oceanografiche – come il viaggio di circumnavigazione compiuto dalla nave della Marina Italiana «Vettor Pisani» tra il 1882 e il 1885 – diventando un punto di riferimento per la disciplina in Italia. Forti acquisì il suo algario [AMBUPi, Fondo Bottini, Lettera da Forti a Bottini, 10 maggio 1920] incorporandolo nel proprio e contrassegnando i campioni con il timbro «Herb. Piccone-Forti».

Nella Biblioteca Pinali-Marsili si conservano cinque album di fotografie che ritraggono campioni d’erbario del genere Sargassum: quattro recano impressi sulla costa, in alto, la dicitura «A. Forti, Sargassi» e, in basso, il numero del volume e l’intervallo di lettere dell’alfabeto relativo alle iniziali delle specie raccolte all’interno dei singoli volumi; il quinto, molto più snello, presenta soltanto un’etichetta di carta incollata con la scritta «Forti, Sargassi». Gli album raccolgono i positivi delle lastre negative su menzionate, molto probabilmente giunti sciolti nell’Istituto botanico, insieme ai manoscritti e ai volumi del lascito Forti, e organizzati successivamente in questo modo, per una migliore conservazione e futura consultazione.

Non è nota la finalità di una così ingente quantità di riproduzioni fotografiche di campioni del genere Sargassum, stampate oltre che in negativo, che illustrano materiale proveniente da tre algari. Sebbene Forti avesse trattato questo genere di alghe in diversi studi, non vi dedicò mai un volume o saggio specifico [Forti, 1926] [Forti, 1937].

Al di là delle finalità e intenzioni dell’algologo, questo gruppo di fotografie risulta molto interessante per la ricostruzione della storia dell’algario di Forti: le immagini mostrano l’aspetto di alcuni exsiccata nella loro forma originaria, prima di essere inseriti nella collezione di Forti, o della riorganizzazione successiva alla donazione all’Istituto. È molto probabile che Forti – o qualcuno dopo di lui – sia intervenuto in un secondo momento ad accorpare diverse collezioni, prima separate, o solo ad affiancare o sovrapporre alcuni campioni della stessa specie, talvolta provenienti dalla medesima raccolta. Ciò spiegherebbe anche perché alcune fotografie ritraggono campioni oggi conservati nell’Algario e altre no.

Cimeli

Tra le lastre che ritraggono soggetti di argomento ‘non botanico’ c’è un gruppo di scatole di formato 18x24 cm della ditta Cappelli, ortocromatiche extra rapide adatte per interni, recanti le scritte «1929 – Paletnologia Veronese – Raccolta I riproduzioni», «1929 – Paletnologia Veronese – Raccolta II riproduzioni», «1929 – Paletnologia Veronese - Raccolta III riproduzioni», «1929 – Riproduzioni tavole paletnologiche Pigorini, Osten Sacken, Pellegrini, Vincenzo de’ Stefani e Stefano de Stefani», «1929 – Ritratti Paletnologi – Manoscritti G. Arduino – Scalucce – Ca’ de Pèr – Mte Loffa (fot. dal Fabbro)», «1929 – Ferri Chirurgici Romani di Via Paradiso – Drago dell’Aldrov. (Di Carpi)». Le lastre ritraggono per la maggior parte reperti paletnologici rinvenuti nel territorio veronese e conservati nel Museo di Storia Naturale di Verona, tavole illustrative, effigi di paletnologi e luoghi delle scoperte. Alcuni esempi sono: gli strumenti chirurgici trovati in un sepolcro romano a Verona nel 1910; reperti di vario genere trovati da Carlo Cipolla (1854-1916) nella stazione preistorica di Lavagno San Briccio nel 1883; reperti archeologici di Monte Gazzo (1909), Valeggio e Bovolone (1885), Poiano e Soave (1914); reperti vari dalle Stazioni litiche di Breonio (1876) e i ritratti di Stefano De Stefani (1822-1892) e Arrigo Balladoro (1872-1927), che li trovarono; il ritratto di Abramo Massalongo (1824-1860) e alcuni suoi fossili; il ritratto di Gaetano Pellegrini (1824-1883) e alcune tavole che raffigurano pugnali e ornamenti trovati nel Sepolcreto di Povegliano Veronese (1878). Una parte meno cospicua raccoglie oggetti custoditi nella Biblioteca Civica di Verona, come alcuni manoscritti del geologo Giovanni Arduino (1714-1795) e l’edizione di Michelangelo Minio (1872-1960) di un erbario del XVIII secolo attribuito a Sebastiano Rotari (1667-1742).

A prima vista difficilmente collocabile nell’attività scientifica di Forti, questo materiale si è rivelato connesso alla Prima Esposizione Nazionale di Storia della Scienza organizzata a Firenze nel 1929, da Andrea Corsini, Piero Ginori Conti, Antonio Garbasso e Giorgio Abetti con l’obiettivo di mostrare il ‘primato’ storico dell’Italia nelle scienze [Addabbo, 2025].

Il Museo Galileo di Firenze, nell’archivio fotografico dell’Esposizione del 1929 – disponibile anche online [AMG, https://bibdig.museogalileo.it/tecanew/opera?bid=6400] – conserva cento fotografie relative alla sala 9 del pianterreno del Palazzo delle Esposizioni, dedicata ad alcune città venete, tra le quali Verona.

Fig. 5a - Achille Forti, Oggetti chirurgici di un sepolcro romano, via Paradiso, 1910, 1929, lastra ne­gativa, 18x24 cm, MBUPd, Collezione lastre Forti.

Fig. 5b - Achille Forti, Strumenti chirurgici trovati in un sepolcro romano di Verona (Via Paradi­so) nel 1910: apribocca; imbuto; falcetto; forbici per amigdale, stampa fotografica b/n, 16x23 cm, 1929, AMG, Raccolte fotografiche Esp29.

Sono montate su passepartout in cartoncino grigio, ma soltanto sul cartellino della fotografia «Pugnali eneolitici. Pojano e Soave, 1914» compare il nome di Achille Forti, mentre le altre non hanno alcuna indicazione relativa all’autore. Attraverso il confronto con il gruppo di lastre su menzionato è stato possibile attribuire tutte le fotografie a Forti (Fig. 5a, 5b).

In una lettera inviata dal direttore del Museo di Storia Naturale di Verona Vittorio Dal Nero (1862-1948) a Vittorio Fainelli (1888-1968), Direttore della Biblioteca Civica, si legge che dal «Civico Museo di Scienze Naturali di Verona e Galleria d’Arte Moderna» sarebbero stati inviati: «I - N. 1 plastico figurante il gruppo dei Monti Lessini con indicazione delle Officine preistoriche del Comune di Breonio (il plastico misura m. 1 di lunghezza X cm 80 di larghezza). II - N. 100 fotografie rappresentanti i cimeli dell’epoca preistorica. Queste fotografie sono divise per gruppi in 20 quadri, dei quali N. 10 sono della misura di cm 70 x 60 e N. 10 della misura di m 1 x cm 80» [BCVr, Fondo Fainelli, Carteggio, B.1546]. Nella Guida all’Esposizione queste fotografie non sono menzionate [Guida, 1929] e non se ne conserva un elenco né alla Biblioteca Civica di Verona né al Museo Galileo. Su una scheda dell’indice topografico dell’Esposizione però si legge: «Verona / Mus.Sc.Natur. / 100 fotogr. rappresentanti i cimeli dell’epoca preistorica. Sono divise per gruppi in 20 quadri, dei quali 10 sono di cm. 70x60 e 10 di m. 1×0.80. Le fotogr. sono di Stegagno G., A. Massalongo, A. Forti, e Quintarelli» [AMG, Esp29 - Indice topografico].

Incaricato insieme all’amico Luigi Messedaglia (1874-1956) di costituire il Comitato locale, con il compito di fare una ricognizione e selezionare il materiale storico-scientifico rappresentativo della grandezza passata e del ‘progresso’ delle scienze a Verona, da esporre nel 1929 [BCVr, Fondo Messedaglia, Carteggio, B.1014; AGM, Fondo Corsini, Carteggio I-II], Forti aveva scelto personalmente alcuni ‘cimeli’ del Museo di Storia Naturale di Verona e della Biblioteca Civica. Trattandosi in gran parte di reperti archeologici e manoscritti, delicati da trasportare, il Comitato locale, secondo le indicazioni di quello Esecutivo, aveva optato per inviare a Firenze delle riproduzioni fotografiche. Come si legge negli appunti presi durante un’adunanza del Comitato «Quintarelli: relazione sul materiale preistorico; Forti si offre di eseguire le fotografie» [BCVr, Fondo Fainelli, Carteggio, B.1546]. Le fotografie di Forti non sono semplicemente una riproduzione degli oggetti, ma assumono in questo contesto il ruolo di oggetti scientifici esse stesse, esposte al posto del ‘cimelio’, del ritratto, del manoscritto, che per vari motivi non potevano essere trasportati e mostrati al pubblico. Il confine tra ‘immagine dell’oggetto’ e ‘nuovo oggetto’, in casi come questo, diventa sempre più labile: la fotografia – allora e a maggior ragione negli anni successivi – può essere guardata e considerata non soltanto come effigie dell’oggetto raffigurato, ma anche come un oggetto autonomo, con uno statuto ontologico proprio, da studiare sotto diversi aspetti.

In occasione dell’Esposizione del ‘29, il compito di narrare la storia della scienza veronese, la ‘grandezza’ della città fu affidato anche alle fotografie: alcuni reperti – altrimenti inamovibili – ebbero così la possibilità di uscire dalle sale del Museo Civico di Storia Naturale di Verona e di mostrare il proprio valore storico-scientifico al pubblico, pur nella tutela della propria conservazione.

Mistificazioni

L’attenzione e l’interesse storico di Forti per le collezioni museali, veronesi e non solo, in alcuni casi si interseca con la curiosità verso oggetti e pratiche al limite tra scienza e mistificazione. È il caso delle ricerche su draghi, basilischi e pietre cobra.

Al 1928 risalgono due scatole di lastre di formato 13x18 cm, una della ditta Cappelli e l’altra della belga Gevaert, che riportano le seguenti scritte: «I Draghi del Museo di Verona» e «Le figure dei Draghi», la prima, «Il Drago del Museo Civico di Storia Naturale [di Venezia]» e «Riproduzioni dal Codice di Seb. Rotari», la seconda. Un’altra scatola della ditta Cappelli, di formato 9x12 cm, presenta invece la scritta «Pietra Cobra - Coscinodischi di Quarto D. M.», ma non è datata. Le lastre delle prime due scatole sono legate alle ricerche storiche condotte da Forti sugli esemplari di ‘draghi’ o ‘basilischi’ conservati nel Museo di Storia Naturale di Verona e nel Museo Civico di Venezia [Forti, 1907] [Forti, 1914 [Forti, 1929a [Forti, 1929b]: il botanico si propone di enumerare e localizzare gli esemplari pervenuti, soffermandosi sui procedimenti e sulle specie animali utilizzati per realizzarli. Dei tre conservati nel Museo di Verona, uno era stato acquistato direttamente da lui a Carpi, mentre gli altri due facevano parte della Collezione dell’erpetologo Edoardo De Betta (1822-1896) (Fig. 6) e di quella del conte Lodovico Moscardo (1611-1681). Di quello veneziano, invece, non c’era alcun dato circa la provenienza. Forti riflette sul fatto che, pur non volendo attribuire eccessivo valore a «questa figura dall’aspetto fantastico», «non è da trascurare che essa rappresenta un elemento di storia della scienza, anche se più direttamente appartiene alla storia della ciarlataneria, in quanto allora gli stessi naturalisti maggiori non poteano negare la loro attenzione a tutto ciò che, o per autorità di testi antichi o per relazioni udite o anche per trucchi da smascherare, entrasse comunque nel campo dei loro studi» [Forti, 1929c, p. 8].

Tra scienza e ciarlataneria si collocava anche l’interesse per la pietra cobra. Forti non pubblicò nulla sull’argomento, tuttavia tra le sue carte d’archivio [BSPM, Fondo Forti, 102/1.12 - Forti, A.6B-1] c’è un manoscritto incompleto dal titolo La Pietra Cobra – un preteso antidoto. Contributo alla storia della ciarlataneria, in cui, facendo riferimento al libro Medici ciarlatani e ciarlatani medici pubblicato da Andrea Corsini nel 1922, sottolineava come, tra i «più diffusi intrugli della teriaca e del mitridato, panacee universali da prendere per bocca» e altre pratiche ‘mediche’, mancasse la pietra cobra. Forti proseguiva descrivendo un esemplare conservato nella Collezione De Betta, dall’«aspetto di una lente biconvessa a curvature ineguali quasi spianata e a contorno ellittico», riportandone le misure e accennando a una «figura annessa»: nella scatola di lastre summenzionata ci sono, appunto, due lastre con tre immagini negative e tre stampe fotografiche, che ritraggono l’esemplare di fronte (le due facce) e di profilo. Con ogni probabilità le fotografie avrebbero dovuto illustrare l’oggetto all’interno del saggio, che, tuttavia, non fu mai pubblicato.

Queste immagini fotografiche contribuiscono a mostrare, dunque, il vivo interesse di Forti per questi strani oggetti e manufatti, a cavallo tra natura e artificio, tra scienza e mistificazione, che avevano affascinato i naturalisti e suscitavano ancora curiosità, tanto da essere esposti nei Musei. Nel 1929, il botanico ritenne interessante inviare alla Prima Esposizione Nazionale di Storia della Scienza di Firenze, tra le varie fotografie e stampe che aveva preparato, anche sedici immagini di draghi e basilischi tratte dalle sue pubblicazioni, per mostrare questi particolari esemplari delle collezioni veronesi e veneziane ai visitatori di tutt’Italia.

Fig. 6 - Achille Forti, Draco ex Raia effictus Aldrov., Collezione Edoardo De Betta, Verona, 1928, lastra negativa, 13x18 cm, MBUPd, Collezione lastre Forti.

Per gli amici

Su alcune scatole di lastre si leggono titoli che non si riferiscono ad argomenti di studio affrontati da Forti, bensì da alcuni suoi colleghi. Come si legge nel necrologio scritto dall’amico Alessandro Trotter, «la tecnica fotografica fu una delle grandi passioni del Forti, offrendosi in questo signorilmente agli amici e distribuendo con mano generosa le sue belle ed artistiche esecuzioni fotografiche» [Trotter, 1937, p. 104]. «1909 Anatomia galle (Trotter)» e «1910 Anatomia patologica vegetale Alessandro Trotter» contengono lastre di formato 9x12 cm e 21x27 cm: le prime sono le fotomicrografie di alcuni preparati realizzati da Trotter con sezioni di galle; le altre sono le tavole realizzate con quelle immagini, incluse nelle pubblicazioni di Trotter Osservazioni e ricerche istologiche sopra alcune morfosi vegetali determinate da funghi (1916) e Osservazioni e ricerche istologiche su vari zoocecidi (1939). Forti aveva realizzato le fotomicrografie dei preparati del collega e le aveva poi montate per realizzare le tavole illustrative [Addabbo, Tonetti, in stampa].

Non è l’unico caso di collaborazione di questo tipo: una scatola di lastre formato 21x27 cm reca la scritta «1927 - Phomes Inzengae D. Ntrs. del Museo Civico di Verona teratologico [...]» e conserva il manoscritto del saggio di Caro Massalongo Intorno a una interessante mostruosità di Fomes Inzengae De Not. (1927), insieme con le lastre e le stampe fotografiche che lo avrebbero corredato. Nella pubblicazione Massalongo sottolinea che «tutte le figure furono tratte da fotografie eseguite dal Dott. A. Forti e sono ridotte al ¼ della grandezza naturale» [Massalongo, 1927, p. 1360].

Nel 1908, inoltre, Forti aveva fotografato le illustrazioni del Codice-erbario veronese del XVIII sec. attribuito a Sebastiano Rotari, per l’edizione di Michelangelo Minio del 1929 (Fig. 7), e i reperti teratologici conservati nel Museo Civico di Verona, per la pubblicazione Sopra alcuni mostri dicefali cranioti che si trovano nel Museo Civico di Verona (1908) di Enrico Cartolari. Queste fotografie, da lui realizzate per le tavole a corredo dei testi dei suoi amici, apparvero anche nella già citata Esposizione di Storia della scienza del 1929: in quell’occasione, infatti, Forti decise di mostrare anche alcuni studi recenti incentrati sul patrimonio librario e museale locale, esponendo il frontespizio e le tavole di alcuni saggi, montati su passepartout come se fossero fotografie. Oltre a quelli di Minio e Cartolari, espose anche il proprio saggio Alghe del Paleogéne di Bolca (1926), con le tavole realizzate personalmente. È interessante osservare come queste fotografie, eseguite in momenti diversi per mostrare disegni, preparati teratologici e campioni fossili all’interno di tre saggi scientifici di argomenti differenti, in un secondo momento avessero acquisito un altro significato e ruolo, all’interno di un contesto nuovo. Nella sala 9 del Palazzo delle Esposizioni di Firenze, le città venete erano chiamate a illustrare le proprie ricerche scientifiche, passate e presenti: queste fotografie avevano il compito di mostrare al pubblico alcuni studi del tempo, attraverso gli oggetti scientifici indagati, e mostravano, allo stesso tempo, il patrimonio storico-scientifico veronese.

Fig. 7 - Achille Forti, N. 86 Lathyrus vernus Bernh, N. 87 (?), lastra fotografica negativa, 13x18 cm, MBUPd, Collezione lastre Forti.

Conclusioni

Le linee tematiche fin qui individuate costituiscono soltanto una delle possibili letture della ricca ed eterogenea collezione di lastre di Achille Forti, che lascia ampio spazio a nuove connessioni e interpretazioni. Questo materiale fotografico è una fonte preziosa di informazioni storico-scientifiche, interessante sotto diversi punti di vista. Innanzitutto rivela un lato poco noto della poliedrica persona di Forti, la sua passione per la fotografia e la conoscenza della tecnica, della strumentazione e delle varie fasi di realizzazione dell’immagine fotografica, fino alla manipolazione per la pubblicazione all’interno dei testi. Lo studio della collezione, inoltre, congiunto con la lettura di testi a stampa e documenti d’archivio, contribuisce alla ricostruzione dell’attività scientifica del botanico e, in particolare, degli studi algologici, come anche dei suoi molteplici interessi. La macchina fotografica era uno strumento imprescindibile per le sue ricerche botaniche, ma allo stesso tempo funzionale alla documentazione e promozione del patrimonio storico-scientifico veronese, in contesti locali e nazionali.

Se nel testamento Forti dichiara di possedere un apparecchio fotomicrografico della ditta Zeiss, con relativi accessori [ANVr, L. Scolari, n. rep. 4620], nulla si sa delle altre macchine fotografiche in suo possesso. Non si hanno dubbi, tuttavia, sul fatto che il botanico fosse solito portare la macchina fotografica con sé durante i viaggi, in Italia e all’estero, per ritrarre paesaggi e persone oltre che per motivi di ricerca. Nel 1930, insieme all’amico Alessandro Trotter partecipò alla Mostra fotografica del paesaggio dell’Italia meridionale organizzata dalla Società Geografica Italiana, presentando 237 fotografie che ritraevano il sud Italia e, in particolare la Calabria, il Gargano e alcuni luoghi dell’Abruzzo e dell’Irpinia. Durante il viaggio nelle regioni meridionali, lo sguardo attento dei due studiosi, in certi momenti, aveva catturato scene di vita delle popolazioni locali, con i loro abiti tradizionali, dinanzi alle abitazioni tipiche di quei luoghi; in altri, aveva abbracciato anche paesaggi e scorci spettacolari e incontaminati. Gli scatti presentati valsero a Forti e Trotter la «Medaglia di S. E. Michele Castelli Alto Commissario della Prov. di Napoli – Lire 300», come si legge negli «Atti dell’XI Congresso Geografico Italiano»; nella collezione di lastre di Forti, tuttavia, non sono stati trovati i negativi di queste fotografie, ma soltanto quello del «diploma di medaglia d’oro a testimonianza di speciale benemerenza per la illustrazione del Paesaggio dell’Italia Meridionale». È probabile che li abbia tenuti Trotter o che siano stati consegnati alla Società Geografica Italiana oppure che siano andati perduti.

La presenza di alcuni negativi e positivi che mostrano vedute della città di Verona, campagne, paesaggi montuosi e formazioni naturali, mostrano l’uso a 360 gradi della fotografia da parte di Forti, in un connubio indissolubile con l’amore per la natura, l’arte e la scienza.
Per una migliore fruizione sia da parte di studiosi e specialisti in materia, sia di un pubblico più ampio, nonché per una più adeguata conservazione della collezione – soggetta alle alterazioni provocate dalle fluttuazioni di temperatura e umidità, dalle reazioni dell’argento con inquinanti atmosferici, dai danni fisici del vetro – nel prossimo anno si intende procedere alla digitalizzazione e alla catalogazione sul portale dell’ICCD – Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.

Fonti d’archivio

AMBUPi = Archivio del Museo Botanico dell’Università di Pisa:
Fondo Bottini, Corrispondenza, ms. 1309.
AMG = Archivio del Museo Galileo - Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze:
Fondo Corsini, Carteggio I-II;
Archivio della Prima Esposizione Nazionale di Storia della Scienza (Esp29): Raccolte fotografiche, 1875-1929 (predominanti 1928-1929), Firenze (https://bibdig.museogalileo.it/tecanew/opera?bid=6400);
Indice topografico.
ANVr = Archivio Notarile di Verona, L. Scolari, n. rep. 4620.
ASUPd = Archivio Storico dell’Università di Padova:
Archivio del personale docente, Liberi docenti cessati, b.2, fasc. 49 «Forti Achille», Richiesta trasferimento;
Segreterie studenti, Scienze matematiche fisiche e naturali, Fascicoli di studente, 335/E «Forti Achille», Tesi di laurea.
BCVr = Biblioteca Civica di Verona:
Fondo Fainelli, Carteggio, B.1546;
Fondo Messedaglia, Carteggio, B.1014.
BSPM = Biblioteca storica di medicina e botanica Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili:
Inventario Orto botanico, 12, 1938-1941;
Giannantonio Bressanini, Forti, Achille Italo, 1920 ca., stampa fotografica b/n, 23,7x17,9 cm, BSPM, Università degli Studi di Padova, IB.PP.84;
Fondo Forti, 101/3 - Forti, A.6A-3, Donazione del compianto Gr. Uff. Dr. Achille Forti a favore dell’Istituto di Botanica della R. Università di Padova;
Fondo Forti, 102/1.12 - Forti, A.6B-1, La Pietra Cobra – un preteso antidoto. Contributo alla storia della ciarlataneria;
Fondo Forti, 103/1-Forti, A.6B-2.
MBUPd = Museo botanico dell’Università degli Studi di Padova, Collezione lastre Forti.