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Luigi Lilio (Cirò, 1510 – Roma, 1574?)

Francesco Vizza

Istituto di Chimica dei Composti Organometallici del CNR (ICCOM-CNR) francesco.vizza@iccom.cnr.it

Received 22/08/2025 | Accepted 26/09/2025 | Published online 15/12/2025

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Luigi Lilio (Aloysius Lilius in latino, Luigi Giglio in italiano, Lilio in italiano latinizzato) era un medico, astronomo e matematico del XVI secolo, calabrese di Cirò.

Ciò che di lui è arrivato fino a noi, e che lo rende oggetto di ammirata considerazione, è il calendario utilizzato ancora oggi dall’intera umanità. Pochissimo è noto della sua vita, e incerti sono i suoi dati biografici, anche se vari studiosi concordano nel dire che sia nato intorno al 1510 [Vizza, 2024a]. Purtroppo, i registri anagrafici dell’archivio comunale di Cirò risalgono al 1809, poiché fu solo nel decennio di dominazione francese (1807-1817) che essi furono resi obbligatori, mentre quelli parrocchiali, i più antichi, che si trovano nelle tre chiese locali, risalgono al Seicento [Mezzi, Vizza, 2010].

Nel 1603, il matematico tedesco Cristoforo Clavio, membro della Commissione Pontificia istituita da Gregorio XIII per riformare il vecchio calendario giuliano, scrive [Clavius, 1603, p. 2]: «Solus Aloysius Lilius Hypsicroneus rem feliciter et non sine Dei Optimi Maximi benignitate assecutus est, cum talem Cyclum excogitauerit, qui Calendario semel inscriptus in perpetuum […]». In italiano: “Solo Luigi Lilio di Cirò (Hypsicroneus) condusse felicemente a termine l’arduo compito, e non senza l’aiuto di Dio, quando ideò un tale Ciclo che, una volta iscritto nel Calendario, è eterno […]”. Molto prima di Cristoforo Clavio, la prova che Cirò diede i natali a Lilio è fornita dall’umanista Gian Teseo Casopero in una lettera inviata il 28 gennaio 1532 allo stesso Luigi Lilio, nella quale lo esorta a non trascurare gli studi e lo prega di porgere un saluto «nostratibus omnibus», ai compaesani che dimoravano a Napoli [Casoperi, 1535].

Nulla era noto delle condizioni sociali della sua famiglia di origine, di cui sembrava essersi persa ogni traccia. Secondo alcuni, era nato da modesti genitori; secondo altri, da genitori non privi di una certa agiatezza, oppure da una famiglia nobile e ricca. Riferimenti precisi della famiglia Lilio a Cirò sono recentemente emersi da alcuni atti notarili depositati presso l’Archivio di Stato di Catanzaro [Rende, 2025]. Apparteneva a una famiglia primaria e conservava l’appellativo di «magnifico», termine che nel XVI e XVII secolo aveva perso il significato originario, ma che denotava comunque una superiore dignità della persona titolata. Solo supposizioni possono essere fatte sugli studi condotti negli anni della sua prima gioventù, se a guida del decano Antonio Spoletino, dotto umanista e canonico in S. Maria de Plateis, o presso i francescani minori conventuali di Cirò [Capoano, Vizza, 2017].

Nel 1532, Lilio studiava medicina a Napoli [Salon, 1576], ma, non essendo sufficienti le risorse paterne per frequentare gli studi, era al servizio di Galeotto Carafa, padrone del feudo di Cirò. A Napoli si trovò a studiare in una realtà molto stimolante. In quegli anni (1532-1540), nella città partenopea, si trovavano poeti e studiosi calabresi di notevole spessore culturale, accomunati dall’amore per i classici. La maggior parte di essi proveniva dalla celebre scuola cosentina del Parrasio e frequentava Villa Leucopetra, edificata nel 1520 in riva al mare, tra Pozzuoli e S. Giovanni a Teduccio, da Bernardino Martirano, sede di una vera e propria Accademia. Della presenza di Luigi a Napoli, in assenza di fonti documentarie, si possono fare solo ipotesi. Non è rimasta traccia nemmeno nei registri dell’Università di Napoli, perché nella prima metà del Cinquecento vi si accedeva senza obblighi di matricola e di frequenza. Soltanto nel 1562, il governo spagnolo ordinò di tenere un registro delle matricole.

Conseguita la laurea in medicina, Luigi Lilio si trasferì a Roma. Gli facilitarono la strada verso la capitale dello Stato Pontificio le conoscenze che aveva acquisito presso Villa Leucopetra, ma un ruolo decisivo lo svolse Guglielmo Sirleto, che si trovava a Napoli negli stessi anni in cui vi dimorava Lilio. Guglielmo Sirleto, nato nel 1514 a Guardavalle, in Calabria, ebbe una grandissima influenza sui lavori della Commissione istituita da Gregorio XIII per la riforma del calendario. Egli era un vero mecenate dei suoi conterranei, ed è ragionevole supporre che sia stato lui a convincere Lilio a trasferirsi a Roma e a introdurlo negli alti ambienti ecclesiastici. La presenza dei Lilio di Cirò a Roma risulta documentata già nel 1573 da un atto notarile [ASCZ, 1573].

Ancora una lettera, datata 25 settembre 1552, indirizzata dal cardinale Marcello Cervini a Guglielmo Sirleto, attesta che in quel periodo «messer Aluigi Gigli» era lettore di medicina presso lo Studio perugino. Al fine di garantire a Lilio un aumento di stipendio, che sarebbe stato concesso ai migliori lettori di quello Studio, il cardinale Marcello Cervini, poi papa Marcello II, pregava Guglielmo Sirleto di intervenire personalmente presso il cardinale Girolamo Dandini [BAV, 1552].

Luigi Lilio dedicò gli ultimi anni della sua vita a elaborare un piano di riforma del calendario giuliano, ma morì, e fu suo fratello Antonio, più giovane di lui, a presentarlo al papa. Nel 1585, al gesuita Giovanni Pietro Maffei fu commissionata, da Giacomo Boncompagni, figlio naturale del papa, una storia del pontificato di Gregorio XIII. Maffei inviò un articolato questionario alle personalità più rilevanti che avevano collaborato con il papa. L'opera venne completata nel 1597 e data alle stampe nel 1742. Scrive Maffei [Maffei, 1742]:

Questa forma di correzione dell'anno solare fondata principalmente nel Ciclo dell’Epatte fu invenzione di Luigi Lilio Calabrese, il quale dopo la speculazione d'intorno dieci anni venuto a morte ne lasciò un libro co' calcoli, e dimostrazioni a suo fratello Antonio, il quale sapendo quanto a Sua Santità premesse tal cura, non lasciò di presentarglielo, supplicando che qualora la detta fatica fosse giudicata a proposito, egli per alcuna ricompensa non fosse defraudato del privilegio della stampa, e del monopolio […]

Quando Maffei iniziò a comporre l’opera, Antonio Lilio era ancora in vita; si presume, pertanto, che le informazioni sul piano di riforma le abbia ricevute anche da lui. Non sappiamo dove e quando sia morto Luigi, ma si può affermare, con buone probabilità, che la morte lo colse prima del 1574, anno in cui cominciò a circolare la sua proposta di riforma [Piccolomini, 1578].

La necessità di riformare il calendario giuliano, in vigore dal 46 a.C., era fondamentale per la Chiesa.
Può non essere ovvio come questo problema dovesse riguardare la religione cristiana. In effetti, l’interesse astronomico della Chiesa discendeva dall’aver connesso la celebrazione della Pasqua alle fasi lunari e all’equinozio di primavera. La regola stabilita dai Santi Padri e dagli antichi papi, in particolare Pio I e Vittore I, e dal grande concilio ecumenico di Nicea del 325 d.C., voleva che la resurrezione di Cristo fosse celebrata la domenica seguente alla XIV luna paschalis, ossia il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera [AAV, 1582a]. Con il passare dei secoli dal suddetto concilio, un errore nel calcolo dell’anno solare, che risultava più lungo di 11 minuti e 15 secondi rispetto alla reale misura, comportava l’aggiunta di un giorno al calendario giuliano ogni circa 128 anni. Nella metà del 1500, il calendario, non in accordo con i cicli delle stagioni, aveva segnato come giorno dell’equinozio di primavera il 21 marzo, ma gli astri l’avevano indicato l’11 marzo, cioè circa 10 giorni prima. In considerazione di ciò, la Pasqua veniva celebrata nel periodo astronomicamente sbagliato.

Il non saper proporre un metodo esatto per la determinazione della data della Pasqua rischiava di compromettere ulteriormente l’autorità della Chiesa in quel periodo storico molto difficile, scosso dallo scisma dei Protestanti e dei Calvinisti. Appariva ormai improcrastinabile la riformulazione del calendario, ma era un compito arduo da svolgere. Si trattava di correggere il computo per registrare il tempo e, contemporaneamente, evitare che l’equinozio astronomico di primavera rimanesse indietro rispetto al calendario civile, com’era già successo nel corso dei secoli.

Le difficoltà astronomiche da risolvere riguardavano sia il moto apparente del Sole, sia il moto relativo della Luna. Si trattava di sincronizzare il tempo civile con gli indicatori celesti, mantenendo la data dell’equinozio di primavera convenzionalmente fissata in modo perenne il 21 marzo, come stabilito dal Concilio di Nicea [Vizza, 2020].

Nel corso dei secoli, diversi pontefici, non pochi concili e molti studiosi versati nelle discipline matematiche e astronomiche avevano tentato invano di riformare il calendario giuliano [Duncan, 1999]. Gli esperti (tra i quali Beda, Ruggero Bacone, Cusano, Paolo di Middelburg, Copernico, per citarne alcuni), che nel corso di oltre dodici secoli cercarono di trovare una soluzione al calendario e al calcolo della Pasqua, pur avendo dissertato abbondantemente sulla durata dell’anno, di cui era incerta la misura, non riuscirono a trovare un metodo sicuro che desse una data stabile e duratura all’equinozio di primavera, dal quale dipende la Pasqua e tutte le altre feste mobili. Il calendario giuliano continuò, pertanto, a essere utilizzato senza alcuna modifica e, man mano che passava il tempo, aumentava sempre di più il divario tra il calendario civile in uso e il ciclo delle stagioni. Nel frattempo, si giunse al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento (1545-1563) affrontò anche il problema della riforma del calendario, ma, per la complessità del tema trattato, fu deciso di delegare questo compito alla Santa Sede.

Gregorio XIII, sin dal suo insediamento, si impegnò ad attuare i decreti varati dalle varie sezioni del Concilio Tridentino, inclusa la riforma del calendario. Ricevuto da Antonio Lilio il progetto ideato da suo fratello Luigi, lo sottopose all’esame di una Commissione, la ‘Congregatio’, appositamente istituita. Nel rapporto finale, datato 14 settembre 1580, che la Commissione consegnò al papa, oltre al cardinale Guglielmo Sirleto, che la presiedeva, sono riportati i nomi di otto membri: Vincenzo Lauro, di Tropea, vescovo di Mondovì, astronomo e medico; Cristoforo Clavio, gesuita tedesco, matematico, professore nel Collegio Romano; Pedro Chacòn, teologo spagnolo, esperto in patristica e storico della Chiesa, che assiste la Commissione per le feste mobili e il martirologio in particolare; Ignazio Nehemet, patriarca di Antiochia di Siria, esperto della cronologia ecclesiastica, della liturgia e dei riti delle chiese orientali e occidentali; Antonio Lilio, dottore di medicina e delle arti, fratello di Luigi Lilio; Leonardo Abel, di Malta, interprete di lingue orientali; Serafino Olivier, francese di Lione, uditore di Rota, esperto legale per le implicazioni della riforma sul diritto canonico e civile; Ignazio Danti di Perugia, frate domenicano, vescovo di Alatri, cartografo, matematico e astronomo [BAV, 1580].

Fra i rappresentanti della Commissione non figura Luigi Lilio perché non era più in vita. Tutti, tranne Antonio Lilio, appartenevano al clero. Durante le numerose sessioni che si tennero a Roma, altri esperti diedero il loro contributo al dibattito sulla riforma del calendario. Tra questi figurano Tommaso Giglio, vescovo di Sora e tesoriere del papa, che presiedette la Commissione prima di Sirleto; lo spagnolo Juan Salon, dei francescani osservanti, presidente della Congregazione delle feste mobili; Giovanni Battista Gabio, professore di greco alla Sapienza; e Giuseppe Moleto di Messina, al quale fu affidato il compito di rielaborare le tavole del calendario.

Per la correzione del calendario giuliano Lilio propose la seguente regola delle intercalazioni:

(1) un anno comune contiene 365 giorni, 366 l’anno bisestile. Il giorno in più viene aggiunto alla fine di febbraio;

(2) ogni anno dell’era cristiana dopo il 1582, se è divisibile per 4, è un anno bisestile;

(3) gli anni centenari sono bisestili solo se divisibili per 400 (erano tutti bisestili nel calendario giuliano).

Per quanto riguarda lo spostamento dell’equinozio di primavera, furono eliminati dieci giorni dal vecchio calendario: si andò a letto il 4 ottobre 1582 — era un giovedì — e ci si svegliò il mattino dopo, non il 5, ma il 15 ottobre 1582.

Lilio riteneva che un calendario basato sull’anno siderale — come avrebbe voluto Copernico e, inizialmente, lo stesso Clavio — sarebbe stato troppo complicato da tradurre in uno strumento che segnasse il tempo e fosse facilmente accessibile a tutti. Elaborò la riforma del calendario prendendo come base il valore della misurazione dell’anno tropico [Meeus, Savoie, 1992], pari a 365g 5h 49m 16s, contenuto nelle Tavole Alfonsine [Clavius, 1588; Clavius, 1603; Rosen, 1958], ma portandolo al valore medio calendariale di 365g 5h 49m 12s (365,2425). Come sia arrivato a questo numero non è molto chiaro, poiché il suo manoscritto non è mai stato stampato e non è mai stato ritrovato.

Le correzioni di Lilio non furono limitate alla sincronizzazione dell’anno civile con l’anno astronomico, ma le sue regole di intercalazione degli anni bisestili permisero di adattare il calendario alla possibile variazione della durata dell’anno tropico nel corso dei secoli [Vizza, Savaglio, 2023]. Un’ipotesi di intercalazione degli anni bisestili, che teneva conto del variabile anno tropico di Copernico, era prevista nel Compendium, ma fu respinta dai padri riformatori perché la teoria dell’anno variabile di Copernico era astronomicamente incerta e, se fosse stata adottata, avrebbe causato nel corso del tempo vistosi errori nel calendario [Swerdlow, 1986].

Risolto il problema del calendario civile con il nuovo assetto degli anni bisestili, bisognava correggere l’altro errore del calendario giuliano, consistente nella retrodatazione dei noviluni. Lo scopo fondamentale dei riformatori era, infatti, che nello stabilire l’epoca della Pasqua, non venisse tradita la regola che voleva la ricorrenza della Pasqua cristiana nella prima domenica dopo il plenilunio che seguiva l’equinozio di primavera.

Lilio pensò di rivedere il non preciso ciclo Metonico, allora utilizzato per il calcolo della Pasqua, poiché, a causa di una misura non corretta del mese sinodico, le lune vere (astronomiche) anticipavano di tre giorni quelle calcolate (ecclesiastiche). Mediante due equazioni accordò il ciclo solare con il ciclo lunare ed elaborò, a questo scopo, un originale e geniale ciclo delle epatte, proponendo una tabella di validità ultra-millenaria: la Tavola espansa delle epatte (il periodo dell’epatta è di 5.700.000 anni!). La Tavola dell’epatta individua l’età della Luna al primo gennaio e quindi tutte le lunazioni dell’anno, inclusa la XIV Luna, da cui dipende la Pasqua.

Il ciclo delle epatte presuppone che, nel corso degli anni, l’epatta debba essere aumentata di un giorno, per correggere l’errore contenuto nel ciclo metonico di diciannove anni. La correzione dell’epatta prevista da Lilio, basata sul mese sinodico alfonsino, prevedeva l’aggiunta di un giorno ogni 310,58 anni, oppure di otto giorni in 2.485 anni. Tale correzione fu leggermente modificata da Cristoforo Clavio, che, basandosi sul mese sinodico di Copernico corretto nelle Tavole Pruteniche, stabilì un incremento dell’epatta di un giorno ogni 312,5 anni, ovvero otto volte in 2.500 anni. Con il nuovo computo, Clavio corregge marginalmente i calcoli di Lilio, limitatamente al calendario ecclesiastico [Nothaft, 2018], il quale conteneva un errore di un giorno ogni circa 49.600 anni [Vizza, 2024b].

Per accompagnare il progetto di riforma, la Commissione pensò inizialmente di scrivere un libro che spiegasse il nuovo calendario con una descrizione dettagliata e affidò il compito di prepararlo ad Antonio Lilio, ma, per affrettare i tempi, si decise di redigere un Compendium del libro manoscritto di Lilio e di affidarne il compito allo spagnolo Pietro Chacòn. In realtà, poiché la Commissione aveva collegialmente deciso in favore del progetto di Lilio, il Compendium fu considerato un’opera scritta da più persone e il suo autore non viene mai citato nel testo [Compendium Novae Rationis, 1577]. Il lavoro è comunemente riportato come Lilius Compendium anche dai contemporanei di Lilio, ma nessuna parte di esso è stata realmente scritta da Lilio. L’opera non presenta frontespizio ed è composta da dieci fogli in quarto non numerati [Moyer, 1983]. Il testo fu stampato nel 1577 ed inviato dal papa ai Principi cristiani e alle migliori Università e Accademie d’Europa, con l’invito ad esaminarlo, correggerlo o approvarlo.

Gli esperti in matematica e astronomia esaminarono il Compendium e inviarono i loro commenti alle rispettive Università e Sovrani, che li rispedirono al papa insieme alle loro dichiarazioni. I rapporti furono poi affidati al cardinale Sirleto [Schmid, 1882]. Furono 42 gli autori che esaminarono il Compendium ed espressero il loro parere [Steinmetz, 2011].

Il 14 settembre 1580 la Commissione, dopo aver vagliato attentamente le critiche, i suggerimenti e le lievi proposte di rettifica al piano di Lilio, presentò il resoconto finale al papa, ma una lunga malattia del cardinale Sirleto ritardò il compimento della riforma [Ziggelaar, 1983].

Il 24 febbraio 1582, con la bolla Inter gravissimas pastoralis offici nostri curas, Gregorio XIII promulgò il nuovo calendario [Sodi, 2020]. La bolla fu perfezionata da Chacòn, Lauro e Sirleto [BAV, 1581]. Antonio Lilio, il 12 febbraio 1582, illustrò la bolla al pontefice, che si trovava a Villa Mondragone, nel Tuscolo, nei pressi di Roma [Grossi Grondi, 1901].

Un mese dopo aver decretato la riforma, il papa, con il Breve del 3 aprile 1582, per ricompensarlo del lavoro svolto, concede ad Antonio e ai suoi eredi il diritto esclusivo di pubblicare il calendario per un periodo di dieci anni [Chioccarelli, 1780]. Nel Lunario novo secondo la nuova riforma dell’anno, stampato nel 1582 da Vincenzo Accolti — uno dei primi esemplari di calendari stampati a Roma — si osserva la mancanza dei dieci giorni nel mese di ottobre e il permesso alla stampa di Antonio Lilio: ‘Et permissu Ant(oni) Lilij’ [AAV, 1582b]. Il Breve venne successivamente revocato dal papa il 20 novembre 1582 per ritardi nelle consegne, poiché Antonio non era in grado di far fronte alla crescente richiesta di copie che gli perveniva da tutta Europa [AAV, 1582c]. Tolti i diritti ad Antonio, la stampa divenne libera.

Una testimonianza significativa del ruolo svolto da Antonio è la sua immagine scolpita nel bassorilievo del monumento dedicato a Gregorio XIII, situato nella basilica di San Pietro, ad opera di Camillo Rusconi e fatto innalzare nel 1723 dal cardinale Giacomo Boncompagni, arcivescovo di Bologna, nel quale Antonio Lilio, genuflesso, porge al pontefice il libro del nuovo calendario.

Lilius è un cratere lunare di 61,18 km situato nella parte sud-orientale della faccia visibile della Luna. Il nome venne assegnato nel 1651 dall’astronomo ferrarese Giovanni Battista Riccioli, autore, insieme al padre gesuita Francesco Grimaldi, di un’antica mappa lunare. Il nome Lilio fu attribuito anche all’asteroide n. 2346, scoperto da Karl Wilhelm Reinmuth nel 1934 a Heidelberg.

Fonti archivistiche

Opere di Luigi Lilio