Il reattore nucleare italiano a fluido organico
Liceo Primo Levi di San Donato Milanese, andrea.battocchio@levi.edu.it
Received 01/03/2025 | Accepted 02/06/2025 | Published online 05/12/2025
Abstract
Alla fine degli anni Cinquanta, l’industria italiana decise di affrontare insieme al Comitato nazionale per le ricerche nucleari (CNRN) una notevole sfida tecnologica: la progettazione e costruzione di un reattore nucleare nazionale. Nel mondo occidentale alcuni Stati stavano già lavorando da almeno un decennio per dotarsi di un reattore di propria produzione, non solo per soddisfare il fabbisogno energetico interno, ma anche per l’esportazione. Gli Stati Uniti avevano progettato, e già venduto all’estero, due tipi di reattori ad acqua, bollente e in pressione; l’Inghilterra e la Francia si erano invece indirizzate sulla tipologia moderata a grafite e raffreddata a gas. A essi si unì l’Italia con un progetto di reattore alternativo, moderato e raffreddato a fluido organico. Il reattore a organico non era studiato unicamente in Italia ma, per le sue caratteristiche, si prestava bene a essere prodotto dall’industria italiana. Il CNRN colse allora l’occasione per concentrare gli sforzi su un progetto nazionale e attivò una collaborazione con gli Stati Uniti per ridurre i costi di ricerca e sviluppo. Il progetto raggiunse il suo culmine quando si crearono le condizioni per una sua esportazione nella vicina Tunisia e attorno a questa possibilità si creò il primo consorzio industriale italiano nel settore nucleare. Poco dopo, a causa della rinuncia degli Stati Uniti a proseguire le ricerche e in seguito alla comparsa di un problema tecnico apparentemente insormontabile, il reattore a organico fu declassato alla sola produzione di calore, venendo sostituito da altri progetti a carattere nazionale.
English abstract
At the end of the 1950s, Italian industry and the National committee for nuclear research (CNRN), decided to embrace a major technological challenge: the design and construction of a national nuclear reactor. In the Western world, several countries had already been working for at least a decade to develop their own domestically-produced reactors, not only to meet internal energy needs but also for export purposes. The United States had already designed and sold abroad two types of water-cooled reactors – boiling water and pressurized water reactors – while the United Kingdom and France had focused on graphite-moderated and gas-cooled models. Italy joined these efforts with an alternative reactor design, moderated and cooled by organic fluid. Although the organic reactor was not being developed exclusively in Italy, its characteristics made it particularly suitable for production by the Italian industry. The CNRN seized the opportunity to focus efforts on a national project and established a collaboration with the United States to reduce research and development costs. The project culminated when the prospect of exporting it to Tunisia emerged, leading to the establishment of Italy’s first industrial consortium in the nuclear sector. Shortly thereafter, however, due to the United States’ decision to end its research and the emergence of a seemingly insurmountable technical issue, the organic reactor was downgraded to serve solely for heat production and was eventually replaced by other nationally oriented projects.
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Introduzione
Conclusa la Seconda Guerra Mondiale, per molti anni le informazioni sui risultati delle ricerche in campo nucleare furono tenute sotto stretto riserbo. Ogni paese aveva un gruppo di ricerca che non interagiva con quelli degli stati esteri. Solo a seguito della modifica dell’Atomic Energy Act e dell’avvio del programma Atoms for peace, promosso dal presidente Eisenhower, gli Stati Uniti iniziarono a condividere le prime informazioni. Nel 1955 la conferenza internazionale sugli usi pacifici dell’energia atomica, indetta a Ginevra dalle Nazioni unite, fu la prima occasione, dalla fine della guerra, che ebbero i gruppi di ricerca dei 73 stati partecipanti per confrontarsi con i colleghi stranieri. Molti stati, che non avevano ancora mai intrapreso ricerche in campo nucleare, appresero le prime informazioni sulla possibilità di utilizzare l’energia nucleare per scopi civili, primariamente per produrre energia elettrica, ma anche per produrre calore di processo o sistemi di propulsione per mezzi navali.
Contemporaneamente gli Stati Uniti diedero anche inizio a una serie di contatti ed accordi bilaterali per promuovere la loro tecnologia di produzione di energia elettrica da fonte nucleare basata su reattori ad acqua. In questi reattori l’acqua aveva sia la funzione di moderatore, per rallentare i neutroni e favorire la fissione degli atomi di uranio, sia di fluido termovettore, per estrarre il calore prodotto dalle reazioni nucleari e generare il vapore da inviare in turbina. In questi tipi di reattore l’acqua poteva essere in pressione, Pressurized Water Reactor (PWR), o in cambiamento di fase, cioè bollente, Boiling Water Reactor (BWR).
Gli accordi internazionali, promossi dagli Stati Uniti, per la realizzazione di impianti nucleari avevano lo scopo di aprire il mercato internazionale alla tecnologia dei reattori ad acqua, bollente o in pressione, di cui le aziende americane erano licenziatarie. Destinatari del piano di esportazione erano soprattutto quei paesi che stavano affrontando un rapido sviluppo economico dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale. La vendita di centrali nucleari ‘chiavi in mano’ permetteva agli Stati Uniti di perseguire un altro fondamentale obiettivo politico: creare in quegli stessi Paesi un’egemonia nel settore del nucleare civile, non soltanto attraverso il meccanismo delle licenze, ma anche attraverso il controllo del processo di arricchimento dell’uranio [Krige, 2008]. Entrambi i tipi di reattori ad acqua, PWR e BWR, infatti, necessitano di un combustibile che non è reperibile direttamente in natura ma occorre, nel caso dell’uranio, aumentare la percentuale di isotopi fissili attraverso un processo di arricchimento isotopico, nel caso del plutonio, invece, bisogna prima produrlo in un altro reattore e poi separarlo dai prodotti di fissione generati.
L’arricchimento dell’uranio è un processo che richiede impianti costosi ed energivori, il cui funzionamento, nonostante la declassificazione di molti processi industriali nucleari avvenuta durante la prima conferenza internazionale sugli usi pacifici dell’energia nucleare del 1955, era ancora tenuto sotto segreto perché strettamente collegato anche a impieghi militari. Il sistema di cessione a noleggio dell’uranio arricchito [Goldschmidt, 1986, p. 288 e 363] operato dagli Stati Uniti creava quindi una dipendenza di lungo periodo nella fornitura di combustibile per i paesi che avrebbero acquistato i loro reattori nucleari ad acqua.
Viceversa la volontà di indipendenza energetica dagli Stati Uniti era condivisa da tanti paesi. Innanzitutto dalle potenze occidentali vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, Francia, Gran Bretagna e Canada che svilupparono una propria tipologia di reattori, le prime due a uranio naturale con grafite come moderatore e gas come refrigeratore [Hecht, 1998], la terza a uranio naturale e acqua pesante. A questi si aggiunsero quegli stati che avevano assunto una posizione militarmente neutrale, come la Svizzera e la Svezia, che puntarono sempre sull’uranio naturale e acqua pesante [Kaijser, 2017].
Nei primi anni Cinquanta, l’Italia, che aveva l’esigenza primaria di costruire nuove centrali elettriche per sostenere lo sviluppo dell’industria nazionale, giocava un ruolo geopolitico di primo piano, perché oltre alla sua collocazione geografica al centro del Mediterraneo e al confine con la cortina di ferro, aveva il Partito Comunista più forte dell’occidente. Per gli Stati Uniti era quindi strategico instaurare con l’Italia uno stretto rapporto a livello politico ed economico [Bini, 2017]. Se il primo passava attraverso le intese governative, il secondo trovò la sua concretizzazione prima nel Piano Marshall, dal quale furono però escluse le forniture nucleari, e poi attraverso accordi economici tra cui uno specificatamente sul nucleare, nel 1955, che prevedeva la fornitura di un reattore di ricerca e diverse tonnellate di uranio arricchito [Spezia, 2009, p. 58]. Proprio la possibilità di importare a prezzi ridotti una grande quantità di combustibile pronto per l’uso in centrale, indirizzò il governo e le principali aziende produttrici di energia elettrica italiane verso la tecnologia ad acqua [Turchetti, 2014].
Il primo acquisto di un reattore di potenza dagli Stati Uniti, supportato da un finanziamento internazionale della Banca mondiale, fu quello della centrale di Sessa Aurunca, presso la foce del fiume Garigliano, costruito dalla Società elettro-nucleare nazionale (SENN), una società pubblica facente capo all’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) [Della Gala, 2012, p. 141 ss.]. Il reattore era un BWR costruito su licenza della General Electric che entrò in funzione nel 1963 [Paoloni, 2009, p. 94]. Successivamente fu siglato un secondo accordo commerciale tra alcune società italiane private produttrici di energia elettrica, guidate dalla Edison e riunite nella Società elettro-nucleare italiana (SELNI), e una società statunitense costruttrice di reattori PWR, la Westinghouse. Il reattore fu installato nella centrale di Trino Vercellese (VC) ed entrò in funzione a pieno regime nel 1964 [Paoloni, 2009, p. 96].
La sudditanza tecnologica ed energetica nei confronti degli Stati Uniti non era tuttavia condivisa da alcune influenti figure del panorama nucleare italiano operanti sia in ambito privato, come gli ingegneri e i fisici del Centro informazioni studi esperienze (CISE), sia in ambito pubblico come alcuni membri del Comitato nazionale per le ricerche nucleari (CNRN) [Silvestri, 1968]; [Curli, 2000].
Il CISE stava lavorando dal 1946, a una tipologia di reattore innovativa e completamente diversa da quella ad acqua e uranio arricchito, con uranio naturale e acqua pesante, che darà vita al grande progetto del reattore CIRENE.
Il CNRN, invece, aveva intenzione di concentrare le sue ricerche su un reattore con un’alimentazione a uranio arricchito, ma che al posto dell’acqua utilizzasse come moderatore e termovettore un fluido organico, con l’intento di creare un’alternativa tecnologica italiana ai reattori americani anche in vista di un’eventuale esportazione. La possibilità di esportare tecnologia italiana all’estero era molto sentita e caldeggiata dalle imprese industriali nazionali, che avevano colto le potenzialità della nuova forma di produzione di energia, ma nello stesso tempo avevano ben presente come le dimensioni del mercato italiano fossero limitate per sostenere una filiera nazionale.
Il presente lavoro ricostruisce, attraverso documenti inediti conservati presso l’archivio dell’ENEA, l’ente nazionale che ha ereditato le funzioni del CNRN [Paoloni, 1992], la storia del tentativo italiano di realizzare un reattore nucleare nazionale moderato e raffreddato a fluido organico. Un tentativo che vide la non scontata convergenza di interessi, imprenditoriali e di ricerca, pubblici e privati, che fallì per motivi principalmente tecnici ma che pose le basi per una possibile intesa tra tutti gli attori del settore nucleare italiano.
Il Programma Reattore Organico (PRO)
I reattori ad acqua di concezione americana, nonostante avessero superato brillantemente la fase sperimentale e raggiunto la fase commerciale già alla fine degli anni Cinquanta, non avevano una resa energetica particolarmente performante perché per entrambe le tipologie la temperatura di uscita del fluido termovettore, direttamente acqua nel caso dei PWR e vapore nel caso dei BWR, aveva una temperatura relativamente bassa, di poco superiore ai 300 °C. Nel caso del BWR il limite era intrinseco, nel caso del PWR il limite era dovuto alla grande pressione necessaria per mantenere l’acqua in fase liquida. Pur con questi limiti gli Stati Uniti, grazie ai prezzi vantaggiosi a cui offrivano il combustibile, continuarono a supportare con successo l’esportazione dei loro reattori ad acqua, in parte per permettere alle aziende americane che avevano investito in quella tecnologia di rientrare del denaro speso in ricerca e sviluppo e in parte perché i reattori ad acqua avevano un basso fattore di conversione dell’uranio in plutonio e quindi erano particolarmente innocui dal punto di vista militare.
La soluzione più semplice per migliorare l’efficienza termodinamica dei reattori ad acqua, senza modificare eccessivamente l’architettura dei PWR, era sostituire l’acqua con altri liquidi che avessero una tensione di vapore minore e quindi una temperatura di ebollizione maggiore a parità di pressione. I più adatti sembravano essere fluidi di origine organica, idrocarburi benzenici, soprattutto terfenili, che raggiungevano temperature di uscita leggermente superiori ai PWR ma con pressioni dieci volte inferiori.
Nella seconda metà degli anni ’50, quando il Comitato nazionale per le ricerche nucleari (CNRN), decise di potenziare le ricerche per una via italiana allo sfruttamento dell’energia nucleare, l’attenzione si concentrò proprio su questa filiera perché aveva alcune caratteristiche che la rendevano adatta al potenziale sviluppo di una filiera elettronucleare nazionale. La bassa pressione di esercizio richiedeva minori spessori per i contenitori in pressione e la poca aggressività dei fluidi organici permetteva l’impiego di acciai a basso tenore di carbonio, condizioni che rendevano la costruzione di tutti i componenti dell’impianto compatibile con le capacità produttive dell’industria siderurgica italiana dell’epoca; inoltre l’industria chimica italiana aveva già un’ampia conoscenza delle «tecniche di fabbricazione delle suddette sostanze organiche nonché del loro esercizio quali fluidi scambiatori di calore ad alta temperatura» [CNRN, 1958, p. 275-279]. Un’altra caratteristica interessante dei liquidi organici era che avevano una «trascurabile radioattività neutronica» e potevano quindi essere utilizzati per la generazione di vapore per usi industriali e non solo per l’espansione in turbina.
Raccolto il favore di alcune grandi aziende italiane, come AGIP Nucleare del gruppo ENI, FIAT e Montecatini, il CNRN approvò nel 1959 [CNRN, 1959a]; [CNRN, 1959b] un programma di ricerca dedicato, chiamato Programma reattore organico (PRO), con l’obiettivo di realizzare un reattore prototipo della potenza di 30 MW. Il kick-off meeting si tenne il 12 gennaio 1960 con la partecipazione dei più alti dirigenti delle aziende coinvolte: Enrico Mattei e Raffaele Girotti per l’AGIP Nucleare, Vittorio Valletta, per la FIAT e Pier Candiano Giustiniani, per la Montecatini [CNRN, 1960b].
Le prime ricerche sulla filiera a fluido organico erano state eseguite dalla United States Atomic Energy Commission (USAEC), che costruì anche un paio di prototipi e un reattore sperimentale [Burton, Hosler, 1966]. A questi si aggiunsero a breve distanza di tempo un progetto canadese e uno di Euratom, che utilizzavano liquido organico per asportare il calore e acqua pesante come moderatore [Mooradian et al., 1967], [Leny, Orlowski, 1971], e un interessante programma di ricerca sovietico per costruire un reattore a fluido organico di dimensioni contenute facilmente trasportabile [Polushkin et al., 1964].
Agli Stati Uniti si rivolse allora il CNRN per condividere le enormi spese di ricerca e sviluppo necessarie a portare la nuova filiera a un livello commerciale. L’accordo di collaborazione tra USAEC e CNRN doveva ricalcare quello «già stipulato tra l'USAEC e l'UKAEA in materia di reattori a gas» [CNRN, 1960b]. Grazie a quell’accordo il Regno Unito aveva potuto sviluppare un suo reattore nazionale, moderato a grafite e raffreddato a gas, e a venderne un esemplare proprio all’Italia. Similmente il CNRN aveva l’ambizione che il reattore a fluido organico, grazie al sostegno degli Stati Uniti, potesse diventare il reattore nazionale italiano e finanziò direttamente il progetto per «permettere a tutte le industrie partecipanti di acquisire le esperienze necessarie per costruire in seguito versioni commerciali di reattori nucleari ad organico» [CNRN, 1960c] anche ai fini dell’esportazione.
Oggetto dell’accordo USAEC-CNRN erano lo «scambio totale e immediato di informazioni tecniche» [CNRN, 1960b], lo scambio di personale e la condivisione dei brevetti tra i due programmi, l’USAEC infatti si era impegnata a «dedicare [al reattore a organico] ampia parte del suo nuovo programma decennale di reattori ‘civili’».
Il prototipo del PRO era alimentato con ossido di uranio arricchito fornito dagli Stati Uniti; il liquido organico scelto era un terfenile, di formula chimica C18H14 e nome commerciale santowax, studiato negli Stati Uniti già dal 1955 [Trilling et al., 1958], perché aveva «discrete proprietà termiche, bassa tensione di vapore, e un basso costo unitario», oltre a una buona resistenza alle alte temperature e alla decomposizione radiolitica [CNEN, 1960].
Il CNRN procedeva speditamente formando due gruppi di lavoro paralleli, uno per la progettazione e uno per la costruzione [CNRN, 1960d]. Il sito di installazione, dopo approfondite analisi, fu individuato presso il lago Brasimone, nel comune di Castiglione dei Pepoli, in provincia di Bologna [CNEN, 1962a], dove le attività di cantiere, per la predisposizione delle opere civili, iniziarono ancora prima della completa definizione del progetto impiantistico, tutto affidato alle aziende partecipanti. La scelta del sito fu dettata oltre che da considerazioni geologiche, idrologiche, meteorologiche e di sicurezza, anche dalla possibilità di ottenere l’area gratuitamente dalla Provincia di Bologna e dalla necessità di una «giusta distribuzione geografica dei centri nucleari di ricerca»[CNRN, 1960e].
All’AGIP-Nucleare era in carico la progettazione del reattore (recipiente in pressione, circuiti primario e secondario, strumentazione di controllo e di sicurezza), alla SORIN, una compartecipata al 50% tra FIAT e Montecatini, la progettazione della parte convenzionale (contenitore esterno e altri edifici), alla sola Montecatini un nuovo tipo di incamiciatura degli elementi di combustibile in alluminio sinterizzato compatibile con il fluido organico e meno costoso dell’acciaio inossidabile, alla FIAT la costruzione del prototipo di macchina per carico e scarico delle barre di combustibile e al CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare) tutte le attività di ricerca, mentre la revisione del progetto era stata affidata all’Atomics International [CNEN, 1961a]; [CNEN, 1962b], che aveva già sviluppato per conto dell’USAEC la tecnologia dei reattori organici [CNEN, 1961b].
Non solo la progettazione ma anche tutte le fasi esecutive, di fornitura e montaggio, a esclusione della revisione e della prima carica di combustibile, erano alla portata dell’industria italiana. La politica condivise questa linea in occasione dell’approvazione della previsione di spesa per l’esercizio 1962/63 del Ministero dell’Industria, da cui dipendeva il CNRN nel frattempo trasformatosi in Comitato per l’energia nucleare (CNEN):
Detto programma ha come obiettivo finale di mettere l’industria nazionale in grado di progettare e costruire con i propri mezzi reattori nucleari. Esso prevede, pertanto, di affidare tutto il lavoro di sviluppo, la completa progettazione e la costruzione […] di un impianto munito di un reattore da 30 MWt, moderato e refrigerato con liquido organico, ad industrie nazionali […]. Tutti i componenti, tranne la prima carica di combustibile, saranno costruiti in Italia [Zannini, 1962].
La volontà di realizzare tutto il prototipo in Italia era stata confermata in sede di richiesta di offerte per il contenitore esterno, dove erano state contattate 5 ditte italiane e 2 straniere ma queste ultime solo «a titolo di confronto» [CNEN, 1962b]. La commessa fu assegnata alla Nuovo Pignone, che in seguito si aggiudicò anche la costruzione del recipiente in pressione, prevalendo sulla principale concorrente perché aveva dichiarato di acquistare anche tutte le lamiere in Italia [CNEN, 1964a].
I problemi tecnici e l’uscita degli Stati Uniti dal progetto
Sebbene il santowax fosse stato scelto proprio perché aveva una buona resistenza alle alte temperature e alle radiazioni, con il procedere degli studi e delle esperienze emersero, sia in Italia sia negli Stati Uniti, alcune problematiche causate dall’azione combinata delle due condizioni, alta temperatura ed esposizione continua a radiazioni, che causavano fenomeni di radiopirolisi. In realtà tutti i fluidi organici testati, non solo il santowax, si decomponevano sotto l’effetto delle radiazioni ad alta temperatura in molecole molto leggere, con formazione di gas, e in molecole pesanti complesse altobollenti. Queste ultime creavano i problemi più gravi perché aumentavano la viscosità del fluido, e quindi la potenza di pompaggio, ma soprattutto favorivano «la formazione di depositi carboniosi sulle superfici calde di scambio termico con conseguente diminuzione della trasmissione di calore» (fouling) [CNEN, 1962a, p. 39]. Per ovviare a queste problematiche si doveva ricorrere alla degassificazione e alla purificazione mediante filtraggio del liquido, ma bisognava tenere in conto la necessità di reintegro del refrigerante e i relativi costi. Questo problema, riscontrato nei circuiti di prova del CNEN, si era già verificato negli impianti costruiti negli Stati Uniti, in uno di essi, in particolare, i depositi carboniosi si erano formati nell’alloggiamento delle barre di controllo creando un’ostruzione e impedendo il loro scorrimento. Il problema fu considerato grave e di difficile soluzione tanto che quello specifico programma fu interrotto [Burton, Hosler, 1966, p. 246-262].
In maniera apparentemente slegata da quell’episodio, l’USAEC decise di sospendere i finanziamenti alla ricerca su tutti i reattori a organico. Secondo una comunicazione ufficiale della Commissione statunitense, la decisione era «stata dettata più da una valutazione comparativa con la tecnologia dei reattori ad acqua che [negli Stati Uniti era] maggiormente sviluppata, che da qualsiasi reale considerazione tecnica» [Seaborg, 1964].
Indipendentemente dalle motivazioni, l’improvvisa uscita degli Stati Uniti dal programma di ricerca sui reattori a organico, su cui l’Italia aveva fatto un grande affidamento, obbligava il CNEN a scegliere se continuare da sola a sostenere gli oneri finanziari per sviluppare la filiera a organico fino al raggiungimento della competitività, oppure sospendere il PRO. Di fronte al problema tecnico del fouling del liquido organico, il CNEN rimase comunque ottimista, perché alcuni studi europei e canadesi e un’esperienza sovietica avevano dato risultati confortanti. I canadesi mostrarono come la formazione di incrostazioni carboniose sulle pareti calde poteva essere controllata e limitata, attraverso un sistema di filtraggio e purificazione che eliminasse i residui di ossigeno e cloro nei terfenili, almeno fino alla temperatura delle superfici calde di 500 °C [Campbell et al., 1965] Parallelamente due studi finanziati da Euratom avevano confermato che i fenomeni di radiopirolisi iniziavano a manifestarsi a 380 °C per poi aumentare con la temperatura del fluido e le incrostazioni a formarsi quando la temperatura delle superfici raggiungevano i 500 °C [Leveque, 1965], [Villeneuve et al., 1965]. In sostanza, i reattori a fluido organico funzionavano ma soltanto a temperature inferiori a quelle che li rendevano vantaggiosi rispetto ai reattori ad acqua. Tuttavia la loro caratteristica di consentire minori spessori e materiali meno performanti li rendeva comunque interessanti per scopi diversi dalla produzione di energia elettrica, come appunto la produzione di solo calore o la possibilità di essere facilmente smontati, trasportati e rimontati. Quest’ultima funzione era la prerogativa di un reattore di fabbricazione sovietica, moderato e raffreddato con un liquido organico derivato dal petrolio non meglio specificato, ideato per essere trasportato e utilizzato in località remote, grazie alla sua compattezza e alla massa contenuta.
Il primo consorzio di imprese italiano nel settore nucleare
La fiducia nel reattore a fluido organico per far emergere l’industria nucleare italiana a livello internazionale sembrò essere finalmente ripagata quando, nella primavera 1964, il Commissariat à l’Energie Atomique (CEA) della Tunisia invitò il CNEN a presentare un’offerta per un impianto nucleare. L’impianto doveva sorgere in un’area depressa del territorio tunisino e doveva produrre sia energia elettrica sia acqua dolce mediante desalinizzazione dell’acqua di mare [CNEN, 1964c]. La richiesta di offerta sembrava costruita su misura per l’impiego di un reattore a fluido organico, in grado di generare, oltre all’energia elettrica, anche una grande quantità di vapore a uso industriale utile appunto per la desalinizzazione dell’acqua. Il CNEN e alcune imprese italiane colsero subito l’importanza strategica di partecipare. Fino ad allora le diverse imprese italiane avevano partecipato in maniera autonoma alle gare internazionali, senza una regia ed un progetto unitario; per la prima volta dunque l’industria italiana aveva la possibilità di affacciarsi in forma associata sul mercato estero e la vicinanza geografica della Tunisia avrebbe favorito anche la produzione di componenti sul territorio nazionale.
La Montecatini e la Bombrini Parodi Delfino si fecero promotori di un consorzio tra tutte le imprese interessate per «modificare il suddetto stato di fatto [relativo alla partecipazione individuale delle ditte italiane alle gare internazionali], e ciò non soltanto in vista della richiesta di offerta da parte della Tunisia, per la quale le possibilità appaiono limitate, ma in generale per il futuro, per analoghe richieste che dovessero venir fatte e per offrire sul mercato nazionale ed internazionale un impianto di questo genere di fattura italiana» [CNEN, 1964d].
Lo stato di avanzamento del progetto, tuttavia, era tale che il CNEN non poteva garantire il rispetto dei tempi previsti, così chiese al CEA di partecipare alla progettazione, eventualità che avrebbe permesso ai tecnici tunisini di acquisire il know-how in corso d’opera. La proposta italiana sembrò inizialmente soddisfare il governo tunisino qualora il CNEN avesse provveduto a coprire le spese di progettazione. Né il CNEN né il Ministero dell’industria potevano però garantire alcuna forma di finanziamento [CNEN, 1964e], mentre la Montecatini, una delle aziende più interessate all’iniziativa, propose alla Tunisia un pagamento in natura attraverso la cessione di fosfati, di cui il Paese nordafricano è molto ricco [CNEN, 1964f]. Sull’onda dell’attenzione internazionale emersa durante la terza conferenza di Ginevra (settembre 1964), Italia e Tunisia si rivolsero all’International Atomic Energy Agency e al Fondo sociale delle nazioni unite per ottenere un finanziamento per coprire le spese di progettazione [Salvetti, 1965]. Le due organizzazioni internazionali definirono «la questione estremamente interessante sia dal punto di vista scientifico, essendo l’Italia all’avanguardia nel campo delle ricerche sui reattori organici, che dal punto di vista dell’aiuto ai Paesi in via di sviluppo» [Enea, 1965a], dato che «sarebbe [stato] il primo del suo genere nel mondo e [avrebbe segnato] una tappa importante nell’azione di risollevamento di aree depresse».
La risposta tardò però ad arrivare e il CEA prima declinò la proposta italiana e poi sospese il progetto. Nonostante l’esito negativo della partecipazione italiana, lo spirito dell’associazione di imprese, finalizzato all’apertura di mercati esteri, rimase vivo tra i promotori, pur con un ridimensionamento delle aspettative, dovuto al permanere del problema del fouling nelle prove di circolazione del fluido organico che nel frattempo erano state condotte:
L’esperienza tunisina ci ha insegnato che esiste anche per l’Italia, per quanto riguarda questi piccoli reattori per dessalamento, la possibilità, più o meno concreta, di inserirsi con una tecnologia autonoma, in una vera e propria linea commerciale, mentre la stessa cosa non è pensabile, al momento, per quanto riguarda i reattori di potenza [ENEA, 1965b].
La determinazione delle imprese convinse il CNEN a non abbandonare del tutto il PRO ma di convertirlo in un progetto per la realizzazione di un reattore organico per la produzione di vapore industriale, chiamato ROVI. SNAM-Progetti, FIAT, Montecatini-Edison, SORIN, BPD, Breda e IRI, si consorziarono formalmente per la «gestione di quanto necessario a predisporre la realizzazione di impianti di desalinazione, serviti da reattori di potenza del tipo ROVI» [CNEN, 1967]. La scommessa del consorzio era realizzare un reattore nucleare per la sola produzione di vapore industriale. Innanzitutto per la desalinizzazione dell’acqua, da realizzare in zone dove vi era un’urgente necessità di acqua dolce ma non una contemporanea richiesta significativa di energia elettrica, come ad esempio in Italia meridionale, e poi per l’industria chimica, tessile e cartaria che richiedono grandi quantità di calore di processo.
Il reattore concepito dal consorzio aveva una potenza di 222 MWt con elementi di combustibile in carburo di uranio incamiciato in alluminio sinterizzato. Il refrigerante entrava nel nocciolo a una temperatura di 194 °C e usciva a 240 °C, un salto termico piccolo per produrre energia elettrica ma sufficiente per produrre una grande quantità di vapore a 135 °C, in grado di desalinizzare 110.000 metri cubi di acqua al giorno [Atomo e Industria, 1969].
Conclusione
Il programma ROVI e il consorzio collegato continuarono a rimanere attivi fino agli anni ’70 [Berardinelli et al., 1971] senza mai trovare una possibilità pratica di realizzazione, anche a causa della scoperta di nuovi sistemi più economici di desalinizzazione dell’acqua di mare.
Dal punto di vista tecnologico il passaggio dal PRO al ROVI costituiva un declassamento del progetto perché sanciva la sua limitatezza e riduceva la sua utilità, in quanto non poteva contribuire a soddisfare il fabbisogno energetico nazionale, problema principale soprattutto dopo la crisi petrolifera del 1973.
Al di là di aver intrapreso una strada che risultò essere apparentemente impraticabile dal punto di vista tecnico, probabilmente diversa sarebbe stata la storia del nucleare in Italia se si fosse trovato un liquido organico non soggetto a decomposizione radiopirolitica ad alte temperature; nei primi anni ‘60 l’industria italiana si mostrò unita nel sostenere un progetto di reattore nazionale, molto più di quanto non fu negli anni successivi.
La dipendenza dell’Italia dagli Stati Uniti fu fatale per il progetto di reattore a fluido organico italiano, perché la chiusura del loro programma di ricerca influì in modo determinante sul declassamento del PRO, nonostante Canada, Unione Sovietica e la stessa Euratom continuarono le ricerche su quella filiera. In questa occasione la fiducia italiana verso gli Stati Uniti fu forse eccessiva. Se è vero che avevano fornito all’Italia il primo reattore di ricerca e la prima quantità utile di uranio arricchito ed avevano concordato di «addivenire ad un accordo di collaborazione tra i programmi «organici» dei due Paesi» [CNRN, 1960a], le prime due forniture si inserivano in un quadro di mantenimento del nucleare italiano sotto il controllo statunitense, mentre la cooperazione per lo sviluppo di un reattore di nuova concezione rischiava di costituire un’ulteriore concorrenza ai reattori ad acqua. L’accordo non divenne mai operativo e dopo che l’Italia ebbe riunito tutte le maggiori industrie del Paese attorno al PRO ergendolo a programma nazionale, l’USAEC decise di concludere le proprie ricerche per mancanza di fondi invitando l’Italia a proseguire da sola nella risoluzione dei problemi di radiopirolisi riscontrati.
Le risorse italiane dedicate allo sviluppo dell’energia nucleare, infatti, erano molto limitate rispetto ad altri Paesi europei come Francia e Regno Unito che, anche grazie alla spinta di investimenti militari, furono in grado di produrre ed esportare un proprio reattore nazionale. L’idea di costruire un reattore nazionale rimase comunque viva tra gli esperti del settore e il PRO fu sostituito con la medesima finalità dal progetto CIRENE, un reattore moderato ad acqua pesante e raffreddato ad acqua leggera in cambiamento di fase, che per tutt’altri motivi ebbe un epilogo altrettanto sventurato.
Fonti archivistiche
CNEN, 1960 = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Specifiche generali per il progetto reattore organico, 1960, Busta 1529 - PRO-GEN-2-60 rev. 2.
CNEN, 1961a = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Programma Reattore Organico (PRO). Stato avanzamento lavori, 1961, Busta 1496 - Doc. CNEN (61) 35.
CNEN, 1961b = Roma, Archivio Dip. Fisica Sapienza, Verbale della seconda riunione della Commissione Direttiva del CNEN (25/02/1961), 1961, Fondo Salvetti - Subfondo CNEN - Serie 2.
CNEN, 1962a = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, II Piano Quinquennale (1963/64-1967/68). Programma Reattore Organico, 1962, Busta 1424 - Doc. CNEN (63) 7.
CNEN, 1962b = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Programma Reattore Organico (PRO). Stato avanzamento lavori, 1962, Busta 1497 - Doc. CNEN (62) 4.
CNEN, 1964a = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Ordine 30/PRO - Ditta Nuovo Pignone fornitura e montaggio del contenitore del reattore impianto PRO del Brasimone, 1964, Busta 1428 - Doc. CNEN (64) 65.
CNEN, 1964b = Roma, Archivio Dip. Fisica Sapienza, Appunto per S.E: il presidente sen. Medici, ministro dell’industria e commercio - reattore Arbus, 1964, Fondo Salvetti - Subfondo CNEN - Serie 4.
CNEN, 1964c = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Lettera da Commissariat à l’Energie Atomique a CNEN, 27 marzo 1964, Busta 147 - 2/4346.
CNEN, 1964d = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Verbale della riunione di coordinamento tra le industrie italiane per la presentazione della offerta alla Tunisia di un impianto di desalinizzazione, 1964, Busta 147.
CNEN, 1964e = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Riunione interministeriale per fornitura Tunisia di reattore di potenza e dasalinizzante, 1964, Busta 147 - 2/13927.
CNEN, 1964f = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Appunto - Conversazioni fra il CNEN e il Commissariato Tunisino per l’Energia Atomica per la fornitura di un reattore, tenutasi a Tunisi nelle sedute di lavoro del 10 e 11 novembre 1964, 1964, Busta 147.
CNEN, 1965 = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Lettera da Ministero degli Affari Esteri a CNEN, 17 marzo 1965, Busta 147 - 2/3240.
CNEN, 1967 = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Costituzione di un consorzio industriale per la desalinazione dell’acqua di mare con impianti nucleari, 1967, Busta 1443 - Doc. CNEN (67) 216.
CNRN, 1959a = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Programma di sviluppo dei reattori organici, 1959, Busta 1493 - Doc. GEN/25/59.
CNRN, 1959b = Roma, (Casaccia), Verbale n. 20 (22/06/1959), 1959, Busta 1493 - Doc. GEN/30/59 rev.
CNRN, 1960a = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Pro-memoria. Riunione del 12 gennaio 1960 per il Programma Reattore Organico (PRO), 1960, Busta 1529 - GEN/1/60.
CNRN, 1960b = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Riunione del 12 gennaio 1960 per il Programma Reattore Organico (PRO), 1960, Busta 1529 - PRO-CC-1-60.
CNRN, 1960c = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Relazione sulla missione negli Stati Uniti dell’ing. Aldo Forcella (6-17 novembre 1960), 1960, Busta 1531 - PRO/GEN/02/60.
CNRN, 1960d = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Verbale della II riunione del Comitato Coordinatore del PRO, 1960, Busta 1529 - PRO-CC-2/60.
CNRN, 1960e = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Verbale della V riunione del Comitato Coordinatore del PRO, 1960, Busta 1529 – PRO-CC-5/60.
ENEA, 1965a = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Lettera da Ambasciata d’Italia a Vienna a CNEN, 14 aprile 1965, Busta 147 - 2/4430.
ENEA, 1965b = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Lettera di Biondi a Albonetti, 30 aprile 1965, Busta 147 - 1/3501.
Salvetti, 1965 = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Lettera di Salvetti a Torki, 11 gennaio 1965, Busta 147 - 2/343.
Seaborg, 1964 = Roma (Casaccia), Archivio ENEA, Lettera del Presidente dell’USAEC Dr. Glenn Seaborg al Ministro Colombo Presidente del CNEN (traduzione italiana)», 14 gennaio 1964, Busta 34 - pos. 3-b-1.