Il progetto Life Finds a Way: DNA antico, storia e comunicazione della scienza per l’orientamento scolastico. Un progetto veronese
Università degli studi di Verona fedraalessandra.pizzato@univr.it
Università di Verona stefano.ambrosini@univr.it
Università degli studi di Verona benetti@dalcero.edu.it
ISISS M.O. Luciano Dal Cero, San Bonifacio (VR) carletto@dalcero.edu.it
Received 21/07/2025 | Accepted 13/09/2025 | Published online 13/12/2025
Abstract
Il progetto Life Finds a Way, realizzato presso l’Istituto Dal Cero di San Bonifacio (VR), rappresenta un’esperienza di didattica orientativa e interdisciplinare rivolta agli studenti del triennio di un istituto tecnico ad indirizzo biotecnologico. Inserito nel quadro dei progetti nazionali POT Università, scuole e territorio in rete per il patrimonio culturale materiale e immateriale: partecipazione, inclusione, valorizzazione e PRIN RIPRESa, il percorso ha integrato biotecnologie, archeologia, storia e comunicazione della scienza, con l’obiettivo di promuovere un orientamento narrativo-disciplinare che superi la frammentazione dei saperi e sviluppi competenze trasversali. Attraverso la didattica attiva, l’analisi di contesti e l’ausilio delle strumentazioni presenti nel laboratorio di biotecnologie, gli studenti hanno preso atto della complessità del lavoro in team multidisciplinari, ricostruito scenari preistorici applicando metodi scientifici legati allo studio del DNA antico e riflettuto criticamente sugli stereotipi storici, in particolare quelli legati alla razza e al genere nella preistoria. Il progetto si è concluso con la realizzazione autonoma di alcuni poster scientifici, un esempio di compito autentico per la comunicazione dei risultati.
English abstract
The Life Finds a Way project, implemented at the Dal Cero Technical Institute in San Bonifacio (VR), represents an interdisciplinary and guidance-oriented educational experience designed for upper secondary biotechnology students. Embedded within the framework of the national initiatives POT Università, scuole e territorio in rete per il patrimonio culturale materiale e immateriale: partecipazione, inclusione, valorizzazione and PRIN RIPRESa, the project integrated biotechnology, archaeology, history of science and science communication, with the goal of promoting a narrative and disciplinary approach to career guidance, overcoming disciplinary fragmentation and fostering transversal skills. Through active learning, context analysis, and biotechnology laboratory practice, students experienced the complexity of working in multidisciplinary teams, reconstructed prehistoric scenarios using scientific methods (ancient DNA analysis), and critically reflected on historical stereotypes, particularly those concerning race and gender in prehistory. The project concluded with the autonomous creation of scientific posters, serving as an authentic task of science communication.
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Introduzione
Il presente contributo si inserisce all’interno di una riflessione più ampia sul ruolo della scuola come spazio di formazione integrale della persona, in cui l’apprendimento disciplinare si intreccia con la costruzione narrativa e riflessiva del sé all’interno del proprio progetto di vita. In particolare, il tema dell’orientamento nella scuola secondaria di secondo grado – e negli istituti tecnici in modo specifico – necessita oggi di esser ripensato, superando una visione riduttiva e frammentaria, limitata alla sola trasmissione dei contenuti tecnico-specialistici o alla mera informazione sui percorsi universitari e professionali. L’orientamento, infatti, non può più essere concepito come attività occasionale o residuale, affidata esclusivamente agli strumenti standardizzati (griglie di autovalutazione, test psicoattitudinali, incontri con aziende o enti esterni), ma deve piuttosto configurarsi come un processo educativo continuo, capace di integrare conoscenze disciplinari, saperi umanistico-scientifici e competenze trasversali, accompagnando gli studenti nella costruzione di una visione integrata di sé, dei propri desideri e delle proprie possibilità formative e professionali [Batini, Salvarani, 1999a]; [Batini, 2015]; [Silva, 2023]. In questa prospettiva si colloca l’esperienza didattica Life Finds a Way, realizzata presso Istituto Dal Cero di San Bonifacio (VR), sviluppata nell’ambito del Progetto di Orientamento e Tutorato (POT) Università, scuole e territorio in rete per il patrimonio culturale materiale e immateriale: partecipazione, inclusione, valorizzazione, coordinato dall’Università di Roma Tre e volto a favorire l’integrazione tra ambiti scientifici e umanistici nei percorsi di orientamento universitario, anche con il supporto del PRIN RIPRESa - Re-assessing Italian prehistorical studies from a transdisciplinary perspective.Qui si presenta un progetto che fa la sintesi di due diverse edizioni annuali, che hanno coinvolto le classi quarte dell’articolazione «biotecnologie sanitarie». Tale sintesi costituisce un esempio di co-progettazione tra scuola e università finalizzato a promuovere un orientamento integrato nella didattica curricolare. L’obiettivo è stato quello di portare in aula una didattica attiva e per competenze, insieme orientativa, capace di valorizzare i contenuti disciplinari propri dell’indirizzo di studi, attraverso un lavoro situato, motivante e pienamente inserito nella programmazione scolastica. Per far questo sono state utilizzate come cornice di senso la storia e la comunicazione della scienza. A rendere possibile la costruzione del percorso, che proseguirà nell’anno a venire con altre attività, è stata la sinergia tra docenti e ricercatori universitari e dell’istituto, che hanno lavorato in stretta co-progettazione didattica, evitando l’approccio verticale o episodico tipico di molti interventi orientativi di matrice accademica. In tal senso, l’università ha assunto un ruolo realmente formativo, mettendosi al servizio della scuola nella costruzione di percorsi innovativi, orientati allo sviluppo integrato dei saperi, competenze e consapevolezza personale.
Cornice scientifica e didattica 1: la genomica evolutiva come ponte tra passato e futuro
Negli ultimi anni, l’interesse verso la genetica, e in particolare la genomica, è cresciuto esponenzialmente, talvolta anche in modo sproporzionato rispetto alla reale comprensione dei contenuti trattati dalla materia. Complici la diffusione mediatica e il successo di serie televisive e documentari, il grande pubblico si è sempre più avvicinato a questa disciplina, che si occupa di studiare il DNA in tutte le sue dimensioni: dalla struttura molecolare alle informazioni ereditarie che esso contiene. Dal 1953, anno in cui Watson e Crick pubblicarono su Nature il celebre articolo sulla doppia elica del DNA [Watson, Crick, 1953], la genetica molecolare ha fatto passi da gigante: dalla disponibilità di tecnologie che consentono di ottenere miliardi di copie del DNA in poche ore, riassumibili nella PCR (Polymerase Chain Reaction) si è passati oggi al Next Generation Sequencing, ovvero alla possibilità di leggere e interpretare il genoma in tempi rapidissimi. La lettura del genoma non è più un’attività confinata ai laboratori di ricerca avanzata: è divenuta una pratica diffusa e relativamente accessibile, che consente di analizzare frammenti genetici con elevata precisione [Deepali et al., 2023].
Nel tempo, la genomica ha dato origine a molteplici specializzazioni: genomica forense, medica, evoluzionistica ecc. Quest’ultima, in particolare, si occupa di ricostruire le origini dell’uomo moderno e dei suoi antenati attraverso l’analisi comparativa dei patrimoni genetici antichi e attuali. Confrontando il DNA dell’Homo sapiens contemporaneo con quello di gruppi vissuti migliaia di anni fa, gli scienziati sono riusciti a tracciare le migrazioni preistoriche ed a confermare, ad esempio, l’appartenenza di tutte le popolazioni umane moderne ad un’unica specie [Green et al., 2010]; [Barbujani, 2005]. Guardando alla storia della genetica — che attraversa l’alternarsi delle teorie dell’ereditarietà della fine del XIX secolo (permeate dalle crescenti preoccupazioni sociali legate alla razza e all’eugenetica), passando per la genetica classica e molecolare del XX secolo, fino ad arrivare all’epoca attuale, in cui i ricercatori impiegano sofisticate tecnologie dell’informazione per studiare l’ereditarietà e ne riconoscono la rilevanza nei più svariati ambiti, scientifici e sociali [Müller-Willee, Rheinberger, 2012] — emergono domande educative cruciali, strettamente legate al ruolo della scienza nella costruzione di una cittadinanza scientifica consapevole e partecipata [Oreskes, Conway, 2010]; [Oreskes, 2019]. Ci si interroga, quindi, sulla possibilità e sull'opportunità di introdurre lo studio del DNA antico all'interno della didattica scolastica, non solo come contenuto disciplinare, ma come strumento per promuovere una comprensione critica e consapevole del rapporto tra scienza, storia e società. La sfida educativa consiste nel rendere questo sapere — altamente specialistico e in continua evoluzione — accessibile, rilevante e culturalmente significativo per gli studenti delle scuole secondarie. In questo contesto, il DNA antico non rappresenta soltanto un oggetto di studio biologico, ma diventa una chiave per esplorare questioni più ampie che riguardano le origini dell’umanità, le migrazioni, la diversità genetica, e i modi in cui la scienza contribuisce a costruire narrazioni sul passato. Rendere gli studenti consapevoli di questi temi significa anche coinvolgerli nel dibattito attuale sulle implicazioni sociali, etiche e politiche delle conoscenze scientifiche, affinché possano esercitare una cittadinanza scientifica attiva e informata, capace di confrontarsi criticamente con il presente e di contribuire responsabilmente alla costruzione del futuro.
Su questa base, l’esperienza Life Finds a Way si è sviluppata a partire da alcune domande di ricerca educativa e scientifica che declinano, calandoli nel contesto specifico, questi quesiti più generali:
come trasmettere ai ragazzi la trasversalità e la rilevanza dello studio del DNA antico, rendendola un’esperienza formativa e non solo nozionistica?
un approccio integrato tra discipline umanistiche e scientifiche come quello fornito dagli storici della scienza può essere utile a questo scopo?
Volendo procedere a un approccio laboratoriale, va considerato che studiare il DNA prelevato da reperti archeologici presenta numerose difficoltà. I reperti preistorici, che possiamo immaginare conservati nei siti di scavo o nei musei, sono spesso compromessi dalla degradazione biologica e chimica: batteri, funghi e agenti chimici del suolo degradano i resti organici, alterandone il patrimonio genetico. Anche i reperti museali presentano criticità, poiché spesso contaminati da DNA moderno introdotto dagli archeologi che per primi, in tempi passati, li hanno maneggiati, ignari dell’importanza che avrebbe potuto avere una ‘contaminazione contemporanea’ da patrimonio genetico. Inoltre, il DNA antico è fragile e frammentario: la sua lettura è complicata dal fatto che alcune basi azotate, in particolare la citosina, tendono a trasformarsi nel tempo (deaminazione), generando errori interpretativi detti mismatch. Gran parte delle informazioni più rilevanti si trovano poi nei cosiddetti SNP (Single Nucleotide Polymorphisms), piccole variazioni genetiche che possono essere oscurate da errori nel sequenziamento.
Data la difficoltà di lavorare direttamente con reperti antichi all’interno della scuola, il progetto ha utilizzato un approccio didattico basato su una tipologia di genoma più accessibile e riproducibile in laboratorio: L’RNA batterico, in particolare il gene 16S dell’RNA ribosomiale. Questo segmento genetico, conservato nei ribosomi di tutti gli esseri viventi, è funzionale alla produzione delle proteine e, grazie alla sua stabilità evolutiva, rappresenta una delle principali sequenze utilizzate per ricostruire gli alberi filogenetici. Il 16S permette quindi di studiare l’evoluzione anche nei contesti scolastici, attraverso protocolli sicuri e replicabili. In questo modo, gli studenti hanno potuto simulare il lavoro dei genetisti evoluzionisti, comprendendo le ‘basi’ degli alberi filogenetici e riflettendo sul ruolo della scienza nella ricostruzione del passato, superando così visioni lineari e semplicistiche dell’evoluzione umana. Questa cornice ha permesso di costruire un’esperienza didattica autentica e interdisciplinare, capace di coniugare laboratorio e riflessione critica, teoria scientifica e pratica laboratoriale, sviluppando negli studenti una consapevolezza più matura dei metodi, dei problemi storici e dei limiti della scienza evolutiva.
Cornice scientifica e didattica 2: decostruire gli stereotipi di genere nella preistoria
Accanto alla riflessione sull’evoluzione biologica e genetica della specie umana il percorso didattico ha voluto affrontare un ulteriore livello di complessità: quello relativo agli stereotipi di genere che storicamente hanno condizionato l’interpretazione della preistoria. Per lungo tempo, infatti, la narrazione delle società preistoriche è stata permeata da una visione fortemente androcentrica che ha attribuito agli uomini il monopolio delle attività produttive, belliche e rituali, relegando le donne a ruoli subordinati e marginali, spesso vincolati esclusivamente alla cura e alla riproduzione [Sánchez Romero, 2022].
Tuttavia, le ricerche più recenti, hanno messo in discussione questa visione semplificata e fortemente ideologica delle società preistoriche. In particolare, gli studi condotti nell’ambito dell’archeologia di genere, di cui ricordiamo il contributo fondamentale della studiosa spagnola Margarita Sánchez Romero [Sánchez Romero, 2005], hanno evidenziato come nelle società preistoriche iberiche i ruoli sociali e produttivi fossero molto più articolati e inclusivi di quanto tradizionalmente ipotizzato. Attraverso l’analisi dei corredi funerari, dei resti scheletrici e dei contesti abitativi, Sánchez Romero ha mostrato che le donne non solo partecipavano pienamente alle attività produttive e rituali, ma anzi, ricoprivano spesso ruoli di prestigio e leadership all’interno delle comunità neolitiche dell’età del bronzo iberica, assumendo non di rado anche le funzioni di cacciatrici [Sánchez Romero, 2022]. In particolare, gli studi condotti sui siti dell’Andalusia e della Meseta centrale hanno evidenziato la presenza di donne artigiane, allevatrici, ceramiste e forse anche leader spirituali, il cui status era riconosciuto attraverso l’associazione ai corredi funerari più ricchi e complessi. Queste scoperte hanno contribuito a ridefinire l’immagine delle società preistoriche come contesti sociali articolati e dinamici, dove il genere non costituisce necessariamente un vincolo rigido nelle attività economiche e simboliche [Sánchez Romero, 2005].
La dimensione educativa di queste ricerche è cruciale: proporre agli studenti una lettura aggiornata e critica della preistoria, integrata dalla prospettiva della storia della scienza, permette di sfidare gli stereotipi di genere ancor oggi diffusi nella cultura scolastica e popolare, fornendo gli strumenti adatti per decodificare i meccanismi con cui le narrazioni storiche sono state costruite nel tempo. Integrare tali prospettive nella didattica consente non solo di arricchirne i contenuti, ma soprattutto di promuovere una cittadinanza più consapevole e critica verso le rappresentazioni sociali del passato, spesso costruite su contributi oggi rimessi in discussione dalle stesse scienze che li avevano promossi.
Nel percorso svolto, la discussione sui ruoli di genere nella preistoria è stata collegata ai risultati dell’analisi genetica, mostrando come questa disciplina in alcuni casi abbia permesso di identificare come appartenenti a donne resti umani precedentemente interpretati come ‘guerrieri maschi’ (si veda più avanti), mettendo ulteriormente in discussione le letture tradizionali basate esclusivamente sui corredi funebri o sulla morfologia scheletrica. Questo dialogo tra scienza e storia ha stimolato negli studenti una riflessione ampia sul rapporto tra evidenza scientifica e costruzione culturale dei saperi, rendendo visibile come anche il passato remoto sia oggetto di interpretazioni plurali e dinamiche.
Il ruolo della storia e della comunicazione della scienza nella costruzione di uno sguardo critico
Queste riflessioni rimandano più in generale al ruolo fondamentale che la storia della scienza svolge nella formazione di una visione matura e critica del sapere scientifico. Troppo spesso, nei percorsi scolastici, la scienza viene presentata come un corpus di verità definitive e immodificabili, separate dai contesti culturali e sociali nei quali si sono sviluppate. L’approccio alla storia della scienza mostra invece, con chiarezza, come le conoscenze scientifiche siano il risultato di processi storici complessi, segnati da ipotesi, confutazioni, revisioni e cambiamenti di paradigma riassumibili nelle dinamiche che [Kuhn, 1962] ha descritto efficacemente nel concetto di ‘rivoluzione scientifica’. Studiare la preistoria e la genetica antica attraverso questa lente d’ingrandimento permette agli studenti di riconoscere come i risultati più avanzati della ricerca scientifica siano in realtà provvisori, situati storicamente e culturalmente, aperti quindi ad ulteriori revisioni e perfezionamenti. La scienza emerge qui non come un cammino lineare verso una verità assoluta, ma come un percorso critico fatto di dubbi, errori, scoperte e dialoghi interdisciplinari, tema cardine dell’educazione e della cittadinanza scientifica nell’era post-covid.
Nel percorso didattico proposto, la storia della scienza ha avuto il compito di contestualizzare le scoperte genetiche e archeologiche all’interno dei dibattiti culturali e sociali dei vari periodi storici, mostrando agli studenti come il concetto di ‘razza’, i modelli evolutivi, la rappresentazione dei generi e persino la concezione di progresso scientifico siano stati (e lo sono tuttora) oggetto di interpretazioni diverse e talvolta contrastanti. Questa prospettiva ha aiutato gli allievi a maturare uno sguardo critico e consapevole, mai scettico, nei confronti della scienza, indispensabile per diventare cittadini capaci di orientarsi in un mondo scientifico e tecnologico in continua evoluzione [Govoni, 2018; 2023]. Solo attraverso una formazione che integri i contenuti scientifici con la riflessione storica e filosofica sul sapere è possibile formare menti autonome, capaci di interrogare criticamente le conoscenze e di riconoscerne la natura dinamico-contestuale. In questo senso, la storia della scienza non è un semplice corollario culturale, bensì uno strumento pedagogico essenziale per educare al pensiero critico, favorendo una visione del sapere non ‘dogmatico’, ma aperto al confronto e alla revisione, in linea con le sfide educative contemporanee.
Contesto scolastico e obiettivi
Il progetto Life Finds a Way ha coinvolto due classi quarte (in due edizioni consecutive a.s. 2023-2024 e 2024-2025) dell’Istituto Dal Cero coinvolgendo studenti dell’indirizzo Biotecnologie Sanitarie (Settore Tecnologico - Indirizzo «Chimica, Materiali e Biotecnologie»). L’attività ha preso forma come una simulazione complessa, che ha visto gli allievi impegnati in un’esperienza interdisciplinare di ricostruzione storico-archeologica e scientifico-laboratoriale. All’interno di gruppi collaborativi di lavoro, gli studenti si sono poi alternati nelle professioni di biotecnologi, archeologi, genetisti e comunicatori scientifici, hanno affrontato il compito di analizzare contesti di scavo simulati e ricostruire ipotesi storiche a partire da indizi biologici, ambientali e materiali. Il progetto non si è limitato all’acquisizione di conoscenze tecniche, ma ha perseguito lo sviluppo di saperi trasversali fondamentali per un orientamento consapevole verso i percorsi post-diploma, con particolare attenzione alla capacità di elaborare le informazioni in modo critico, risolvere problemi complessi in team e comunicare efficacemente i risultati della ricerca (o del lavoro).
Gli obiettivi formativi principali del progetto possono essere sintetizzati in tre direttrici fondamentali:
Favorire la comprensione dei metodi scientifici applicati allo studio del passato, mettendo in relazione discipline diverse (biotecnologie, archeologia, genetica, analisi ambientale, paleoecologia, storia della scienza ecc.) e sottolineando il carattere interdisciplinare della ricerca contemporanea;
Stimolare la motivazione intrinseca degli studenti, attraverso l’utilizzo di metodologie attive come la simulazione di ruoli professionali e la gamification, creando un contesto di apprendimento sfidante e significativo;
Allenare la capacità di comunicare in modo rigoroso e accessibile i risultati scientifici, anche mediante la realizzazione di un poster scientifico, strumento tipico della comunicazione accademica e professionale.
In sintesi, il progetto si configura come un’esperienza di apprendimento situato [Lave, Wenger, 1991]; [Mortari, 2004] e orientamento personale, inserita nel quadro della didattica laboratoriale e dell’approccio interdisciplinare. Attraverso la simulazione e il lavoro collaborativo, gli studenti hanno potuto sperimentare la complessità del sapere scientifico applicato alla lettura del passato, costruendo connessioni tra dati biologici, ambientali e storici, arrivando a riflettere sul significato delle professioni scientifiche e umanistiche nella società contemporanea e sul rapporto tra competenze disciplinari e trasversali [Silva, 2023].
Metodologia
La metodologia adottata nel progetto si colloca all’incrocio tra didattica attiva, orientamento narrativo e apprendimento situato, integrando strategie esperienziali e riflessione critica. L’obiettivo principale non è stato solo trasmettere conoscenze disciplinari, bensì creare un ambiente di apprendimento autentico, capace di attivare processi di scoperta, costruzione di senso [Mortari, 2004] e sviluppo delle competenze trasversali [Silva, 2023]. Il percorso è stato progettato secondo i principi dell’apprendimento situato [Lave, Wenger, 1991], che riconosce l’importanza di contesti reali o simulati per favorire un apprendimento significativo. Le situazioni proposte agli studenti hanno ricreato scenari professionali concreti (scavo archeologico, laboratorio genetico e congresso scientifico), nei quali quest’ultimi hanno potuto sperimentare ruoli e processi tipici delle professioni scientifiche e umanistiche, sviluppando competenze che vanno oltre la mera disciplina specifica.
In questo quadro si inserisce l’approccio dell’orientamento narrativo [Batini, Giusti, 2008]; [Batini, 2015], che integra il percorso non solo come cornice motivazionale, bensì come dispositivo formativo per aiutare gli studenti a dare un senso ai saperi appresi, integrando conoscenze, esperienze e prospettive personali. La narrazione è servita sia a costruire il contesto simulato (l’indagine biologica, forense e archeologica), sia a stimolare nei ragazzi la capacità di immaginare il proprio futuro formativo e professionale. La componente ludica, ispirata ai principi della gamification situazionale [Gee, 2003], ha avuto il compito di aumentare il coinvolgimento emotivo e cognitivo, senza mai perdere di vista il rigore scientifico. La dinamica dei ruoli professionali, la simulazione delle migrazioni umane e la costruzione del poster scientifico hanno permesso agli studenti di vivere un apprendimento sfidante e motivante, in cui il gioco non è evasione, ma strumento di esplorazione e costruzione di significato.
Il percorso si è sviluppato inoltre secondo una logica interdisciplinare, intrecciando biotecnologie, storia, archeologia, antropologia fisica e comunicazione della scienza. La collaborazione tra formatori provenienti dal mondo accademico (ambiti umanistici e scientifici) e docenti scolastici (di biotecnologie e biologia) ha garantito la coerenza metodologica e la continuità con il curricolo scolastico, evitando il rischio di creare un’attività accessoria scollegata dal percorso formativo degli studenti. Non ultimo, l’intero progetto è stato concepito come un’esperienza orientativa, non limitata all’informazione su corsi di laurea o professioni, ma finalizzata a sviluppare la capacità degli studenti nel riconoscere le proprie inclinazioni, competenze, interessi e nel situare i saperi appresi all’interno di una visione più ampia del proprio futuro personale e professionale.
Struttura delle attività: fasi del progetto
Il percorso si è sviluppato attraverso una sequenza didattica integrata, articolata in fasi che hanno alternato momenti di introduzione teorica, simulazione ludica, attività laboratoriale e analisi critica dei dati. Ogni fase ha mirato a far emergere non solo conoscenze disciplinari, bensì anche questioni epistemologiche e storiche, mettendo in discussione stereotipi e semplificazioni legate alla scienza e alla storia umana.
Fase 1 – Lezione introduttiva: il mito delle razze umane e la genetica come strumento di decostruzione
Il percorso si è aperto con una lezione introduttiva di storia della scienza e archeologia [Challis, 2010]; [Stoczkowski, 2008]; [Arnold, 1990], finalizzata a porre le basi culturali e scientifiche per un’analisi critica del concetto di ‘razza umana’ e della sua evoluzione nel pensiero scientifico occidentale [Barbujani, 2005]; [Müller-Willee, Rheinberger, 2012]. La lezione ha attraversato i paradigmi storici che hanno cercato di rappresentare la varietà della vita umana e non umana sulla Terra, proponendo agli studenti un confronto tra due modelli emblematici: il ‘Cespuglio della Vita’ (o ‘Corallo’) di Charles Darwin (fig.1) e l’‘Albero della Vita’ di Ernst Haeckel (fig. 2).
Il cespuglio di Darwin è stato presentato come una metafora che supera l’idea di linearità evolutiva: anziché rappresentare la vita come una progressione gerarchica e ordinata, Darwin immaginava l’evoluzione come un processo ramificato, pieno di biforcazioni, estinzioni e sviluppi paralleli. In questo modello, l’essere umano non occupa il vertice di una scala evolutiva, ma è uno dei rami di un cespuglio complesso e dinamico.
In contrasto, l’Albero della Vita di Haeckel è stato discusso come esempio storico di rappresentazione gerarchica e ordinata della diversità biologica, influenzato dalle concezioni che tendevano a posizionare l’Homo sapiens dalla pelle chiara in una posizione di superiorità evolutiva rispetto ad altre specie e popolazioni.
Fig. 1 -Ernst Haeckel, Arbre de vie (Albero della vita). Illustrazione pubblicata nel libro The Evolution of Man (1879). Innovativo per l’epoca, l’albero rispecchia una visione ‘lineare’ dell’evoluzione, assente di concetti quali ibridazioni e trasferimenti orizzontali di geni, oggi riconosciuti come fondamentali.
Fig. 2 -Charles Darwin (1850 c.a.), Notebook B pp. 36-37. Darwin creò questo disegno nel suo Taccuino B nel luglio 1837, poco dopo il ritorno dal viaggio sul Beagle, durante le sue prime riflessioni sulla ‘trasmutazione delle specie’ (evoluzione). Il disegno rappresenta una forma ramificata con un punto di origine (numero ‘1’) da cui si dipanano diversi rami, alcuni terminano con una barra perpendicolare (specie attuali), altri no (specie estinte).
A partire da questi paradigmi, è stata affrontata la questione delle altre specie umane arcaiche, in particolare Neanderthal e Denisova, evidenziando come la paleogenetica abbia profondamente modificato la nostra comprensione dell’evoluzione umana [Nielsen et al., 2017]; [Pääbo, 2014]. Non più specie (in senso ‘classico’) separate e incompatibili, Neanderthal, Denisova e Sapiens risultano oggi parti di una storia intrecciata, fatta di convivenze, scambi culturali e ibridazioni genetiche. Attraverso la narrazione delle recenti scoperte dell’archeogenetica [Green et al., 2010], gli studenti hanno potuto comprendere come il DNA di Neanderthal e Denisova sia tutt’ora presente nel genoma di molti individui moderni, dimostrando che l’evoluzione umana non è il risultato di un’unica linea retta, ma piuttosto un processo complesso di migrazioni, incontri e mescolanze genetiche: l’ibridazione non rappresenta un’anomalia, bensì una componente strutturale della nostra storia evolutiva, che coinvolge anche l’emergere plurale del sapere scientifico [Renn, 2022, p. 442-444]. Infine, è stato sottolineato come la variabilità genetica intra-specifica, ovvero le differenze all’interno della specie umana, siano molto più significative delle differenze tra le presunte ‘razze’, e come i fattori che hanno realmente determinato le differenziazioni tra popolazioni siano legati alle storie migratorie, agli adattamenti ambientali e alle dinamiche culturali, piuttosto che a tratti genetici fissi e definitivi [Barbujani, 2005]; [Barbujani, Colonna, 2010].
Questa fase ha permesso di introdurre una visione critico-storica della scienza, mostrando come le teorie si evolvano nel tempo e come la genetica moderna abbia contribuito a smontare stereotipi e visioni ideologiche che per secoli hanno alimentato discriminazioni e pregiudizi.
Fase 2 – «Indovina chi sono»: simulazione narrativa e gioco di orientamento
A partire dalla lezione introduttiva sul concetto di razza e sull’evoluzione umana, il percorso si è sviluppato con una fase dedicata all’esplorazione dei ruoli professionali legati allo studio e alla narrazione odierna della preistoria. La domanda di fondo che ha guidato questa fase è stata: «Chi lavora oggi con la preistoria e quali percorsi formativi lo conducono a farlo?».
La classe è stata suddivisa in due macro-gruppi narrativi, non corrispondenti a una rigida suddivisione disciplinare, ma a due prospettive complementari:
il gruppo degli umanisti, comprendente archeologi, storici, museologi, divulgatori e comunicatori scientifici; figure che si occupano della ricostruzione simbolico-culturale del passato e della sua comunicazione pubblica;
il gruppo degli scienziati, composto da biotecnologi, genetisti, paleoantropologi e scienziati ambientali; il cui lavoro si concentra sulla ricerca sperimentale e sull’analisi dei dati materiali.
L’attività, strutturata come un gioco narrativo e orientativo intitolato «Indovina chi sono?», ha visto i partecipanti impegnati in una serie di domande guida, volte a scoprire i ruoli assegnati ai compagni. Nella finzione del gioco le domande non dovevano essere troppo focalizzate sugli strumenti operativi o sugli oggetti di studio, ma era preferibile concentrarsi sui percorsi di formazione, sulle competenze trasversali-specifiche nonché sugli ambiti di applicazione professionale. Alcuni esempi:
«Quale percorso di studi ha seguito? Bastava la laurea triennale o un diploma?»
«Che tipo di competenze deve sviluppare? Serve saper catalogare? È un lavoro fisicamente molto faticoso?»
« Quali abilità comunicative sono richieste? Che ruolo ha la formazione storico-artistica per te?» ecc.
Attraverso queste domande, gli allievi hanno potuto riflettere in chiave orientativa sui diversi itinerari formativi (laurea in biologia, archeologia, scienze dei beni culturali, comunicazione, diploma, formazioni tecniche ecc.) e sulle competenze professionali richieste da ciascun ruolo: capacità analitiche, senso critico, collaborazione interdisciplinare, abilità comunicative, uso di tecnologie digitali ecc.
Questa fase ha favorito una visione interdisciplinare e integrata dei profili professionali, mostrando come la ricerca e la comunicazione del passato preistorico siano frutto di un lavoro collaborativo tra ambiti scientifici e umanistici, e come i saperi scolastici possano evolvere in percorsi professionali concreti (e non pre-determinati e unilineari). Attraverso il gioco, gli studenti hanno iniziato a costruire un’identità narrativa dei gruppi di lavoro, preparandosi ad interpretare in modo consapevole i ruoli che avrebbero assunto nelle successive fasi della simulazione archeo-scientifica.
Fase 3 – Lezione sul DNA antico: significati, potenzialità e bias
La terza fase ha approfondito i fondamenti teorici dell’analisi del DNA antico, illustrandone i principali campi applicativi (archeologia, paleoantropologia, biotecnologie) e le numerose criticità interpretative che emergono di fronte a reperti fortemente degradati o contaminati. La lezione ha messo in evidenza come ogni dato scientifico, anche il più sofisticato tecnicamente, sia il risultato di procedure complesse e scelte interpretative, e non di una verità oggettiva e assoluta.
In particolare, s’è voluto riflettere insieme agli studenti su alcuni bias metodologici e interpretativi ricorrenti, che possono compromettere la correttezza e l’attendibilità delle ricostruzioni scientifiche:
La contaminazione moderna dei campioni antichi, problema centrale nello studio del DNA antico, che può introdurre tracce genetiche recenti nei reperti preistorici, falsando completamente i risultati;
La degradazione selettiva del materiale genetico, che porta alla perdita non casuale di porzioni di DNA, riducendo la rappresentatività del campione e creando lacune nella ricostruzione evolutiva;
Il rischio di una interpretazione superficiale dei dati, ovvero la condizione in cui i risultati genetici vengono letti in modo acritico o decontestualizzato, senza integrare le evidenze archeologiche, storiche e ambientali, generando così letture distorte della storia umana.
La discussione non si è limitata agli aspetti tecnici, ma ha voluto promuovere negli studenti una consapevolezza critica più ampia, riconducendo queste problematiche ad una dimensione di cittadinanza responsabile. Comprendere i limiti e le incertezze della ricerca significa anche:
acquisire uno spirito critico nei confronti delle informazioni scientifiche veicolate dai media e dai social;
sviluppare la capacità di distinguere tra dati, ipotesi e interpretazioni, evitando semplificazioni o derive deterministiche;
riconoscere la scienza come un processo dinamico, fatto di revisioni continue e dialogo interdisciplinare.
Questa fase ha dunque permesso di mettere in discussione l’idea ingenua di una scienza ‘neutra’ o ‘onnisciente’, mostrando come il sapere scientifico richieda competenze interpretative, collaborazione tra discipline diverse e un continuo esercizio di riflessione critica (e autocritica). Tale consapevolezza costituisce una delle competenze chiave di cittadinanza, oggi indispensabili per orientarsi in una società complessa e fortemente tecnologizzata.
Fase 4 – Laboratorio di biotecnologie: estrazione dell’RNA e PCR
Gli studenti, guidati dal docente di laboratorio di biotecnologie e dai ricercatori del dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, hanno poi svolto in laboratorio una simulazione di estrazione e amplificazione del DNA mediante PCR. Questa attività ha consentito di:
familiarizzare con le tecniche reali di analisi genetica;
comprendere le procedure di controllo della contaminazione;
collegare la teoria afferente alla genetica con la pratica di laboratorio, in un’ottica di apprendimento situato.
Estrazione dell’RNA 16S
Agli studenti è stato fornito un campione di ceppo batterico, così da poter lavorare in sicurezza con un gene relativamente stabile e di facile amplificazione e sequenziamento. Nelle edizioni finora svolte, gli studenti in laboratorio hanno lavorato con un kit per l’estrazione dell’RNA 16S (Sigma-Aldrich Co. LLC©). A partire dalla brodocoltura, è stato richiesto di aggiungere, sotto cappa, 500 μl di soluzione di lisi (Lysis solution), precedentemente addizionata con β-mercaptoetanolo (10 μl per ml di soluzione di lisi). Al termine di questa operazione, è stato effettuato un passaggio in vortex per 40 secondi, al fine di favorire il rimescolamento dei componenti.
I campioni sono stati poi incubati a 56°C per 5 minuti in un termoblocco e successivamente centrifugati per 5 minuti a 14.000 rpm a temperatura ambiente. Questo passaggio ha facilitato la rottura cellulare, la liberazione dell’RNA e la separazione tra la frazione solida e quella liquida.
Il surnatante è stato prelevato e trasferito in una colonnina con funzione di filtro, utile a trattenere le componenti più grossolane. Una volta completata l’operazione per tutti i campioni, questi sono stati centrifugati per 1 minuto; il lisato ottenuto è stato conservato, mentre la colonnina è stata eliminata. Per recuperare l’intera soluzione, il passaggio è stato ripetuto due volte. Al prodotto di lisi eluito sono stati poi aggiunti 500 μl di soluzione di binding. La miscela così ottenuta è stata trasferita in una nuova colonnina, detta di binding, che favorisce il legame dell’RNA.
La provetta contenente la colonnina di binding e la soluzione è stata centrifugata per 1 minuto alla massima velocità, così da far passare tutta la soluzione attraverso la resina. Terminata la centrifugazione, l’eluato è stato scartato, la colonnina è stata asciugata e il passaggio è stato ripetuto con il restante lisato. La colonnina ottenuta è stata poi rimossa dalla provetta e inserita in una nuova provetta, nella quale sono stati aggiunti 500 μl di soluzione di lavaggio 1. A seguire, è stato eseguito un nuovo passaggio in centrifuga per 1 minuto alla massima velocità (14.000 rpm).
Infine, sono stati effettuati due lavaggi consecutivi con la soluzione di lavaggio 2, applicando lo stesso procedimento descritto per il primo lavaggio. Al termine di questi passaggi, l’RNA è stato eluito dalla colonnina tramite l’aggiunta di 50 μl di soluzione di eluizione. L’eluato è stato conservato in freezer in vista della PCR d’amplificazione.
PCR sull’RNA 16S
I campioni ottenuti dall'estrazione sono stati sottoposti a PCR al fine di valutarne il profilo in gel d’agarosio al 2%. Il materiale genetico ottenibile dalle cellule non è spesso visibile ‘ad occhio nudo’ in agar, pertanto è necessario (oltre che per motivi di stabilità) ottenere un numero di copie consistenti della sequenza in esame sotto forma di DNA. Per fare ciò è necessario ricorrere alla reazione della PCR (Polymerase Chain Reaction) che permette da una piccola quantità di genoma di ottenere una quantità manipolabile di DNA (in questo caso del DNA copia, o cDNA in quanto derivante dall’RNA). Per fare ciò è necessario costruire una coppia di primer che, adattandosi per complementarietà alle zone d’inizio e di fine della regione d’interesse, permettano alla polimerasi di ‘adagiarsi’ sulla sequenza genica e di ottenere, per aggiunta dei nucleotidi presenti nella miscela di reazione, le copie del frammento in esame grazie ad una combinazione di tempi e temperature.
I prodotti della reazione di PCR sono stati analizzati attraverso corsa elettroforetica su gel di agarosio (2%) e visualizzati dopo colorazione. Di seguito la tabella riporta i dati utilizzati per la preparazione dei campioni:
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Miscela di reazione |
Volume (µL) |
|
Acqua deionizzata sterilizzata DNasi free |
15,75 |
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Tampone PCR 10x |
2,5 |
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MgCl₂ 25 mM |
2 |
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AmpliTaq Gold (DNA polimerasi) 5 U/µL⁻¹ |
0,25 |
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DNA genomico proveniente dal campione |
2 |
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dNTPs (soluzione dei quattro nucleotidi trifosfati) |
2 |
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Primer Forward 5’- AGA GTT TGA TCM TGG CTC AG -3’ |
0,25 |
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Primer Reverse 5’- GGT TAC CTT GTT ACG ACT T -3’ |
0,25 |
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Volume finale |
25 |
Tab. 1 -Componenti della miscela di reazione utilizzati nell’esperienza di laboratorio (dati tratti da [Fanti, 2020, p. 228]).
La tabella seguente indica invece tempi e temperature per la corsa
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Fase |
Temperatura |
Tempo |
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Denaturazione iniziale |
96 °C |
5 min |
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Denaturazione |
95 °C |
45 s |
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Allineamento dei primer |
60 °C |
45 s |
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Estensione |
72 °C |
1 min 30 s |
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Estensione finale |
72 °C |
10 min |
Tab. 2 -Tempi e temperature della corsa utilizzati nell’esperienza di laboratorio (dati tratti da [Fanti, 2020, p.228]).
La scelta dell’RNA 16S, pur lontana dal contesto dell’archeogenetica, ha permesso di garantire la replicabilità e l’efficacia didattica dell’attività. Come opportunamente suggerito da un anonimo revisore, che ringraziamo sentitamente per l’indicazione che permetterà di migliorare la qualità e l’efficacia del progetto, in futuro sarà invece interessante proporre un’esperienza a partire da un campione di suolo (eventualmente arricchito con una coltura batterica per aumentare la resa dell’estrazione del DNA), così da simulare in modo ancora più vicino alle pratiche di ricerca ciò che avviene nello studio del DNA ambientale applicato all’archeogenetica
Fase 5 – Le migrazioni antiche: la teoria «Out of Africa 2» e simulazione fisica degli allotipi
Dopo aver approfondito il ruolo del DNA antico, il percorso è proseguito con l’esplorazione delle principali teorie evolutive sulle migrazioni delle popolazioni umane antiche, con particolare attenzione ai contributi di Luigi Luca Cavalli Sforza, tra i primi studiosi ad integrare dati genetici, linguistici e archeologici nello studio dell’evoluzione umana [Cavalli Sforza et al., 2004]. La lezione ha illustrato in particolare la teoria genetica dell’«Out of Africa 2», secondo cui tutti gli esseri umani moderni (Homo sapiens) discendono da popolazioni che si sono originate in Africa orientale circa 200.000 anni fa. Secondo questa teoria, piccoli gruppi di Homo sapiens hanno iniziato a migrare fuori dall’Africa tra 70.000 e 50.000 anni fa, diffondendosi progressivamente in Asia, Europa e poi nel continente americano e in Oceania. Durante questi spostamenti, a causa dell’isolamento geografico e dell’adattamento a contesti ambientali differenti, si sono sviluppate variazioni genetiche locali, che tuttavia rappresentano solo una minima parte della variabilità genetica complessiva dell’umanità [Cann et al., 1987]; [Ramachandran et al., 2005]; [Deshpande et al., 2009].
All’interno di questa lezione è stato introdotto il concetto di allotipo, definito come una variante genetica ricorrente in una popolazione che rappresenta un insieme di sequenze di DNA associate a determinati tratti ereditari. Gli allotipi non definiscono le ‘razze’, bensì gruppi genetici regionali, che testimoniano i percorsi storici e le migrazioni delle antiche comunità umane.
Per rendere visibile e concreta questa teoria è stata proposta una simulazione fisica in aula:
Gli studenti sono stati suddivisi in gruppi colorati, ognuno rappresentante un differente allotipo genetico ipotetico;
L’aula è stata suddivisa in spazi corrispondenti ai diversi continenti;
Partendo dall’Africa, i gruppi si sono spostati progressivamente verso Asia, Europa e Americhe, simulando il percorso migratorio;
Durante il percorso, sono stati introdotti eventi simulati (isolamenti geografici, mutazioni casuali, contatti tra gruppi) per rappresentare i fenomeni che, nella storia reale, hanno generato le differenziazioni genetiche regionali.
Attraverso questa attività, gli alunni hanno potuto visualizzare concretamente i processi di dispersione e diversificazione genetica, superando l’idea statica delle ‘popolazioni separate’ e imparando a vedere la storia umana come un processo dinamico di migrazioni, contatti e trasformazioni. La fase si è conclusa con una riflessione collettiva sulle implicazioni sociali e culturali della teoria «Out of Africa», sottolineando come la genetica moderna dimostri l’unità di fondo della specie umana, nella quale le differenze genetiche regionali sono il frutto di processi storici e ambientali e non il segno di barriere invalicabili tra i popoli.
Durante la lezione è emerso anche il tema dei fattori che, nel tempo, hanno prima ostacolato e poi reso possibile ad Homo sapiens di intraprendere diversi tentativi di allontanamento dal continente africano. Agli studenti è stata posta una domanda sulle possibili circostanze di questa uscita, alla quale hanno risposto in modo corretto, individuando, attraverso il confronto e la discussione tra ipotesi, alcuni elementi di tipo demografico. spinte ecologiche e fattori climatici. Questa ultima riflessione ha condotto gli studenti, in modo naturale e spontaneo, a interrogarsi anche sulla complessità delle sfide globali ed ecologiche legate al cambiamento climatico e all’Antropocene, evidenziando come questo approccio favorisca lo sviluppo del pensiero critico e contribuisca alla costruzione di competenze per una cittadinanza consapevole.
Fase 6 – Cromosoma Y e DNA mitocondriale: genetica evolutiva e scienza forense
La sesta fase ha approfondito il ruolo del cromosoma Y e del DNA mitocondriale (mtDNA) nello studio della storia evolutiva umana e nelle applicazioni forensi. La lezione ha avuto una valenza sia teorica che orientativa, mostrando come le tecniche genetiche applicate all’archeologia trovino utilizzo anche in altri ambiti professionali, quali la genetica forense e la diagnostica molecolare. Questa fase è stata curata dal docente di laboratorio di microbiologia e biotecnologie delle classi, già ricercatore universitario in biotecnologie, che ha saputo intrecciare la propria esperienza professionale con il percorso scolastico degli studenti. La lezione si è sviluppata come un momento di dialogo laboratoriale, nel quale il docente ha stimolato gli studenti nel richiamare e approfondire conoscenze già acquisite nei moduli di genetica molecolare e biotecnologie affrontati nel biennio e nel terzo anno, agganciandosi coerentemente al curricolo scolastico.
Attraverso un linguaggio tecnico ma accessibile, il docente ha ripreso i concetti chiave di:
trasmissione unilineare del cromosoma Y (tramite la linea paterna) e del DNA mitocondriale (tramite la linea materna);
tracciabilità genetica delle linee di discendenza, utilizzata per ricostruire le migrazioni antiche e l’evoluzione dei gruppi umani;
applicazioni pratiche di questi marcatori genetici nella scienza forense, con esempi di casi reali di identificazione di resti umani in scenari investigativi.
Sono stati presentati nel contesto anche dei casi di studio concreti, tratti dalla genetica applicata alle indagini criminali, che mostrano come i metodi scientifici studiati in classe possano esser impiegati in contesti altamente professionali e socialmente rilevanti.
Questa fase si è rivelata particolarmente orientante per il percorso: dal punto di vista didattico, questa ‘tappa’ ha valorizzato il richiamo ai contenuti pregressi del curriculum scolastico, stimolando negli studenti un approccio metacognitivo e riflessivo: la genetica e le biotecnologie, già incontrate nelle lezioni, nei manuali e nei laboratori scolastici, hanno assunto qui un significato nuovo, collegato a scenari reali e interdisciplinari.
Fase 7 – Analisi critica dei contesti archeologici e revisione delle ipotesi
Questa fase ha rappresentato un momento chiave nell’applicazione delle competenze trasversali e disciplinari, attraverso un’attività che ha coinvolto gli studenti in un esercizio di ricostruzione storica e interpretazione critica di differenti contesti archeologici. L’attività ha previsto l’analisi di sepolture antiche, proposte sotto forma di fotografie di scavi reali e di disegni archeologici che illustrano la disposizione dei resti e dei reperti. Gli studenti, suddivisi in piccoli gruppi collaborativi (6-7 persone), hanno lavorato su materiali diversi, ricevendo ciascuno un contesto archeologico distinto (scelto adeguatamente, in modo da contenere una ‘sfida scientifica’ da parte della docente universitaria) su cui riflettere attentamente. A partire dagli elementi osservabili nelle immagini, i gruppi sono stati invitati a:
rintracciare con attenzione i dati visivi disponibili, sviluppando capacità di lettura critica e analitica delle immagini;
formulare ipotesi plurali e argomentate su ciò che poteva esser accaduto nel contesto rappresentato;
discutere tra pari, negoziando significati e confrontando i differenti punti di vista, cercando di costruire così un’ipotesi condivisa del gruppo tra quelle emerse nel dialogo tra i membri del team.
La riflessione è stata guidata da alcune domande chiave, formulate per stimolare competenze di pensiero critico, problem solving e pensiero creativo [Pizzato, Ferrara 2022]:
«Che cosa è successo secondo voi in questo luogo?»
«Cosa ci racconta questo contesto di scavo? Quali attività umane, eventi o pratiche sociali potrebbero aver generato questa situazione?»
«Se foste archeologi di fronte a questo scenario, quale o quali ipotesi formulereste? Su quali elementi concreti basereste le vostre interpretazioni?»
«Potete elaborare più di un’ipotesi plausibile? Come giustifichereste le vostre ipotesi alla luce degli indizi visibili? Sono tutte ugualmente plausibili sulla base delle vostre conoscenze?»
Gli allievi hanno quindi presentato pubblicamente le proprie ipotesi agli altri gruppi, esercitando competenze argomentative e comunicative, sostenendo così le loro idee sulla base di elementi concreti ed osservabili. L’esito è stato molto positivo poiché tutti i team hanno tenuto conto di elementi fondamentali come:
la presenza di corredi funebri (oggetti deposti accanto ai defunti);
morfologia del sito;
la tipologia e posizione delle fratture ossee, indicatrici di eventi traumatici o rituali;
la grandezza e morfologia degli scheletri (utili a ipotizzare età, sesso e condizioni fisiche);
la disposizione spaziale dei corpi e la stratigrafia del contesto funerario (identificata dai colori del terreno).
Dopo questa prima fase di analisi qualitativa, i docenti hanno fornito ai gruppi nuovi dati scientifici noti per i contesti analizzati: datazioni al radiocarbonio (14C), dati palinologici, e profili genetici (DNA mitocondriale e cromosoma Y). Riaprendo il confronto alla luce dei nuovi elementi, gli studenti hanno potuto rivedere criticamente le proprie posizioni, comprendendo come il metodo scientifico consista in un processo di revisione continua, capace di integrare dati empirici e interpretazioni storiche.
Nella prima parte dell’attività, ad esempio, complice esclusivamente l’analisi visiva (dimensioni degli scheletri, posizione reciproca, presenza di corredi e segni di fratture o traumi), alcuni gruppi hanno formulato differenti ipotesi, tra cui l’idea che due individui sepolti vicini – un adulto e un giovane – potessero essere padre e figlio, tumulati insieme in un unico lasso di tempo. Tuttavia, l’introduzione successiva dei dati chimici e genetici ha messo in discussione questa posizione iniziale: le analisi genetiche hanno dimostrato l’assenza di parentela biologica tra i due individui; le datazioni al radiocarbonio (14C) hanno rivelato che i due scheletri appartengono a periodi storici distanti tra loro di diversi secoli. Questa scoperta ha spinto gli studenti a rivedere radicalmente le proprie idee, comprendendo che la prossimità fisica dei corpi non è indice necessariamente di una contemporaneità cronologica o di un legame familiare. È stato infatti spiegato che l’ambiente della grotta, in assenza di processi sedimentari significativi e dopo un crollo della parete prossima agli scheletri, può conservare resti di epoche diverse nello stesso ‘strato apparente’, ingannando anche osservatori esperti. In altri casi, i gruppi hanno scoperto, grazie ai dati genetici, che alcuni contesti funerari non rappresentavano gruppi familiari omogenei, bensì persone appartenenti a comunità distinte, sepolte forse nello stesso luogo per ragioni rituali o sociali che restano in parte da decifrare, ma rese significative dalla presenza di polline rilevato dalla palinologia.
Uno degli spunti più significativi è emerso, però, dall’analisi di alcune sepolture di guerrieri tardo-antichi attribuiti ai Vichinghi. Inizialmente, gli studenti avevano ipotizzato sulla base di altezza e corredo che si trattasse di uomini adulti. L’analisi genetica ha invece rivelato che alcuni di questi scheletri erano in realtà donne [Hedenstierna-Jonson et al., 2017], dimostrando come il DNA possa contribuire a riscrivere i ruoli di genere nella storia, superando visioni tradizionali fondate su pregiudizi culturali e interpretazioni ideologiche spesso parziali. Questa scoperta ha portato ad una discussione ampia sul ruolo della genetica nella correzione di narrazioni storico-sociali consolidate, sottolineando come la ricerca scientifica possa aprire nuove prospettive sul passato favorendo una visione più inclusiva e complessa delle società antiche e rileggendo così, di conseguenza, anche il nostro presente.
A questo punto la docente ha introdotto la società neolitica della penisola iberica, esempio calzante in quanto proprio qui il DNA mitocondriale ha permesso di riscrivere la storia dei ruoli di genere e di riscoprire una società prospera e cronologicamente duratura basata sulla linearità femminile (Sánchez Romero, 2022). In questo modo, si è messa in discussione l’idea che il genere determini in modo naturale i compiti sociali attribuiti a uomini e donne nelle comunità umane, mostrando invece come tali ruoli siano il risultato di costruzioni socio-culturali. Attraverso queste esperienze concrete, gli studenti hanno potuto:
sperimentare in modo attivo il processo di revisione critica delle ipotesi alla luce di nuovi dati;
comprendere come la ricostruzione storica sia un processo aperto, fondato su fonti multiple e dialoganti;
esercitare competenze trasversali quali il pensiero critico, il problem solving e la comunicazione argomentativa, presentando e difendendo le proprie ipotesi in modo collaborativo;
Mettere in discussione precognizioni e stereotipi ancorati ad una interpretazione errata del passato (Bias della Tradizione) e della naturalità (Bias Essenzialista; Fallacia Naturalistica).
Questa fase ha rappresentato il culmine del percorso formativo, permettendo agli alunni di simulare un’esperienza reale di ricerca storica e scientifica, in cui le ipotesi vengono formulate, discusse e – quando necessario – radicalmente riviste, in un’ottica di apprendimento autentico e orientato alla complessità del reale.
Fig. 3 -Illustrazione di Evald Hansen basata sul piano originale della tomba Bj 581 di Björkö in Svezia (VIII secolo d.C.) realizzato dallo scopritore Hjalmar Stolpe; immagine pubblicata nel 1889 [Stolpe, 1889].
Fase 8 – Progettare e realizzare un poster scientifico: un esempio di compito autentico nel panorama della comunicazione della scienza
La fase conclusiva del percorso ha proposto agli studenti un compito autentico, inteso come attività reale e situata, che simuli concretamente una pratica professionale: la produzione di un poster scientifico, tipico strumento di comunicazione utilizzato in contesti accademici, museali e divulgativi. Questa attività ha consentito agli allievi di mettere in pratica, in maniera integrata e autonoma, le conoscenze e le competenze sviluppate nel corso del progetto: la capacità di selezionare dati rilevanti, di sintetizzare le informazioni, di strutturare un discorso scientifico coerente e infine di comunicare i risultati ad un pubblico non specialistico.
L’attività si è aperta con una lezione partecipativa, guidata da formatori accademici, incentrata sulle caratteristiche fondamentali del poster quali: la struttura logica (introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione e conclusioni); i principi di design visuale efficace (organizzazione dello spazio, scelta delle immagini e gerarchia dei testi) adatto a trasmettere contenuti scientifici in modo chiaro e accessibile, mantenendo il rigore concettuale.
Questa fase teorica è stata seguita da un laboratorio di progettazione, durante il quale gli studenti, divisi autonomamente in quattro team di lavoro, hanno iniziato a progettare e costruire i loro poster, supportati dai docenti della scuola che hanno avuto un ruolo di facilitatore e consulente, lasciando ai gruppi la responsabilità delle scelte contenutistiche e grafiche.
Utilizzando Canva come principale strumento di impaginazione, le équipe hanno prodotto quattro poster scientifici, ciascuno dei quali ha raccontato una diversa dimensione del progetto contenenti:
l’analisi dei dati archeologici e genetici e la ricostruzione dei contesti di scavo;
la spiegazione della teoria «Out of Africa» e la simulazione delle migrazioni umane;
la revisione critica delle ipotesi archeologiche alla luce delle evidenze scientifiche;
il metodo di lavoro sperimentale adottato in laboratorio (estrazione dell’RNA e PCR).
Il processo di realizzazione dei poster ha rappresentato un momento di sintesi interdisciplinare e di esercizio d’autonomia, in cui gli studenti hanno dovuto scegliere quali contenuti inserire e quali escludere, costruire argomentazioni chiare e coerenti, organizzare le informazioni in modo visivamente efficace e coordinarsi all’interno del gruppo per suddividere le mansioni e rispettare le scadenze. Il compito autentico del poster scientifico ha rappresentato così non solo un prodotto finale, ma un ulteriore momento di apprendimento significativo, capace di restituire agli studenti il senso del lavoro svolto e di prepararli a future sfide professionali e formative.
Risultati e iterazioni
L’esperienza di Life Finds a Way, realizzata in due edizioni consecutive nel 2024 e nel 2025, ha coinvolto complessivamente 43 studenti, offrendo un contesto ricco e articolato per osservare i processi di apprendimento e di sviluppo delle competenze. Attraverso una pluralità di strumenti – dalle osservazioni in aula alle autovalutazioni degli studenti, dalle discussioni collettive nei momenti di debriefing ai prodotti finali realizzati (poster scientifici e riflessioni scritte) – è stato possibile ricostruire il percorso di crescita cognitiva ed esperienziale compiuto dai partecipanti.
Uno dei risultati più evidenti è stato il progressivo affinamento delle competenze trasversali e disciplinari, in particolare per quel che riguarda la capacità di connettere teoria e pratica. Gli studenti, posti di fronte a problemi complessi e situazioni realistiche, hanno saputo attivare modalità di lavoro collaborativo, mostrando un miglioramento significativo nel problem solving individuale e di gruppo, soprattutto nelle fasi di formulazione e revisione delle ipotesi archeologiche. La lettura dei dati, inizialmente timida e talvolta condizionata dai preconcetti, s’è progressivamente trasformata, con entusiasmo, in un esercizio di analisi critica, capace di accogliere anche i risultati inattesi o contraddittori emersi dalle analisi genetiche e archeometriche. Infine, la sfida della comunicazione scientifica – concretizzata nella realizzazione e presentazione dei poster finali – ha permesso agli allievi di esercitare e rafforzare abilità di sintesi, chiarezza espositiva e argomentazione, utilizzando un linguaggio accessibile ma più rigoroso del consueto.
Sul piano motivazionale, l’attività si è dimostrata fortemente coinvolgente. La dimensione narrativa e ludica, unita alla simulazione dei ruoli professionali, ha contribuito a rendere vivi e concreti i contenuti disciplinari, aumentando la motivazione intrinseca degli studenti e la percezione di senso rispetto ai saperi appresi.
Dal confronto collettivo finale è emersa inoltre una nuova consapevolezza orientativa: molti studenti hanno dichiarato di aver scoperto ambiti professionali e di ricerca di cui non conoscevano l’esistenza – archeogenetica, museologia scientifica, genetica forense, paleobotanica ecc. – ampliando così i propri orizzonti formativi e professionali; alcuni alunni hanno inoltre sostenuto di avere ripensato al proprio percorso dopo la secondaria alla luce di quanto vissuto e appreso nell’esperienza Life Finds a Way.
Il progetto si è sviluppato in modo iterativo, evolvendo e migliorando da un anno all’altro grazie ai feedback raccolti. La prima edizione (2024) ha evidenziato alcune difficoltà nella gestione autonoma dei ruoli professionali da parte degli studenti, difficoltà che nella seconda edizione (2025) sono state affrontate introducendo materiali di supporto più chiari e strutturati (come le fotografie ‘di campo’ per i ruoli che rappresentano i diversi attori impegnati nel lavoro di scavo e analisi dei dati archeologici). Anche la qualità dei poster scientifici ha mostrato un netto miglioramento nella seconda edizione.
Questi risultati testimoniano la potenzialità trasformativa dei percorsi didattici integrati, orientativi e situati, capaci di coniugare sia rigore scientifico che coinvolgimento personale, costruendo un ambiente d’apprendimento orientato allo sviluppo delle competenze per il futuro.
Conclusioni
Il progetto Life Finds a Way, articolato lungo due edizioni e sviluppato in un contesto di istituto tecnico, ha rappresentato un’esperienza significativa di didattica orientativa e interdisciplinare, in grado di coniugare l’insegnamento delle scienze ‘dure’ (biotecnologie e genetica evolutiva) con le scienze storiche e umanistiche (archeologia, storia e comunicazione della scienza).
Lungo tutto il percorso si è cercato di superare l’approccio trasmissivo tradizionale, offrendo agli studenti situazioni autentiche di apprendimento: simulazioni professionali, lavori di gruppo, laboratori scientifici e momenti di riflessione critica che li hanno posti al centro del processo formativo. La scelta di utilizzare la narrazione, la simulazione, il gioco di ruolo e l’analisi di contesto secondo la prospettiva integrata delle neuroscienze [Pizzato, Ferrara, 2022] ha reso possibile sviluppare non solo competenze disciplinari, ma anche trasversali: pensiero critico, problem solving collaborativo, capacità comunicativa e riflessività orientativa.
L’intero progetto ha avuto come filo conduttore il confronto con il passato umano attraverso le tracce biologiche e culturali lasciate nel tempo. Grazie al costante confronto con la storia della scienza, gli alunni hanno potuto sperimentare come il sapere scientifico e storico non sia mai permanente, bensì frutto di ipotesi, revisioni e nuove scoperte. L’analisi del DNA antico e dei contesti archeologici, così come la discussione sugli stereotipi di genere nella Preistoria, hanno offerto occasioni concrete per interrogare criticamente modelli interpretativi e consolidati e infine per allenare gli studenti a esser parte di una cittadinanza scientifica consapevole e critica.
Un altro aspetto rilevante emerso dal percorso è la riscoperta del valore orientativo delle discipline, intese non come ambiti separati dalla vita reale, bensì strumenti per leggere la complessità del mondo e costruire percorsi professionali e personali consapevoli e non unidirezionali, superando così l’idea del ‘marketing delle professioni’.
La collaborazione tra scuola e mondo accademico – con docenti provenienti sia da panorama dalle scienze umane che da quello delle sperimentali – ha permesso di costruire un modello formativo co-progettato, in grado di integrare i bisogni educativi della scuola con i linguaggi e le metodologie della ricerca scientifica contemporanea nella cornice unificante offerta dalla storia della scienza. Infine, l’esperienza laboratoriale, culminata nella produzione dei poster, ha rappresentato un esempio concreto di compito autentico, capace di coniugare autonomia operativa, rigore metodologico e capacità di comunicazione scientifica efficace.
Le riflessioni emerse dalle due edizioni confermano il potenziale di questa esperienza come modello replicabile per percorsi di orientamento interdisciplinare negli istituti tecnici. Il lavoro futuro potrà concentrarsi sul rafforzamento della valutazione formativa lungo tutto il percorso e sull’ampliamento della rete di collaborazione tra scuole e istituzioni accademiche. In definitiva, il progetto ha mostrato come sia possibile proporre una didattica orientativa capace di unire contenuti, esperienze e riflessioni personali, promuovendo negli studenti una visione della scienza come processo aperto, dinamico e profondamente umano.
Ringraziamenti
Desideriamo ringraziare Claudia Battarra, Antonello Amelii e Massimo Crimi del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona per il loro prezioso supporto scientifico e tecnico durante il laboratorio di estrazione del genoma. Un sentito ringraziamento va anche a Massimiliano Badino, del Dipartimento di Scienze Umane e coordinatore del progetto POT, e all’UO Orientamento dell’Università di Verona per il loro costante sostegno organizzativo. Infine, ringraziamo due anonim* revisor* per aver contribuito al miglioramento metodologico e al rafforzamento del percorso fornendo utili suggerimenti per le prossime edizioni del progetto.