Cento anni di storia della scienza a Firenze
Università di Padova, Università Ca’ Foscari di Venezia paolabernadette.dilieto@phd.unipd.it
Mostra a cura di Giovanni Di Pasquale e Alessandra Lenzi. Museo Galileo, Firenze, 20 giugno – 19 ottobre 2025
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Con Cento anni di storia della scienza a Firenze, il Museo Galileo celebra il centenario della propria fondazione invitando il pubblico a ripercorrere un secolo di storia, istituzionale e disciplinare insieme. Curata da Giovanni Di Pasquale e Alessandra Lenzi, rispettivamente vicedirettore scientifico e responsabile della biblioteca e degli archivi del Museo, la mostra non si limita a rievocare l’evoluzione dell’Istituto e Museo di Storia delle Scienze — fondato dal medico Andrea Corsini nel 1925 — ma la utilizza come chiave per ricostruire come la disciplina si sia articolata e consolidata a Firenze nel corso di un secolo. A completare il progetto espositivo è stata realizzata la pubblicazione 1925-2025. Museo Galileo: cento anni di storia della scienza, a cura di Giovanni Di Pasquale, che riunisce diversi contributi di studiose e studiosi di storia della scienza.
Il percorso si apre con una dichiarazione d’intenti, formulata come un auspicio: «Il più bel Museo di storia delle scienze del mondo». L’iscrizione, riportata sul pavimento all’ingresso, riprende le parole con cui Corsini, nel 1925, espresse al rettore dell’Università di Firenze l’ambizione che avrebbe guidato la nascita dell’Istituto. A distanza di cent’anni, quella formula programmatica diventa il punto di partenza per una riflessione sul museo come luogo di costruzione della memoria scientifica e sul ruolo che ha avuto nella definizione di una tradizione di studi storico-scientifici.
L’allestimento si sviluppa su due livelli complementari: una linea del tempo che ripercorre un secolo di vicende istituzionali e una sequenza di vetrine in cui dialogano libri, strumenti e documenti. Più che ricostruire una cronologia, la mostra mette in luce come la storia del Museo si rifletta nel suo patrimonio, oggi testimone materiale della disciplina. Pur con uno sguardo interno all’istituzione, l’esposizione restituisce con chiarezza la stratificazione storica del Museo e delle sue collezioni.
I volumi provenienti dalle raccolte medicee aprono il percorso, suggerendo una continuità ideale tra la Firenze granducale e la fondazione del museo. Raccolti a partire da Cosimo I e messi a disposizione degli scienziati di corte, questi testi testimoniano una delle prime forme di circolazione del sapere scientifico, e la loro presenza all’inizio della mostra richiama la lunga durata di un’idea di scienza come bene condiviso.
Lungo la linea del tempo, documenti, fotografie e corrispondenze tracciano la storia dell’Istituto: la trasformazione in Ente Morale nel 1927, l’Esposizione nazionale di storia della scienza del 1929, l’inaugurazione del Museo negli anni Trenta, fino alle interruzioni della guerra e ai danni dell’alluvione del 1966. Le immagini dedicate a quest’ultima — i locali invasi dal fango, i ritagli di giornale, le testimonianze delle operazioni di recupero, tra cui quelle dell’allora direttrice Maria Luisa Righini Bonelli — restituiscono la portata della distruzione e l’impegno collettivo che ne seguì. Lo stesso spirito di solidarietà è evocato dal ricordo della cosiddetta “Accademia degli Infangati”, nata in quei giorni tra studiosi e volontari impegnati nel salvataggio delle collezioni. A chiudere la sezione, il volume Anatomia universale di Paolo Mascagni, danneggiato durante l’alluvione e restaurato nel 2015, rimanda alla lunga vicenda di recupero che seguì quell’evento, ricordando al tempo stesso la fragilità del patrimonio.
In diversi punti del percorso, la mostra accosta strumenti e testi, mettendo in evidenza la relazione tra oggetto e documento che ne chiarisce significato e contesto d’uso. I Saggi di naturali esperienze fatte nell’Accademia del Cimento di Lorenzo Magalotti, esposti accanto a una serie di termometri cinquantigradi, la cassetta chirurgica ideata da Alessandro Brambilla presentata insieme al suo trattato, o il microscopio solare della ditta Dollond accompagnato dal foglio con le istruzioni d’uso, mostrano come ogni oggetto trovi nel documento la propria estensione interpretativa, e come, viceversa, i testi prendano corpo nella dimensione materiale dello strumento. Allo stesso tempo, la sezione dedicata al Reale Museo di fisica e storia naturale — fondato nel 1775 da Pietro Leopoldo — stabilisce un ponte con la tradizione settecentesca della scienza pubblica e didattica, richiamando l’idea di un sapere accessibile, utile e collettivo.
In questa prospettiva, la mostra alterna materiali eterogenei — strumenti, incisioni, trattati — per ricostruire il modo in cui l’Istituto e Museo di Storia delle Scienze si è formato come luogo di convergenza tra ricerca, conservazione e divulgazione scientifica. L’automa di Friedrich von Knauss e il De astrologia di Ottavio Pisani rievocano la dimensione ludica e spettacolare della conoscenza, mentre la sezione dedicata a Galileo riporta al centro la figura che più di ogni altra ha segnato la storia e l’identità dell’istituto. Le opere esposte — dal Compasso geometrico et militare ai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mecanica e i movimenti locali — dialogano con la memoria delle iniziative promosse nel tempo, dalle mostre galileiane promosse da Maria Luisa Righini Bonelli fino all’esposizione del 2009 curata da Paolo Galluzzi e alle attività intraprese negli anni successivi.
La presenza di Righini Bonelli, direttrice dal 1961 al 1981, attraversa il percorso come filo conduttore. Le fotografie che la ritraggono durante le attività presso l’Istituto e Museo e la Sarton Medal ricevuta nel 1979 ricordano una stagione decisiva per la definizione del museo come centro di ricerca internazionale e per il rinnovamento degli studi storico-scientifici in Italia.
L’ultima sala amplia il discorso dal punto di vista tematico: le tavole dedicate alla cupola del Brunelleschi e allo gnomone fiorentino di Leonardo Ximenes si affiancano ai trattati di John Babington e di Erone Alessandrino, unendo arte, ingegno tecnico e fascinazione visiva. In questa parte del percorso, la presenza di modelli meccanici riprende e attualizza quella tradizione di meraviglia sperimentale, mettendo in scena il funzionamento dei dispositivi descritti da Erone e restituendo la dimensione spettacolare della scienza.
L’ultima parte dell’esposizione guarda infine al presente, mostrando alcune delle acquisizioni più recenti del Museo Galileo: strumenti, manoscritti, fondi librari appartenuti a figure attive nel campo della storia della scienza, insieme ai Manuali Hoepli, simbolo di una cultura tecnico-scientifica moderna e diffusa. È un modo per ricordare che il museo continua a crescere e ad aggiornarsi, assumendo nel proprio patrimonio non solo testimonianze di un passato remoto, ma anche tracce della storia più recente della scienza e della sua diffusione.
Nel suo insieme, Cento anni di storia della scienza a Firenze costruisce un racconto che intreccia memoria istituzionale e patrimonio materiale. L’esposizione mette in luce il ruolo del Museo Galileo come custode e interprete di una tradizione di studi, e come luogo in cui la ricerca e la cura delle raccolte continuano a rinnovare il dialogo tra scienza, storia e pubblico.