"L’occhio della scienza", a cura di Claudia Addabbo, Stefano Casati
Università di Milano, La Statale ilaria.ampollini@unimi.it
Catalogo della mostra (Pisa, Museo della Grafica/Firenze, Museo Stibbert, 11 novembre – 26 febbraio 2023), Pisa, Edizioni ETS, 2022, pp. 324. ISBN: 9788846764911
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Come sottolineato da Claudia Addabbo e Stefano Casati nell’Introduzione al catalogo (pp. 21-31), il progetto L’occhio della scienza custodisce in sé gli spunti e il materiale per sviluppare molteplici altre mostre, essendo nato dal principio con l’intenzione di costruire «una proposta epistemologica» e un «punto di partenza di un percorso scientifico visuale». E in effetti, le esposizioni Un secolo di fotografia scientifica in Italia (1839-1939), allestita presso il Museo della Grafica di Pisa, e Giorgio Roster e Odoardo Beccari, esploratori di luoghi e immagini, ospitata dal Museo Stibbert di Firenze, illustrano un’ampia serie di percorsi possibili per esplorare la relazione tra fotografia e ricerca scientifica. Le due mostre, nate dall’iniziativa del Sistema Museale dell'Università di Pisa e del Museo Galileo di Firenze, hanno potuto contare su numerose collaborazioni e sul materiale proveniente da svariati archivi, tra cui la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Fondazione Alinari per la Fotografia, nonché l’Università di Firenze.
È chiaro che il progetto si inserisce nel contesto di una storiografia che, sia a livello nazionale che a livello internazionale, da qualche decennio si interessa delle fonti visuali e materiali e ha ampiamente dimostrato come esse siano essenziali per un approccio ‘esternalista’ alla storia delle scienze che possa dirsi tale. Sono infatti proprio questo tipo di fonti a costituire spesso un ponte fecondo verso gli aspetti sociali, culturali, politici ed economici connaturati alla pratica scientifica, nonché ad aprire finestre sulla conoscenza nel suo farsi e nella sua circolazione.
Grazie a un esteso ed eterogeneo corpus di queste fonti, L’occhio della scienza indaga il rapporto composito e complesso che lega la fotografia alla scienza. Se da una parte l’apparecchiatura fotografica è un prodotto tecnologico figlio delle conoscenze acquisite nel campo dell’ottica, dall’altra parte l’indagine scientifica diviene a sua volta figlia dell’immagine fotografica, nella misura in cui questa sostituisce gradualmente il disegno e permette di accedere a nuovi orizzonti. È insomma un caleidoscopio quello che troviamo davanti ai nostri occhi e i tanti contributi che animano il catalogo ne sono una solida prova.
Un secolo di fotografia scientifica in Italia (1839-1939) esplora, nelle quattro sezioni Umano, Vivente, Terra, Cielo, i diversi campi in cui la fotografia ha contribuito in modo fondamentale a sviluppare inedite piste di ricerca, ad arricchire gli approcci epistemologici oppure a raccogliere in modo più efficace e accurato i dati sperimentali (pp. 43-156).
Umano offre una panoramica di come l’immagine fotografica svolse un ruolo cruciale nello studio dell’uomo, sia nell’ambito dell’antropologia, che in quello della psichiatria, per arrivare infine, anche se con un certo ritardo, alla fotografia giudiziaria e all’antropologia criminale (pp. 45-79). Tra il materiale in mostra, spiccano senza dubbio gli studi di Paolo Mantegazza (1831-1910) sulle espressioni del dolore e della sensibilità (pp. 45-53), confluiti nel fondamentale Atlante della espressione del dolore, pubblicato a Firenze nel 1876; ma anche le fotografie di Lidio Cipriani (pp. 55-58), indelebilmente fedeli a uno sguardo colonialista, e la documentazione relativa agli ospedali psichiatrici (pp. 69-74).
Vivente si occupa invece dell’uso della fotografia in botanica e zoologia (pp. 81-105). Se quest’ultima vide fin da subito un intenso dispiego dell’apparecchio fotografico, che ritraeva sia animali in cattività, per esempio negli zoo della Penisola, sia animali esotici nei loro habitat naturali, sia gli esemplari tassidermizzati conservati nei musei (pp. 81-85), le specie vegetali continuarono a contare più a lungo sul disegno (pp. 97-101). Proprio il disegno consentiva infatti di scegliere quali particolari accentuare o ingrandire, indirizzando l’occhio del lettore dove era necessario e guidandolo dunque nello studio di una determinata specie vegetale, assolvendo così a pieno le necessità didattiche e divulgative. Tuttavia, più le tecniche fotografiche si affinarono, più diventarono uno strumento diffuso anche in ambito botanico.
Furono al contrario presto chiare le enormi possibilità che la fotografia offriva nell’osservazione e nello studio della Terra: l’omonima sezione (pp. 107-143) include, sotto questo termine, un ampio ventaglio di declinazioni, che vanno dall’archeologia alla sismologia, passando per la fotogrammetria. Si può in questo caso, come fa Andrea Cantile nel contributo a sua firma (pp. 107-117), parlare di una vera e propria ‘rivoluzione’, che trovò uno dei suoi momenti fondamentali nelle sperimentazioni foto-topografiche ad opera di Luigi Pio Paganini (1848-1916). Molto interessanti, oltre che rivelatrici, sono inoltre le fotografie di terremoti ed eruzioni vulcaniche, che ci chiamano a riflettere una volta di più sulla rappresentazione della catastrofe. Si tratta infatti di un filone che ha attraversato epoche e luoghi differenti, rinnovandosi di volta in volta a seconda degli strumenti disponibili: il saggio di Giovanni Fanelli e Graziano Ferrari (pp. 125-131) e quello di Stefano Branca (pp. 133-136) illustrano chiaramente il ruolo centrale svolto dalla fotografia di fronte a scosse sismiche ed eruzioni tra il secondo Ottocento e l’inizio del Novecento.
Cielo, infine, riserva alla fotografia astronomica lo spazio e l’attenzione dovuti (pp. 145-151). Centrale è qui la figura di Angelo Secchi (1818-1878), che fu il primo in Italia a tentare di coniugare fotografia e osservazione astronomica in occasione dell’eclissi del 1851 e che nel 1857 avrebbe firmato una mappa delle fasi lunari, presentata con successo a Parigi e a Londra l’anno seguente. Splendida è l'immagine che ritrae le 'suore calcolatrici', protagoniste del grandioso progetto astronomico della Carte du Ciel e sulle cui figure resta ancora molto da dire.
Giorgio Roster e Odoardo Beccari, esploratori di luoghi e immagini (pp. 255-277) segue invece nello specifico l’utilizzo della fotografia adottato da Roster e Beccari. Nel farlo, ci permette anche di venire a contatto con la strumentazione impiegata, nonché con quaderni di appunti e alcuni degli esemplari, in particolare mineralogici e botanici, che i due raccolsero. Entrambi membri della Società Fotografica Italiana, assieme a scienziati del calibro di Paolo Mantegazza e a fotografi professionisti come Vittorio Alinari (1859-1932), utilizzarono sistematicamente le tecniche fotografiche sia come metodo di indagine e di documentazione, sia come strumento didattico.
Giorgio Roster (1843-1927), laureato in Medicina, si interessò fin da subito dei nascenti studi in ambito di igiene, così come delle questioni legate alla qualità dell’aria e del suolo; in parallelo, sviluppò un forte interesse per la mineralogia e l’acclimatazione delle piante, che ebbe modo di studiare all’Elba, sua isola nativa. Come riportato da Stefano Casati (pp. 255-261), la scienza dell’igiene utilizzava soprattutto la fotografia al microscopio, ritenendola il mezzo ideale per ottenere immagini oggettive. Casati sottolinea come Roster, tuttavia, tentò a più riprese di perfezionare le immagini ottenute, per renderle più leggibili e dunque utili, anche a discapito della stessa oggettività.
Odoardo Beccari (1843-1920) applicò innanzitutto la fotografia alla botanica, campo in cui ci ha lasciato un’eredità enorme, in gran parte conservata oggi presso le Collezioni Botaniche dell’Università di Firenze e che comprende migliaia di esemplari raccolti nel corso dei suoi numerosi viaggi, oppure spediti dalla sua rete di corrispondenti. Proprio in occasione dei viaggi compiuti, Beccari adottò la riproduzione fotografica anche per ritrarre specie animali, nonché usi e costumi dei popoli indigeni di Borneo e Nuova Guinea.
Come chiaramente evocato dal titolo del progetto espositivo, la lastra fotografica diventò la vera retina dello scienziato (ce lo ricorda anche Greta Plaitano, pp. 60-61). Oggi, di fronte all’uso sempre più intenso e diversificato della fotografia nella sua declinazione digitale, così come di tutte le tecnologie che da essa derivano, non si può certo arretrare davanti alla necessità di esplorarne, sistematicamente e approfonditamente, il passato. La speranza è che le tante piste tracciate da L’occhio della scienza possano trovare un seguito e che la storia della scienza possa popolarle.