N.1 2023 - Scientia | Giugno 2023

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Rivoluzione chimica o Antico Regime? Una nuova interpretazione del ritratto di Jacques-Louis David dei coniugi Lavoisier

Marco Beretta

Università degli Studi di Bologna; marco.beretta@unibo.it

Desidero ringraziare Silvia A. Centeno, David Pullins, Dorothy Mahon ed Evan Read del Metropolitan Museum di New York per avermi generosamente messo a disposizione delle immagini ad alta risoluzione e per aver chiarito alcuni importanti dettagli presentati nei loro articoli. Ringrazio Denis Pruvrel, del Musée des arts et métiers, per avermi aiutato a leggere l’immagine relativa allo strumento misterioso che è apparso nella prima versione del dipinto di David. Ringrazio i due revisori anonimi per le loro osservazioni e correzioni che mi hanno permesso di migliorare il testo.

Abstract

Nel settembre del 2021 sono usciti due articoli che hanno pubblicato i risultati di analisi particolareggiate condotte durante l’opera di restauro del ritratto di Jacques-Louis David dei coniugi Lavoisier. A partire da questo importante lavoro, gli autori dei due saggi hanno formulato una nuova interpretazione del dipinto e suggerito che nella prima versione la principale intenzione di David e dei suoi committenti era di rappresentare una coppia dell’alta borghesia parigina senza alcun esplicito riferimento agli interessi scientifici che sono poi divenuti centrali nella versione definitiva. Nel presente saggio avanzo un’interpretazione diversa, sottolineando tutti quegli elementi che mettono in continuità le due versioni del dipinto e che offrono due modalità complementari di rappresentare le attività scientifiche svolte dai coniugi Lavoisier presso l’Arsenal.

English abstract

In September 2021, two articles were published presenting the results of detailed analyses conducted during the restoration of Jacques-Louis David's portrait of Mr and Mrs Lavoisier. Based on this important work, the authors of the two essays formulated a new interpretation of the painting and suggested that in the first version, the main intention of David and his patrons was to depict an upper-class Parisian couple without any explicit reference to the scientific interests that later became central in the final version. In the present essay I put forward a different interpretation, emphasizing all the elements that bring continuity between the two versions of the painting, thus showing two complementary ways of representing the scientific activities carried out by the Lavoisiers at the Arsenal.

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L’immagine dell’ascesa sociale dei coniugi Lavoisier

Durante il recente lavoro di restauro del celebre ritratto di Jacques-Louis David (1748-1825) dei coniugi Lavoisier, realizzato nel 1788 e conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York, è emersa la traccia di una prima versione del dipinto i cui elementi principali sono stati pubblicati nel 2021 in due importanti articoli [Pullins et al., 2021]; [Centeno et al., 2021]. L’indagine è stata diretta da un gruppo di scienziati del restauro (Silvia A. Centeno, Federico Carò e Dorothy Mahon) e da uno storico dell’arte (David Pullins) esperto di pittura francese del diciottesimo secolo.

L’approccio del gruppo di ricerca del Metropolitan Museum ha applicato sofisticate tecniche di restauro non invasive e ha portato alla luce una versione preliminare del quadro che differisce in molti punti da quella definitiva. Nell’articolo pubblicato sul Burlington Magazine, gli autori hanno avanzato un’interpretazione storica molto suggestiva dell’evoluzione di questo celebre dipinto, mentre nell’articolo pubblicato su Heritage Science, complementare al primo, si sono concentrati nel fornire i dati scientifici a sostegno della propria interpretazione.

In questo paragrafo mi propongo di descrivere i tratti principali dell’interpretazione data dagli autori alle loro scoperte e nel successivo di fornire alcune suggestioni su una possibile lettura alternativa.

Le differenze tra il dipinto progettato all’origine e quello definitivo sono state visualizzate nelle due illustrazioni seguenti:

Fig. 1a Il disegno ottenuto dall’analisi delle informazioni prodotte dalle indagini non invasive sul dipinto condotte dal team del Metropolitan Museum. The Metropolitan Museum of Art.
Fig. 1b Antoine-Laurent and Marie-Anne Pierrette Paulze Lavoisier (Lavoisier et sa femme), di Jacques-Louis David. 1788. Olio su tela, 259.7 x 194.8 cm. Metropolitan Museum of Art, New York.

Le principali differenze visibili nella prima versione consistono nell’abbigliamento dei coniugi Lavoisier, nell’assenza del drappo rosso che ricopre il tavolo, della sedia con il portfolio di Madame Lavoisier collocati nell’angolo sinistro e degli strumenti di chimica, nella raffigurazione di un globocollocato sul tavolo e nella presenza, sullo sfondo, di una libreria sui cui scaffali si vede una serie omogenea di volumi di grande formato, la maggior parte dei quali recanti sul dorso delle etichette identificative. In alternativa a quest’ultima soluzione, David aveva anche pensato alla rappresentazione di un grosso strumento associato a un recipiente di vetro globulare i cui contorni però non sono chiaramente visibili dalle immagini pubblicate nei due studi citati.

Fig. 2a Il riquadro, in altro a destra, del ritratto di David sottoposto a indagine. Pubblicato da S.A. Centeno, D. Mahon, F. Carò and D. Pullins, «Heritage Science», 9 (August 2021) (Springer Open), https://doi.org/10.1186/s40494-021-00551-y.
Fig. 2b Il dettaglio ingrandito di uno strumento, il cui profilo è evidenziato con le frecce rosse, presente nel riguardo evidenziato nella Fig.2a. Pubblicato da S.A. Centeno, D. Mahon, F. Carò and D. Pullins, «Heritage Science», 9 (August 2021) (Springer Open), https://doi.org/10.1186/s40494-021-00551-y.

Non è chiaro in quale sequenza David abbia esplorato le due alternative, ma in una comunicazione privata uno degli autori suggerisce che l’opzione di rappresentare uno strumento invece della libreria sia stata esplorata in una fase successiva rispetto a quella iniziale, quando cioè si andava già delineando la scelta di un ritratto più vicino nei suoi tratti a quello della versione definitiva.

Passiamo dunque a esaminare brevemente i dettagli che, secondo gli autori, mettono ulteriormente in risalto queste differenze.

Invece del sobrio abito nero scelto per il ritratto definitivo, Lavoisier indossava un elegante completo marrone e un mantello rosso che gli copriva la spalla sinistra: abbigliamenti decisamente più sfarzosi rispetto a quello scelto nelle versione finale che miravano a sottolineare l’appartenenza ad un rango sociale elevato, consono all’incarico di Fermier général da lui ricoperto fin dal 1768; l’abito e il cappello indossati da Madame Lavoisier, alla moda nell’autunno del 1787; infine, la maggiore identificabilità con il gusto dell’epoca degli eleganti arredi e del parquet confermano l’intento di presentare una coppia dell’alta borghesia parigina nel suo lussuoso spazio domestico. Tale scelta, per nulla scontata fuori dagli ambienti dell’aristocrazia, sembra esser stata giustificata dalla presentazione al Salon del 1787 di un ritratto di Antoine Vestier del Fermier général Chabanel e della sua famiglia, il cui successo pubblico avrebbe ispirato David nel replicare alcuni tratti della scena (Fig. 3).

Fig. 3 Antoine Vestier, ritratto della famiglia Chabanel (1786). Collezione Privata

La rappresentazione di Chabanel e di sua moglie, il loro abbigliamento, la scrivania ed altri dettagli sembrano in effetti richiamare alcune similitudini su cui gli autori insistono per associarli ad un genere emergente attraverso il quale ritrarre i membri della Ferme.

Oltre ai cambiamenti macroscopici presenti nelle due versioni del ritratto di David, altri dettagli hanno attirato l’attenzione degli autori. Nella prima versione, sul bordo destro del tavolo, sono srotolati tre fogli di grande formato, che secondo gli autori evocherebbero l’attività di Fermier général o comunque quelle di un alto funzionario dello Stato e i cui tratti richiamerebbero quelli tratteggiati in un famoso ritratto, esposto nel Salon del 1787, di Elisabeth Vigée Le Brun di Charles-Alexandre de Calonne, potente Contrôleur général des finances dal 1783 al 1787. In particolare, gli autori insistono sul foglio di grande formato srotolato sulla scrivania, il quale però ha un significato ufficiale chiaramente identificabile e associato a un editto reale che David non avrebbe potuto emulare nel suo ritratto senza manifestare una forma di irriverenza. Va tra l’altro notato che il 9 aprile 1787, poco prima che il dipinto di Vignée Le Brun venisse pubblicamente esposto, Calonne cadeva in disgrazia perdendo la fiducia del Re e dei notabili. Sarebbe stato sicuramente imprudente da parte di David richiamarsi a un uomo che poteva ormai considerarsi bandito dall’alta società parigina.

La complessa gestazione del ritratto, forse iniziato nel 1787, ha suggerito agli autori l’ipotesi che David aspirasse, insieme ai suoi due committenti, ad un riconoscimento pubblico con la presentazione della sua opera sia al Salon del 1789 sia all’Académie Royale des Sciences ma il rapido evolversi della situazione politica, già in atto con la convocazione degli Stati Generali l’8 agosto 1788, avrebbe indotto a cambiare registro iconografico e a ripiegare su una versione che mettesse in evidenza esclusivamente gli interessi scientifici dei Lavoisier.

Gli autori infine enumerano tre principali motivi che spinsero i Lavoisier a incaricare David: 1. il moderato apprezzamento di Lavoisier de Le Serment des Horaces durante la sua visita al Salon del 1785; 2. la commissione nel 1787 da parte di Charles-Michel Trudaine de la Sablière de La Mort de Socrate. Dati i rapporti di amicizia con Jean-Charles-Philibert Trudaine de Montigny (morto però 10 anni prima), l’attenzione di Lavoisier verso questa committenza lo avrebbe indotto a una sorta di emulazione; 3. gli interessi per il disegno e la pittura di Madame Lavoisier, espressi nelle tavole del Traité élémentaire de chimie, nei due ritratti di Benjamin Franklin da lei realizzati nel 1787 e nel suo proposito di illustrare la traduzione francese dell’Essay on Phlogiston di Richard Kirwan.

In sintesi, la versione iniziale di David è stata interpretata come il tentativo di rappresentare i Lavoisier come una coppia di censo elevato, aspetto reso ancor più riconoscibile dalle allusioni alla funzione di Fermier général ricoperta da Lavoisier e dagli eleganti vestiti alla moda indossati dalla moglie. Tale rappresentazione però non sembrava essere più adeguata nel 1788, quando la diffusa esigenza di aprire la monarchia francese alle riforme politiche e sociali stava annunciando un vento nuovo. La scelta successiva di ripiegare su una rappresentazione della coppia incentrata sulla più specifica e neutrale attività scientifica metteva decisamente in secondo piano il censo che, nella prima versione, veniva ostentato nei minimi dettagli.

Gli autori concludono il loro articolo richiamando l’attenzione su come il ritratto di David sia passato quasi inosservato durante le numerose visite che, tra il 1794 e il 1795, i commissari incaricati dai comitati rivoluzionari, in primis da quello dell’Istruzione pubblica, dovettero svolgere per la preparazione di un dettagliato inventario di tutti gli averi dei coniugi Lavoisier.

Alta finanza o scienza?

La scoperta della prima versione del ritratto di David è senza dubbio di notevole importanza storica e gli autori hanno svolto un lavoro molto meticoloso ed accurato nel cercare di approfondire il contesto artistico che l’ha ispirata. Tuttavia, così come la versione finale del ritratto di David ha dato vita a interpretazioni diverse, anche il suo abbozzo originario, denso di spunti alternativi, non può che suggerire ulteriori approfondimenti e riflessioni. Sulla base di una lettura storica e contestuale degli elementi rappresentati nella prima versione del ritratto, in quel che segue mi propongo di mettere in luce alcuni aspetti che a mio avviso pongono in continuità le fasi della sua realizzazione. Anche se, come è giustamente stato notato da più parti, Madame Lavoisier si impone come il centro del quadro, ho preferito concentrare la mia attenzione sulla figura di Lavoisier poiché le sue vicissitudini biografiche svelano particolari che aiutano a ricostruire con una certa precisione le intenzioni dell’intera rappresentazione scenica.

In primo luogo vorrei soffermarmi sulla data di questo ritratto che, secondo gli autori, è stato iniziato nel 1787. Anche se è senz’altro possibile che David abbia cominciato il ritratto nell’autunno del 1787 per poi lasciarlo incompiuto per diverso tempo, alcuni particolari rendono quantomeno problematica questa ipotesi. Entrambe le versioni, infatti, mostrano Lavoisier e sua moglie nelle stesse e identiche posture: Lavoisier è intento a scrivere una sua opera, Madame Lavoisier gli sta accanto con lo sguardo rivolto a David. Il centro della scena è dunque identico. La complicità dei coniugi, inoltre, non può essere del tutto estranea al contenuto del manoscritto di cui Lavoisier interrompe temporaneamente la redazione per posare lo sguardo sulla moglie. Durante tutto il 1787, Lavoisier e i suoi più stretti collaboratori furono impegnati a elaborare e poi a presentare all’Académie Royale des Sciences la nuova nomenclatura chimica, pubblicata sotto il titolo Méthode de nomenclature chimique nell’autunno di quell’anno. Oltre a questo progetto, a cui Madame Lavoisier fu totalmente estranea, in questo periodo Lavoisier condusse moltissimi esperimenti sul calore, l’acqua, la fermentazione vinosa e sua una serie di altri soggetti chimici che, ancora una volta, non coinvolsero, se non saltuariamente, la moglie. Sul piano istituzionale, Lavoisier lanciò un ambizioso programma per recuperare la celebre serie di pubblicazioni Description des arts et métiers e partecipò a più riprese ai lavori del Comité d’agriculture. Nei mesi di settembre e ottobre i coniugi Lavoisier fecero due viaggi: il primo ad Orléans per partecipare all’Assemblée provinciale de l’Orléanais e il secondo per una visita ufficiale in Borgogna presso l’industria siderurgica di Creusot. In questo anno molto intenso, Madame Lavoisier si era per lo più occupata di tenere la corrispondenza con i naturalisti e chimici stranieri e di redigere i prodromi della traduzione in francese dell’Essay on Phlogiston di Richard Kirwan, opera commentata da tutto l’entourage dell’Arsenal e pubblicata nel 1788. A questo proposito è utile commentare il celebre resoconto della visita che l’agronomo inglese Arthur Young fece all’Arsenal il 16 ottobre 1787:

The 16th. To Mons. Lavoisier, by appointment. Madame Lavoisier, a lively, sensible, scientific lady, had prepared a dejeuné Anglois of tea and coffee, but her conversation on Mr. Kirwan's Essay on Phlogiston, which she is translating from the English, and on other subjects, which a woman of understanding, that works with her husband in his laboratory, knows how to adorn, was the best repast. That apartment, the operations of which have been rendered so interesting to the philosophical world, I had pleasure in viewing. In the apparatus for ærial experiments, nothing makes so great a figure as the machine for burning inflammable and vital air, to make, or deposit water; it is a splendid machine. […]

I was glad to find this gentleman splendidly lodged, and with every appearance of a man of considerable fortune. This ever gives one pleasure: the employments of a State can never be in better hands than of men who thus apply the superfluity of their wealth. From the use that is generally made of money, one would think it the assistance of all others of the least consequence in affecting any business truly useful to mankind, many of the great discoveries that have enlarged the horizon of science having been in this respect the result of means seemingly inadequate to the end: the energic exertions of ardent minds, bursting from obscurity, and breaking the bands inflicted by poverty, perhaps by distress [Young, 1900, p. 94-96].

Anche se Young non era un esperto di chimica, rimase colpito, come si vede, dallo sforzo congiunto dei Lavoisier di presentarsi totalmente assorbiti dall’attività scientifica e da uno spazio domestico arredato da strumenti e macchine di tutti i tipi. È significativo a mio avviso che Young si sorprenda di come la ricchezza dei Lavoisier fosse interamente messa al servizio della scienza e non, come ci si sarebbe aspettati da persone di quel censo, nell’ostentazione di oggetti di lusso. Tornando alla traduzione dell’opera di Kirwan, ritengo sia difficile pensare che Lavoisier volesse farsi rappresentare mentre era intento a commentare insieme ai suoi collaboratori Berthollet, Fourcroy, Guyton de Morveau, Laplace e Monge un’opera tradotta, in forma anonima, dalla moglie. Il ritratto, anche nella prima versione, vede al centro della scena Madame Lavoisier, a cui viene riconosciuto un ruolo di tale importanza che, per quanto significativo, non poteva alludere a quella impresa collettiva.

L’insieme di questi dati storici e bibliografici sembrano indicare che fin dall’inizio David intendesse ritrarre Lavoisier mentre ultimava il Traité élémentaire de chimie, che conteneva le tredici incisioni firmate dalla moglie e che, come è stato dimostrato da Maurice Daumas, fu cominciato solo nel 1788 [Daumas, 1955, p. 91-112]. Per far quadrare la datazione del dipinto con l’anno 1787, gli autori degli articoli citati ipotizzano che Madame Lavoisier stesse già lavorando alle tavole del Traité in quell’anno [Pullins et al., 2021]; questo è tuttavia improbabile perché alcuni degli strumenti più importanti descritti nelle tavole da lei illustrate e incise furono costruiti solo nel 1788.

Gli autori insistono sulla data del 1787 sia perché questo allontanerebbe la composizione del dipinto dalle minacce politiche e sociali che, nell’anno successivo, preannunciavano l’inizio della Rivoluzione, sia per insistere sull’ipotesi che David prediligesse inizialmente l’idea di ritrarre una coppia dell’alta società finanziaria.

C’è però una circostanza storica precisa che rende molto improbabile questo disegno. Nel 1787, infatti, a seguito dell’inizio della costruzione delle mura parigine per controllare con maggior rigore il contrabbando delle merci, commissionate dalla Ferme générale a Claude-Louis Ledoux («l’architecte le plus ruineux de tous les architectes» [Lescure, 1866, p. 187]), apparvero sulla stampa numerosi pamphlets e articoli polemici, molti dei quali associavano l’impopolare impresa proprio a Lavoisier. Nella primavera del 1787, in un libello apparso anonimo ma scritto dall’architetto Jacques Antoine Dulaure, Lavoisier veniva accusato con una veemenza fino ad allora sconosciuta. In una nota del marzo dello stesso anno, probabilmente destinata ad apparire in qualche giornale parigino come replica a queste accuse, Lavoisier tendeva a minimizzare il suo ruolo così come quello della Ferme, attribuendo il progetto delle mura doganali ai defunti Turgot e Trudaine de Montigny. La sua ricostruzione, che non mancava di una certa dose di auto-indulgenza, merita di essere citata:

Je trouve à la fin d'un écrit anonime plein de fautes et d'erreurs intitulé réclamations &c 1 un portrait auquel je me flatte que personne ne m'aurait reconnu, mais l'auteur a bien voulu y ajouter mon nom dans une notte et on ne peut plus douter dès lors que ce ne soit moi qu'il ait voulu designer. Cette circonstance ne me permet pas de garder le silence et je déclare en consequence que je n'ay aucune part ni directe ni indirecte à la cloture de Paris que le gouvernement doit faire dans ce moment sous la direction de M. Le Doux architecte ; que cette operation est meme absolument etrangere à la ferme generale, qu'elle n'a arretté aucun plan ni de muraille ni de barrières et que M. Le Doux a toujours pris sur cet objet directement les ordres de l'administration.

Le meme esprit de verité m'oblige encore de declarer que le premier projet de clore Paris a été conçu sous le ministère de M. Turgot et que j'ay été alors chargé par le ministre et par M. de Trudaine de rediger un memoire dont il doit exister une copie dans les bureaux de l'administration. On ne prettera pas à ce que j'espère à M. Turgot et à M. de Trudaine de petites vues fiscales et financières dans le sens presenté par l'ecrit anonime…

Il y a au surplus cinq ans et plus que je ne me suis occupé de rien de ce qui est relatif à la perception des droits aux entrées de Paris [Lavoisier, 1993, p. 29-30].

La replica di Lavoisier, evidentemente preoccupato dal tono delle accuse e dalla crescente impopolarità dell’impresa di Ledoux, mirava ad alleggerire le proprie responsabilità sia nella Ferme sia nel progetto delle mura. Trovo pertanto inverosimile che David si apprestasse a ritrarre Lavoisier nel suo ruolo di Fermier général in un anno così infausto per l’immagine pubblica di un’istituzione dalla quale Lavoisier intendeva prendere le distanze pubblicamente.

La nuova datazione proposta dal gruppo di ricerca del Metropolitan Museum ruota in realtà quasi esclusivamente sull’analisi dell’abbigliamento di Madame Lavoisier e lascia totalmente in sospeso l’elemento iconografico, a mio avviso centrale e più importante, quello della postura dei due coniugi che, come ho già sottolineato, non è mai cambiato. Per queste ragioni mi pare più verosimile che le due versioni del ritratto siano state dipinte entrambe nel 1788. Del resto, la prima versione è in molti punti appena abbozzata e non deve essere passato molto tempo prima che i Lavoisier e David cambiassero idea su quale scenario fosse più adatto ad esplicitare il significato della loro particolare postura. Come rilevato dalla maggior parte degli studiosi la singolare e centrale collocazione dei coniugi all’interno del dipinto invita a un’attentissima disamina di tutti gli elementi biografici e storici che possono chiarire il senso della scena pittorica e le ragioni della sua evoluzione.

Prima di entrare nel merito di questi dettagli, vorrei però soffermarmi ancora un poco sull’ipotesi secondo la quale la prima versione del ritratto rappresentava Lavoisier come Fermier général e, più in generale, entrambi i coniugi come tipici rappresentanti dell’alta società parigina. Questa interpretazione troverebbe conferma in alcune somiglianze individuate dagli autori tra il ritratto di David e quello che Antoine Vestier ha realizzato, nel 1786, della famiglia Chabanel, esposto con grande successo di critica nel Salon nel 1787 (Fig. 3). Al di là delle numerose differenze colte anche dagli autori, la postura dei coniugi Chabanel propone indubbiamente qualche vaga rassomiglianza con quella dei Lavoisier, anche se il marito non è intento nella scrittura e il suo sguardo, diversamente da quello del chimico francese, non è rivolto verso la moglie ma altrove. Sono dettagli di una certa importanza perché, come vedremo, l’atto della scrittura per Lavoisier si identifica essenzialmente con un gesto complementare a quello della sua attività di scienziato. Gli autori però, sulla scorta di un recente articolo di Emma Barker dove Chabanel è identificato come Fermier général [Barker, 2017, p. 549], insistono molto sul comune contesto sociale dei due dipinti. Tuttavia, da una più attenta ricerca è emerso che Antoine-Denis Chabanel non era un Fermier général ma un agent de change, una professione completamente differente e di prestigio decisamente inferiore rispetto a quella ricoperta dai Fermiers.

C’è una poi lunga e autorevole tradizione di ritratti di Fermiers i quali, per affermare la propria immagine pubblica e il proprio prestigio, incaricavano i più importanti pittori del loro tempo di realizzare il proprio ritratto, quello delle mogli e, in alcuni casi, dei parenti. Così, artisti celebri quali Jean-Baptiste van Loo (1684-1745), Jean-Marc Nattier (1685-1766), Jean Louis Tocqué (1696-1772), Maurice-Quentin de La Tour (1704-1788), Jean-Baptiste Greuze (1725-1805), Alexander Roslin (1718-1793) ed Élisabeth Vigée Le Brun (1755-1842) ebbero numerose committenze. Ad uno sguardo rapido dei ritratti superstiti però colpisce che i Fermiers généraux siano sempre rappresentati da soli e per lo più a mezzo busto e non in coppia con le consorti, ritratte in alcuni casi separatamente. Inoltre, con l’eccezione del ritratto di Charles Watelet, intento nella lettura di un libro di incisioni mentre nella mano destra tiene un compasso, quelli dei Fermiers généraux mirano soprattutto esaltare i loro sfarzosi costumi senza ulteriori elementi identificativi. Sempre che sia mai esistito un canone pittorico omogeneo per ritrarre i Fermiers, il doppio ritratto di David sembra discostarsene in modo netto, delineando in entrambe le versioni un dipinto decisamente originale.

Sulla base dei fondamentali studi dedicati da Yves Durand alla Ferme générale, occorre poi fare molta attenzione a non identificare questa istituzione come una semplice emanazione degli interessi della Monarchia e dell’aristocrazia francese. Al contrario, la progressiva ascesa di questi finanzieri e la conseguente espansione del loro condizionamento sulla vita economica della corona vennero guardate dalla nobiltà come un preoccupante segnale della crisi dell’Antico Regime. L’appalto della riscossione delle imposte indirette rappresentava infatti una perdita importante di quelle che, fino al secolo precedente, erano state le inviolabili prerogative del Re e della nobiltà.

Gli accordi stipulati tra la Corona e la Ferme nel 1726 riconoscevano ai Fermiers il diritto di portare la spada, di godere della diretta protezione del Re, dei giudici e degli intendenti; non per questo però veniva loro automaticamente riconosciuta una nobiltà che, anche quando acquisita, li relegava di fatto poco sopra l’alta borghesia. Basta sfogliare i volumi dell’Almanach Royal per percepire la distanza sociale dei membri di questa istituzione dal Re, dalla Corte e dagli incarichi nobiliari. Soffermiamoci dunque un momento nel tratteggiare più concretamente la fisionomia di questa istituzione.

Nel 1774 la Ferme aveva tre sedi a Parigi con 685 dipendenti che, in tutto il reame, raggiungevano la ragguardevole cifra di 28.762 unità a cui era affidato il controllo e la riscossione delle tasse e del commercio del tabacco, del sale e dei diritti doganali. Il numero dei Fermiers généraux era variabile anche se per lunghi periodi di tempo si mantenne attorno ai quaranta.

I Fermiers potevano accumulare ricchezze considerevoli e, nello sforzo di salire la scala sociale ed essere prossimi all’assimilazione della nobiltà, acquistavano una o più residenze a Parigi, la maggior parte nei quartieri più prestigiosi di Port Royal e Montmartre, delle magioni e castelli in campagna e in alcuni casi delle signorie. Questo non fu il caso di Lavoisier che, pur possedendo un appartamento a Palais Royal, prese dimora, caso unico nella storia della Ferme, presso la direzione della Regia delle Polveri all’Arsenal, a due passi dalla Bastiglia. La residenza di Lavoisier all’Arsenal, pur di grandi dimensioni, non era di proprietà ed era condivisa con altri Régisseurs [Beretta - Brenni, 2022, p. 62-71]. A dispetto di quanto si potrebbe pensare, i Lavoisier vi conducevano una vita tutt’altro che sfarzosa, disponendo di sei domestici, contro la media di 15-20 che erano chiamati a governare la vita quotidiana dei sontuosi Hôtel parigini degli altri Fermiers.

Con poche eccezioni, come Lavoisier, Helvétius e Watelet, i Fermiers non avevano una grande fama di coltivare interessi intellettuali all’altezza dell’esigente sociabilità parigina; tutt’al più si dilettavano a mettere insieme importanti collezioni d’arte e naturalistiche da ostentare con gli ospiti che frequentavano i loro Salons. A queste riunioni solitamente partecipavano gli stessi Fermiers e i loro protetti i quali, pur facendo sovente parte del mondo letterario, non trovavano in questi salotti la vivacità delle conversazioni filosofiche che caratterizzavano molte celebri residenze dell’aristocrazia illuminata. Le loro biblioteche non spiccavano per grande originalità anche se, ancora una volta, quelle di Lavoisier e di Helvétius, costituivano non sorprendentemente due importanti eccezioni. Che coniugare gli interessi culturali con l’attività di Fermier général fosse abbastanza difficile lo dimostra proprio la carriera di Helvétius, il quale era entrato nella Ferme nel 1738 e che tuttavia, immediatamente dopo aver sposato Anne-Catherine de Ligniville d'Autricourt, dama dell’alta nobiltà, abbandonò il corpo finanziario per dedicarsi esclusivamente ai suoi studi filosofici. Anche Lavoisier, come vedremo tra poco, dovette faticare non poco a tenere insieme professione e interessi scientifici.

Lavoisier entrò nella Ferme, dapprima come membro aggiunto, nel 1768; nello stesso anno faceva il suo ingresso anche all’Académie Royale des Sciences. È sufficiente dare uno sguardo alla corrispondenza dei decenni successivi per accorgersi della sua decisa e continua predilezione per l’istituzione scientifica, controbilanciata da una costante discrezione nei riguardi della Ferme su cui raramente espresse un giudizio esplicito. A questo riguardo mi pare significativo che nel 1773 il pittore Pierre Pasquier presentava al Salon parigino una miniatura di Lavoisier, oggi perduta, e una del matematico Charles Bossut (Fig. 4), entrambi qualificati come membri dell’Académie Royale des Sciences [Explication, 1773, p. 27-28], segno che, fin dall’inizio, Lavoisier riuscì a dare di sé principalmente l’immagine di un membro autorevole della comunità scientifica e a lasciare in secondo piano, se non addirittura nascosto, il suo ruolo di spicco nella Ferme e nella finanza parigina.

Nel 1775 Lavoisier veniva nominato direttore della Régie des poudres dal ministro delle finanze Turgot e, nella primavera dell’anno successivo, si trasferiva con la moglie nei locali dell’Arsenal. Dal 1775 in poi Lavoisier svolse le sue attività istituzionali presso l’Académie des Sciences, la Ferme e la Régie, destinando gran parte del suo tempo al lavoro e pochissimo alla mondanità.

Lavoisier, infatti, consacrava cinque ore al giorno alla ricerca scientifica (dalle 6 alle 8 e dalle 19 alle 22). Un giorno la settimana era dedicato interamente alla scienza e a riunioni collegiali durante le quali Lavoisier chiamava a raccolta presso l’Arsenal i suoi collaboratori, gli amici e i visitatori stranieri di passaggio a Parigi. In concomitanza con le sessioni ufficiali dell’Académie che si svolgevano al Louvre, Lavoisier invitava i suoi colleghi presso il suo appartamento a Palais Royal dove potevano continuare a discutere di argomenti scientifici e, forse, condurre esperimenti. La mattina di tutti i giorni feriali, era tenuto a presenziare alle riunioni dei cinque comitati della Ferme di cui faceva parte. A questa routine, si aggiungevano le attività presso la Régie che all’Arsenal aveva in gestione una raffineria di polvere da sparo, collocata di fronte alla residenza dei Lavoisier, e l’impegnativo compito di riorganizzare la raccolta e la produzione del salnitro in tutto il Paese. In alcuni casi, come l’analisi del tabacco, la raccolta del salnitro e la produzione su scala industriale del sale, i tre incarichi affidati a Lavoisier intrecciavano interessi complementari.

Fig. 4 Miniatura di Pierre Pasquier del matematico Charles Bossut. 62 x 50 mm. Metropolitan Museum of Art, New York.

Non c’è dubbio che dei tre incarichi, quello della Ferme générale era il più remunerativo e, non sorprendentemente, quello che assorbiva la maggior parte del tempo. A fronte di questo dato è però legittimo chiedersi quale fosse l’opinione di Lavoisier riguardo al suo ruolo di Fermier. Sappiamo dalla citata nota biografica redatta dalla moglie che nel 1768, non appena nominato adjoint alla Ferme, alcuni membri dell’Académie des sciences sollevarono non poche perplessità sulla sua professione ma che non ci volle molto perché Lavoisier manifestasse la propria dedizione alla ricerca scientifica. Pur essendo un funzionario molto coscienzioso Lavoisier non diede mai segno di identificare i propri interessi culturali più intimi con quelli della Ferme. In questo aveva assunto lo stesso atteggiamento Jacques Paulze, il Fermier général che lo aveva accolto presso di sé nel 1768 e che di lì a tre anni gli avrebbe dato in sposa la figlia Marie-Anne-Pierrette. Anche Paulze aveva infatti sviluppato una serie di rapporti culturali e amicizie, in primis con Diderot e con l’abate Raynal, che avevano trasformato la sua villa a Courbevoie, non lontana da Parigi, in un salotto filosofico dove si discuteva di riforme politiche ed economiche decisamente in contraddizione con le attività condotte dalla Ferme. Anche Lavoisier avrebbe condiviso i principi economici della fisiocrazia e, entrando a far parte del circolo di intellettuali a sostegno delle riforme economiche e fiscali promosse da Turgot nel 1774, manifestò nel modo più esplicito la sua opposizione ideologica contro il regime fiscale sostenuto dalla Corona e, dunque, anche dalla Ferme. Una posizione contraddittoria e costantemente in bilico tra Antico Regime e riforme. C’è tuttavia una prova ancora più evidente (benché indiretta) che Lavoisier non aveva assunto l’incarico di Fermier per vocazione né per lealtà ai principi sociali dell’Antico Regime. Tra il 1779, quando divenne Fermier général, e il 1780 Lavoisier fece stampare da Pierre Claude de La Gardette il suo ex-libris (Fig. 5) nel quale, oltre alle armi del titolo di conseiller-secrétaire du roi, maison, finances et couronne de France, che, con quello d'écuyer, acquistato dal Jean-Antoine nel 1772, trasmettevano la nobiltà ereditaria, Lavoisier aggiungeva in un ordine evidentemente gerarchico le sue principali occupazioni professionali all’Académie des Sciences, presso la Régie des poudres e, per ultima, presso la Ferme.

Fig. 5 Ex libris di Lavoisier. Biblbiothèque de l’Institut Paris.

Non ci può essere alcun dubbio, infatti, che la principale occupazione di Lavoisier sia sempre stata quella scientifica e tecnologica e non è possibile trovare tra le sue lettere, le sue carte e le sue opere riferimenti che lascino intendere il proposito di mettere in mostra il suo titolo di Fermier. Al contrario, come ho già avuto modo di sottolineare, Lavoisier cercò sempre di minimizzare il proprio ruolo di finanziere, un atteggiamento che tenne durante tutta la sua carriera e, più comprensibilmente, dopo l’abolizione della Ferme nel 1791 e durante le indagini promesse dal governo rivoluzionario nel 1793-4. È difficile accertare in che misura questa condotta fosse il frutto di una reticenza calcolata o, come lascia intendere la corrispondenza degli ultimi anni, dell’intima convinzione di aver ricoperto un semplice incarico amministrativo. Lavoisier si diceva in effetti stupito delle accuse rivolte ai membri della Ferme e, fino ai primi mesi del 1794, pensava non sarebbe stato difficile, documenti alla mano, smontare gli argomenti dell’accusa.

Non mi pare dunque plausibile che Lavoisier, all’apice della sua carriera scientifica, volesse farsi ritrarre da David come membro della Ferme générale. Questa ipotesi, tra l’altro, sarebbe in contraddizione non solo con tra la ‘tradizione’ iconografica dei Fermiers brevemente richiamata più sopra, ma anche con il ruolo centrale occupato da Madame nel ritratto, corrispondente alla sociabilità scientifica dell’Arsenal di cui lei era la principale organizzatrice. All’Arsenal, infatti, venivano invitati quasi esclusivamente personalità interessate e impegnate nella ricerca scientifica. Tornerò su questo aspetto più oltre. Ora vorrei soffermarmi su alcuni dettagli portati alla luce dal restauro del dipinto, a mio avviso anch’essi incompatibili con la lettura datane dagli autori dei due articoli sopra citati.

I ripiani della libreria appaiono parzialmente riempiti di volumi di grande formato sul cui dorso sono visibili delle etichette. Questa caratteristica fisica rende questi libri perfettamente compatibili con i Registres de laboratoire, i protocolli di laboratorio in cui Lavoisier, a partire dal 1772, registrò la maggior parte degli esperimenti condotti a Montigny e, dal 1776, all’Arsenal. I protocolli sopravvissuti alle Archives e alla Biblioteca municipale di Perpignan sono solo 13, ma sappiamo che molti altri, per esempio, quelli sui celebri esperimenti sulla composizione e ricomposizione dell’acqua del 1783 e del 1785, rimasti nelle mani di Jean-Baptiste Meusnier de la Place, quelli sulle esperienze sulla fusione del platino, quelli relativi alla respirazione e traspirazione umana, rimasti nelle mani di Armand Séguin, sono andati perduti. I protocolli superstiti sono rilegati in folio e recanti sul dorso un’etichetta che indica il numero del volume. Queste caratteristiche sembrano proprio corrispondere ai libri rappresentati nella prima versione del dipinto. Non ritengo possibile pensare all’ipotesi alternativa, avanzata dagli autori dell’articolo, che si tratti di cartoni o registri contenenti le carte amministrative di Lavoisier. L’archivio della Ferme, infatti, era gelosamente custodito negli uffici amministrativi e nemmeno un Fermier général avrebbe avuto l’autorità di portarsi a casa la documentazione riguardante le imposte del Re. Lo stesso vale per la documentazione amministrativa della Régie des poudres che doveva essere nelle disponibilità di tutti i Régisseurs e non solo di Lavoisier. Ma che non si tratti di cartoni o di carte amministrative lo sappiamo quasi con certezza da documenti di poco successivi alla realizzazione del ritratto. Con l’entrata in vigore della legge sui sospetti, il 17 settembre 1793 e il successivo ordine di arresto di tutti i Fermiers généraux del 24 novembre 1793, la proprietà di Lavoisier sarebbe stata confiscata divenendo oggetto di numerose perquisizioni durante le quali venne redatto un dettagliato inventario della sua proprietà. Questi sopralluoghi non miravano solo a requisire quei beni che potevano essere utili alla Repubblica, ma anche ad individuare documenti compromettenti o sospetti che potessero confermare le accuse presentate da Antoine Dupin alla Convention Nationale qualche tempo prima. Non fa meraviglia, dunque, che i protocolli di queste visite siano estremamente meticolosi e che tutte le carte siano descritte con grande cura. Già l’11 settembre 1793 erano state trovate e sequestrate delle lettere indirizzate a Lavoisier e provenienti dall’estero che risultarono sospette. Tutti i cartoni trovati nella residenza di Lavoisier vennero aperti e descritti e in nessuno di questi furono trovate carte relative alla Ferme o alla Régie.

Dunque, i volumi in grande formato dipinti da David nella prima versione del suo ritratto non potevano contenere carte amministrative e non resta che pensare, come ipotesi più probabile, che si trattasse dei protocolli di laboratorio.

Ma quale significato potevano avere nell’impianto iconografico del quadro? Da un recente esame di questi fondamentali documenti è emerso che la redazione di una parte importante di essi era stata affidata a Madame Lavoisier la quale, nell’ambito delle attività sperimentali condotte all’Arsenal, assunse il delicato incarico di segretaria, registrando e ordinando i dati raccolti in laboratorio e coordinando l’intensa vita sociale che orbitava attorno al più vivace salotto scientifico di Parigi. In più occasioni l’importanza del ruolo ricoperto da Madame Lavoisier era stato riconosciuto pubblicamente da molti dei frequentatori del salotto e del laboratorio dell’Arsenal. I Registres rappresentavano quindi una sintesi del lavoro scientifico che la coppia aveva svolto insieme negli ultimi quindici anni; i risultati di questo impegno, debitamente ordinati, stavano per confluire nell’imminente pubblicazione del Traité élémentaire de chimie, le cui prime copie uscirono nel marzo del 1789. Che il Traité rimanga in primo piano anche nella prima versione del ritratto lo si deduce anche dai fogli in grande formato srotolati sul tavolo che potrebbero essere le prove di stampa delle incisioni o i disegni realizzati da Madame Lavoisier per illustrare la terza parte del Traité e oggi conservati presso la Kroch Library della Cornell University. Va ricordato, a questo riguardo, che le tredici tavole furono il primo lavoro firmato «Paulze-Lavoisier» e che, in una lettera a Marsilio Landriani datata 1° ottobre 1789, Madame Lavoisier ne rivendicò con orgoglio la maternità. Nella versione definitiva un portfolio contenente le incisioni di Madame Lavoisier venne collocato da David nella parte sinistra e meno visibile del dipinto.

Come già accennato, David pensò a un certo punto di sostituire la libreria con la rappresentazione di un grande strumento a base globulare i cui tratteggi appena accennati non hanno permesso agli autori un’identificazione precisa. In primo luogo va segnalato che non è noto, tra gli strumenti superstiti al Musée des arts et métiers e quelli illustrati nelle tavole delle Oeuvres di Lavoisier, uno strumento di quelle dimensioni. Quell’altezza poteva essere raggiunta dal gasometro, un apparato iconico che però avrebbe distratto con la sua presenza lo sguardo dell’osservatore dalla scena principale. Dopo un più attento esame delle immagini, condotto in collaborazione con Denis Pruvrel del Musée des arts et métiers, sono giunto alla conclusione che lo ‘strumento’ è in realtà un pallone di vetro con un becco allungato collocato su una mensola che, al pari della libreria, era stata pensata da David come un possibile sfondo. Come illustrato in alcune tavole che accompagnano le popolarissime Leçons de physique expérimentale di Jean Nollet, maestro di Lavoisier, a partire dalla metà del secolo era diventato comune collocare strumenti di piccole e medie dimensioni su mensole che rassomigliavano in tutto a quelle delle librerie. Non deve meravigliare che Lavoisier ordinasse le migliaia di strumenti in suo possesso in un modo che ottimizzava lo spazio. Alcune fotografie della collezione di strumenti di Lavoisier collocati negli arredi originari e realizzate dopo una visita al castello in possesso degli eredi a La Canière confermano questa ipotesi.

È infine importante richiamare l’attenzione su un aspetto particolare dell’organizzazione architettonica del laboratorio di Lavoisier. Anche se non abbiamo testimonianze dirette degli ambienti dell’Arsenal, a parte quella citata di Young, sappiamo che nella residenza occupata successivamente in Boulevard de la Madeleine i Lavoisier avevano collocato il laboratorio a fianco della biblioteca e non lontano dal salone dove erano soliti ricevere gli ospiti a pranzo, a cena o durante gli spettacoli. Pur con qualche modifica, questa disposizione degli spazi venne fatta propria anche da Madame Lavoisier quando, nel 1804, si trasferì in una sontuosa villa in Rue d’Anjou dove si fece carico della missione di conservare intatti laboratorio e biblioteca del defunto marito.

Qual era dunque l’immagine che Madame Lavoisier voleva trasmettere di sé ai suoi contemporanei e ai posteri? La sua centralità nella scena, identica nelle due versioni, non poteva certamente ridursi ad attrarre l’attenzione sul suo abbigliamento alla moda, tanto più che era proprio in quel periodo che si stava distinguendo pubblicamente per i numerosi contributi al diffondersi della nuova teoria chimica. Oltre che nell’arte dell’incisione su rame, Madame Lavoisier poteva vantare un’esperienza importante anche nell’arte del disegno e della pittura.

Nel 1786 aveva preso lezioni di disegno proprio da Jacques-Louis David, come testimoniano due disegni, conservati presso il Musée des arts et métiers e recanti alcuni incoraggiamenti autografi del pittore, con cui questi riconosceva i progressi fatti dall’allieva. Anteriore deve essere l’autoritratto a pastello pubblicato in riproduzione per la prima volta da Grimaux nel 1888 e ancora oggi conservato nella collezione degli eredi. Non sappiamo quando Madame Lavoisier abbia cominciato il suo apprendistato artistico con David ma, alla luce del suo primo autoritratto, è probabile che sia accaduto nei primissimi anni ’80, quando il pittore parigino cominciò a dare lezioni ad artiste donne, sia presso il proprio atelier al Louvre, sia, come appare probabile nel caso di Madame Lavoisier, a domicilio.

Nel 1787 Madame Lavoisier realizzava poi due copie, una per sé e una per il destinatario, del ritratto di Benjamin Franklin (Fig. 6), assiduo frequentatore del salotto dell’Arsenal.

Fig. 6 Ritratto di Madame Lavoisier di Benjamin Franklin (1787). Collezione degli eredi di Benjamin Franklin.

Poco dopo, nel consesso lavoisieriano si accese una discussione animata sull’immagine da incidere come frontespizio della traduzione francese dell’Essay on Phlogiston [Lavoisier, 1993, p. 135]; [Beretta, 2001, p. 44-45], opera della stessa Madame la quale, nel frattempo, aveva anche imparato l’arte dell’incisione su rame come attesta un nuovo autoritratto recentemente ritrovato nella biblioteca di Bordeaux [Saulnier, 2020-21] (Fig. 7). Questa piccola incisione è stata rinvenuta in un libro appartenuto al marito, ossia il terzo volume delle Expériences physiques et chymiques, sur plusieurs matières relatives au commerce & aux arts di William Lewis, più precisamente nel capitolo dedicato alle proprietà del platino. Date le dimensioni è possibile che il ritrattino fosse stato usato come segnalibro di un’opera che richiama le numerose esperienze pubbliche condotte da Lavoisier nel 1782 intorno al platino, in alcune delle quali partecipò anche la moglie. Lo stato di prova del ritrattino e l’esecuzione ancora esitante sembrano confermare questa datazione.

Fig. 7 Autoritratto inciso di Madame Lavoisier. BabordNum, https://www.babordnum.fr/items/show/1088.

Tutte queste attività di Madame Lavoisier, di poco anteriori alla sua collaborazione al Traité, non potevano non essere evocate in un dipinto dove il marito veniva ritratto mentre era impegnato nell’ultimare la scrittura dell’opera. La complicità affettuosa che i due si rivolgono in entrambe le versioni del ritratto allude di tutta evidenza al loro duplice ruolo di committenti del Salotto dell’Arsenal e di protagonisti di una imminente rivoluzione chimica.

Resta da chiarire, relativamente agli oggetti, la presenza del globo collocato sul tavolo. Si potrebbe pensare che si tratti di un globo terrestre simboleggiante i quattro elementi, la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco, completamente rivoluzionati dalle scoperte di Lavoisier. Ma anche senza spingerci a fare ipotesi troppo avventate, la presenza del globo sembra richiamare da vicino un ritratto molto conosciuto del matematico e filosofo Jean d’Alembert che, nel 1771, era stato testimone di nozze dei Lavoisier ed era una figura molto ammirata. Il ritratto, realizzato da Catherine Lusurier nel 1777 (Fig. 8), ci restituisce un’immagine intima di un d’Alembert vestito elegantemente nella sua robe de chambre, seduto e intento nella scrittura in una postura molto simile a quella di Lavoisier.

Fig. 8 Ritratto di Catherine Lusurier di Jean d’Alembert (1773). 100x81 cm. Musée Carnavalet, Parigi.

Sul tavolo, oltre al calamaio e un libro, spicca la presenza di un globo terrestre in una posizione analoga a quella adottata nella prima versione del dipinto di David. Il ritratto di Lusurier era molto famoso sia per le numerose incisioni che vennero realizzate negli anni immediatamente successivi alla sua realizzazione, sia per l’apprezzamento manifestato dallo stesso d’Alembert che lo aveva collocato in bella mostra nel suo appartamento al Louvre. Mi pare dunque plausibile che David si fosse ispirato nella prima versione al celebre ritratto di uno scienziato ammirato da Lavoisier e testimone delle sue nozze.

Che il contesto della prima versione non si allontanasse dall’esperienza culturale prediletta dai due coniugi lo si desume infine dal contesto domestico nel quale si svolge la scena.

L’Arsenal, come si è accennato, non era la residenza di proprietà dei Lavoisier ed era situata in un piccolo distretto proto-industriale dedicato alla raffineria della polvere da sparo. Negli ampi locali messi a disposizione nel 1776 ai Régisseurs, i Lavoisier presero a intrattenere con sempre maggiore regolarità un nutrito gruppo di ospiti selezionati in quello che di lì a poco sarebbe diventato il più importante salotto scientifico della capitale. Oltre ai più autorevoli membri dell’Académie des Sciences, i Lavoisier vi invitavano regolarmente costruttori di strumenti scientifici, tutti gli scienziati e naturalisti stranieri di passaggio a Parigi così come quelle figure, in primis Bejamin Franklin, che pur ricoprendo incarichi politico-istituzionali di altro genere erano molto interessati a seguire i progressi delle scienze sperimentali.

Questi incontri, che si tenevano di norma tutti i lunedì, non erano esclusivamente dedicati a sessioni sperimentali preparate per tempo ma seguivano una scansione temporale rigidamente fissata che prevedeva un pranzo, allietato da conversazioni vivaci e, in occasioni speciali, da spettacoli teatrali e fantasmagorie eseguite con la lanterna magica che richiamavano i temi scientifici del giorno. Di questi spettacoli, allestiti con cura da Madame Lavoisier, ci rimangono testimonianze molto vivide tanto da riverberarsi anche nella stampa internazionale [Beretta - Brenni, 2022, p. 89-94].

Durante gli anni ‘80, dunque, il Salon dei Lavoisier divenne un centro della sociabilità scientifica e non a caso fu proprio nel laboratorio dell’Arsenal che si tennero gli esperimenti chimici più importanti dell’epoca. La doppia natura della residenza di Lavoisier, laboratorio e luogo di conversazione scientifica, conferì all’Arsenal lo status di un salotto mondano innovativo che molti, aristocratici compresi, aspiravano frequentare. In un contesto quasi interamente assorbito dall’elaborazione del Traité e dagli sforzi di divulgarne i principi teorici con un denso calendario di spettacoli mondani è davvero difficile che i Lavoisier incaricassero David di ritrarli in una forma che non rendesse in qualche modo evidente questo momento cruciale che entrambi non avevano esitato a definire nella corrispondenza come ‘rivoluzionario’.

Mi pare dunque che la versione preliminare attesti lo sforzo di evocare la caratteristica culturale del Salon e dei loro più autorevoli committenti, presentati come membri dell’alta borghesia che, attraverso l’eleganza dei loro abiti, non lasciavano nulla a desiderare rispetto ai Salons aristocratici che, negli ultimi tre decenni, avevano animato la scena filosofica, letteraria e musicale della capitale francese.

La prima versione del ritratto, in molti punti appena abbozzata, aveva sicuramente messo in luce la difficoltà di comunicare con chiarezza l’identità culturale che i due committenti volevano dare di sé e del loro salotto. Fu senz’altro per queste ragioni che, già nella prima bozza, David aveva collocato dietro la tavola uno strumento che potesse dare maggior risalto a questa rappresentazione scenica. Non mi pare convincente l’ipotesi avanzata dagli autori che il cambiamento di abbigliamento e di arredi sia subentrato per far fronte alla crescente preoccupazione di Lavoisier di allontanare la propria immagine dalla sua funzione di Fermier. Credo invece che tra la prima bozza e la versione definitiva del ritratto sia riscontrabile un’evoluzione di un coerente percorso iconografico volto a mettere in evidenza la principale attività svolta dai coniugi Lavoisier.

Conclusione

Non si insisterà mai abbastanza sulla straordinaria capacità evocativa del ritratto dei Lavoisier ed è dunque naturale che un’immagine per molti versi enigmatica abbia generato interpretazioni molto diverse tra loro, interpretazioni che le recenti scoperte realizzate al Metropolitan Museum non mancheranno di arricchire di nuovi spunti ed elementi. Come ho cercato di mostrare in questo saggio, la contestualizzazione storica del ritratto intrecciata alle biografie dei due committenti ha messo a fuoco il percorso che ha ispirato David, segnalandoci lo sforzo di evocare in modo riconoscibile i tratti di quello si era venuto configurando come il più importante salotto scientifico dell’epoca. I motivi della difficoltà non risiedevano soltanto nel fatto che la maggior parte dei salotti parigini erano incentrati sulla conversazione letteraria e filosofica e non sulla pratica sperimentale ma anche nella forma innovativa in cui questa pratica era stata interpretata all’Arsenal. Gli storici della scienza hanno spesso sottolineato come l’esigenza, espressa in modo quasi ossessivo da Lavoisier, di usare strumenti di alta precisione nelle esperienze che preparava nel suo laboratorio, abbia reso la pratica scientifica un’attività ristretta a quella comunità di studiosi che, nei primi anni del secolo successivo, sarebbe stati definiti con il neologismo collettivo di ‘scienziati’. L’obiettivo di superare il dilettantismo che, ancora sul finire del secolo, non era nettamente distinguibile da quella nuova filosofia della natura che a metà secolo Jean d’Alembert voleva porre a fondamento di tutta la conoscenza, mostrava tutta la fragilità degli sforzi messi in campo da Lavoisier e da molti membri dell’Académie des Sciences per accreditarsi come la nuova intellighenzia. Per accelerare questo processo era necessario ottenere una legittimazione che andava ben al di là degli esperti. E tuttavia, l’impressionante serie di scoperte che Lavoisier e i suoi collaboratori realizzarono in poco meno di tre decenni era il frutto dell’applicazione di tecniche sperimentali costose ed estremamente elaborate, della costruzione di strumenti sconosciuti e precisi, parte dei quali presentati da David nel suo ritratto, sia come oggetti fisici sia come illustrazioni nelle incisioni preparate da Madame Lavoisier per il Traité. Questo nuovo modo di intendere la pratica sperimentale non lasciava nulla al caso o alle abilità manuali, due caratteristiche che avevano accompagnato la storia della chimica fin dalle sue più remote origini. La nuova professionalizzazione della chimica era passata da una ‘rivoluzione’ che l’avrebbe inevitabilmente allontanata da una rete sociale in cui la conversazione di argomenti scientifici era ancora accessibile nei salotti, nelle farmacie e in luoghi animati dalla curiosità culturale. Dall’altro lato però, Lavoisier non era uno scienziato professionista ma, come abbiamo visto, un Fermier général, un funzionario dell’Antico Regime, con una passione per la chimica e per le scienze naturali a cui dedicava tutto il proprio tempo libero. Entro questa dimensione storica, la complicità con la moglie e la centralità assunta dallo spazio domestico divengono immediatamente comprensibili e giustificati.

Le esitazioni del doppio ritratto di David fotografano questa tensione tra una società sorretta da regole di convivenza in rapida dissoluzione e l’emergere, all’orizzonte, di una visione della scienza condizionata dalla progressiva standardizzazione professionale delle carriere e dalla conseguente rapida espulsione delle donne da un mondo quasi dominato esclusivamente da competenze acquisite attraverso curricola accessibili ai soli uomini.

Rappresentando mirabilmente l’armonia tra arte e scienza, tra cultura scientifica e società, il ritratto di David offre forse l’ultima preziosa testimonianza iconografica della pratica scientifica dell’Antico Regime.