N.1 2023 - Scientia | Giugno 2023

Navigazione dei contenuti del fascicolo

Quali esperienze didattiche per promuovere le competenze trasversali

Roberta Silva

Università degli Studi di Verona; roberta.silva@univr.it

Abstract

Il contesto dell’innovazione didattica e della formazione degli insegnanti oggi è oggetto di profondi cambiamenti tanto legislativi e di indirizzo quanto in termini di buone pratiche. Ciò è vero per ogni ambito disciplinare, inclusa la formazione scolastica e universitaria nelle discipline storiche e filosofiche. È altrettanto vero anche per i contesti di formazione permanente, inclusa la formazione degli insegnanti. Negli ultimi anni, sulla spinta delle indicazioni che provenivano dall’Unione Europea, è emersa in particolare una visione delle competenze trasversali come qualcosa capace di integrare una formazione di stampo più prettamente disciplinare. Si tratta di un’innovazione nel campo della didattica che modifica il quadro di riferimento per la proposta di progetti formativi di alto livello. Questo articolo si propone quindi di fornire gli elementi necessari a orientarsi nel mondo della formazione e nei suoi cambiamenti recenti. Conoscere il processo e il quadro generale di riferimento è divenuto infatti cruciale per costruire percorsi di formazione e apprendimento efficaci e innovativi, ma anche al passo con la normativa attuale.

English abstract

Recently, both supranational institutions and scientific literature underlined a growing interest in soft/life skills, seen as the key to supporting the growth of individuals capable of responding effectively to a context characterized by high complexity, such as the contemporary one, and of assuming a critical and active role in the working social and civil life. This attention has translated, in the context of Teacher Education, into an emphasis on the need to intertwine the development of transversal skills and disciplinary skills, opening a stimulating path for educational innovation. This article, therefore, aims to provide the elements necessary to chart a course through these recent changes, directing the didactic action in a transformative perspective since knowing what “shapes” this debate is crucial for building effective and innovative training and learning paths, but also in step with current legislation.

Per scaricare l'articolo in pdf visita la sezione "Risorse" o clicca qui.

Che cosa sono le competenze trasversali?

Questo excursus non può che partire da una domanda: cosa intendiamo con l’espressione ‘competenze trasversali’? Se ci focalizziamo sul contesto italiano, una definizione molto diffusa le individua come «un insieme di abilità di ampio spessore che sono implicate in numerosi tipi di compiti, dai più elementari ai più complessi, e che si esplicano in situazioni tra loro diverse e quindi ampliamente generalizzabili» [Di Francesco, 1998, p. 50]. È evidentemente una descrizione molto ampia, che tuttavia rappresenta un punto di riferimento fondamentale. Innanzitutto, va sottolineato come, in ambito italiano, si è scelto il termine ‘trasversale’ per indicare questo tipo di competenze al fine di enfatizzare la loro flessibilità, che consente ai soggetti di poterle declinare in aree di applicazione molto diverse tra loro, sia di stampo professionale che personale [Verrastro, 2015]. Proprio questa dimensione di ‘trasferibilità’ (o per meglio dire, in alcuni casi di ‘molteplicità’) è stata, per la sfera italiana, cruciale, poiché ne mostrava implicitamente la spendibilità in un contesto lavorativo, anche quando il loro sviluppo aveva radice in settori diversi [Palumbo, 2015].

Negli ultimi anni, questa visione delle competenze trasversali, viste come qualcosa capace di integrare una formazione di stampo più prettamente disciplinare, è emersa con sempre maggior forza, ponendone soprattutto in luce le potenzialità in termini di lifelong learning e di adattamento a un contesto in continuo cambiamento come quello attuale [Falzetti, 2021]. Questa prospettiva è sicuramente in linea con quanto promosso dall’Unione europea, in particolare nel documento sulle Competenze Chiave per l’Apprendimento Permanente [Commissione Europea, 2018]; tuttavia, se volgiamo lo sguardo verso il panorama internazionale ci rendiamo conto che il discorso può essere affrontato anche da altre prospettive.

Prima di avventurarci in questo approfondimento è però necessario fare una precisazione: se, infatti, in ambito nazionale, l’espressione ‘competenze trasversali’ è unanimemente riconosciuta, quando ci addentriamo nella dimensione internazionale, le cose sono più complesse. A partire dagli anni Novanta molti degli sguardi che hanno indagato queste competenze le hanno definite soft skills partendo da un punto di vista economico e indagando in particolare in che modo il loro sviluppo poteva incidere nei contesti lavorativi, con un focus specifico rivolto al modo in cui esse miglioravano la capacità degli individui di adattarsi a contesti in costante movimento, come quelli caratteristici del ventunesimo secolo [Nguyen, 1998]; [Heckman, 2000]; [Heckman - Kautz, 2012]; [Deming, 2017]; [Schwab - Davis, 2018]. È a partire da questa visione che le soft skills sono state definite come quelle competenze, appartenenti al bagaglio personale di un individuo, che egli sviluppa attraverso la propria esperienza, anche di carattere informale e non formale, consentendogli di relazionarsi in modo più efficace con contesti specifici caratterizzati da elevata complessità [Perreault, 2004]; [European Commission, 2013, p. 37]. Questo ha determinato una definizione delle soft skill articolate quali capacità di lavorare in squadra in modo collaborativo, di gestire processi di leadership, di indirizzare la propria azione secondo un orientamento problem-solver, di applicare uno sguardo critico e creativo alla realtà, di reagire alle difficoltà con un approccio improntato alla resilienza, di gestire efficacemente i processi organizzativi, di comunicare in modo appropriato e di relazionarsi positivamente con gli altri, orientandosi alla risoluzione dei conflitti [Karimi - Pina, 2021].

Leggere le competenze trasversali come soft skills significa dunque interpretarle come elementi spiccatamente intrapersonali ed interpersonali [Colburn, 2018]; tuttavia, tale concetto può essere letto anche da una prospettiva leggermente diversa e, in un certo senso, più ampia, ovvero quella delle life skills. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito le life skills come competenze necessarie a consentire «un comportamento adattivo e positivo che mette le persone nella condizione di affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana» [WHO, 1997, p. 1]. Similmente l’UNICEF le individua come quelle competenze «che possono aiutare le persone a prendere decisioni informate, comunicare in modo efficace e sviluppare capacità di coping e autogestione, conducendo a una vita sana e produttiva» [UNICEF, 2012, p.1]. Sulla stessa linea si muove anche il Progetto Europeo Life Skills for Europe secondo cui le life skills sono ciò che consente a un individuo di costruire la propria indipendenza e autoefficacia, intendendole come «combinazioni di diverse capacità che consentono agli adulti di porsi in una prospettiva di lifelong learning e di risolvere efficacemente i propri problemi, per vivere una vita autonoma come individuo e assumere un ruolo attivo all'interno della società» integrando aree tutte diverse ma «strettamente legate alle sfide cruciali che un adulto deve affrontare nel mondo moderno» favorendo una vita piena e autonoma da punti di vista plurimi [Life skills for Europe, 2018, p. 4].

Questa visione possiede uno stretto legame con un documento fondamentale per la definizione delle competenze trasversali, ovvero LifeComp. La radice da cui nasce LifeComp è rappresentata dalle prime Raccomandazioni dell’Unione Europea per l’apprendimento permanente [Lifelong learning, 2006], documento nel quale vengono delineate le otto competenze chiave per il cittadino europeo, tra cui particolare rilevanza assumono, accanto alle competenze digitali, le competenze civiche e sociali e l’‘imparare a imparare’. È a partire dalla fioritura di questa prima sollecitazione che nasce LifeComp, un framework che sistematizza la necessità di migliorare le competenze personali e sociali attraverso i percorsi di istruzione e l’apprendimento permanente, in un’ottica di lifelong learning. Il progetto giunge a compimento nel 2018 grazie a un’iniziativa del Consiglio dell'Unione europea e ha come focus quello di definire un insieme di competenze necessarie per lavorare e vivere nel 21° secolo e ottimizzare lo sviluppo dell’individuo, l'inclusione sociale, la cittadinanza attiva e l'occupazione, attraverso competenze fondamentali che entrino in relazione proficua con diverse aree disciplinari come quelle linguistiche, matematiche, scientifiche, tecnologiche, digitali, sociali, civiche, formative, economiche, riflessive e culturali [Sala et al., 2020]. È attraverso il rafforzamento di queste skill per così dire primarie che è infatti possibile, secondo LifeComp, costruire un futuro cittadino capace di far fronte a situazioni di vita complesse, gestendo con successo le sfide poste dalle numerose transizioni in atto nel mondo del lavoro, così come nella vita personale o in quella civica e sociale, tutte sfere che in epoca contemporanea si caratterizzano per un elevato grado di incertezza [Sala et al., 2020].

Fig. 1- LifeComp

All’interno di questo framework le competenze sono organizzate in tre macro-aree: area personale, area sociale ed infine l’area dell’apprendere ad apprendere; ogni area è divisa in tre competenze, come rappresentato graficamente nell’immagine sovrastante (Fig. 1), ognuna delle quali fa riferimento a specifici indicatori. Questa articolazione, proprio in virtù della sua organizzazione, incide su tutti gli aspetti della vita umana e allo stesso tempo potenziali aree di sviluppo di tali competenze si ritrovano tanto nell’istruzione formale, quanto in quella informale [Sala et al., 2020].

Quanto fin qui tracciato mostra come sia essenziale, per chi voglia progettare un’esperienza educativa, focalizzare esplicitamente tra gli obiettivi lo sviluppo delle competenze trasversali, inserendosi in un framework riconosciuto. Detto in altri termini si vuole aiutare a tracciare l’obiettivo di una progettazione educativa consapevole, partendo però da una presa in carico del costrutto stesso di competenza trasversale che vuole allontanarsi da una visione spontaneistica, ponendone al contrario in luce la ricchezza, poiché solo a partire dalla consapevolezza della dimensione complessa che le caratterizza è possibile mettere tali skill a sistema. Rimane però una domanda aperta: una volta definiti tali obiettivi, come inserire concretamente le competenze trasversali in una progettazione? O per meglio dire, quali sono i quadri di riferimento per una progettazione educativa e didattica che tenga conto delle competenze trasversali?

Quali quadri di riferimento per il loro sviluppo?

Uno dei punti di riferimento fondamentali per l’intero quadro educativo e formativo europeo è rappresentato dal Processo di Bologna (Bologna Process) durante il quale, il 19 giugno 1999, a Bologna 30 ministri europei hanno firmato un accordo che sanciva l’armonizzazione delle architetture dei sistemi d’istruzione superiore in tutta Europa, tracciando uno scheletro comune attorno a cui tutte le nazioni avrebbero dovuto allinearsi [Wächter, 2004]. Per quanto non esplicitamente focalizzato sul tema delle competenze trasversali, questo cambiamento ha avuto un impatto notevole sul nostro focus di attenzione, poiché è in seguito al Bologna Process che le università hanno adottato curricula basati sulle competenze [Leinonen - Pajarre - Kivimäki, 2019]. Ma cosa significa progettare per competenze? Significa declinare l’obiettivo dell’azione didattica a partire da ciò che lo studente sarà in grado di fare al termine del percorso, con uno spostamento di focus dalla dimensione del teaching (ovvero dall’azione del docente) a quella del learning (ovvero l’agito dello studente). Significa dunque spostarsi da una dimensione teacher oriented a una student oriented. Teniamo a mente questo concetto e proseguiamo nella nostra disamina.

Dunque, ragionare in termini di competenza si traduce in una progettazione che non tenga solo conto delle conoscenze veicolate (ovvero del contenuto), ma anche della spendibilità di tali conoscenze in un contesto reale, cosa che assume la forma, appunto, di una competenza. Ma agire una competenza di qualunque tipo spesso si traduce in un’azione complessa, che si intreccia, per essere realizzata, con competenze altre, non di rado trasversali. Per esprimere questo concetto con un esempio potremmo dire che, se per un commercialista una competenza professionale essenziale è rappresentata dalla capacità di relazionarsi efficacemente con le istituzioni rispetto al profilo tributario di un suo cliente, motivando le scelte compiute e negoziando una positiva risoluzione delle eventuali controversie, per raggiungere tale obiettivo è però necessario che egli possieda anche competenze di tipo trasversale, in particolare quelle comunicative e di pensiero critico. Ecco, dunque, che una progettazione che voglia mirare a costruire una skill professionale di questo tipo dovrebbe, contemporaneamente, mirare allo sviluppo anche di tali competenze trasversali.

Questo aspetto è stato tematizzato dal gruppo di lavoro che è partito dal Bologna Process per definire il Quadro Europeo dei Titoli (European Qualifications Framework o EQF), ovvero un sistema organico che declina, per i diversi gradi di istruzione, le conoscenze e le competenze base che l’individuo deve sviluppare contestualmente al raggiungimento di un determinato titolo. Il Bologna Working Group on Qualifications Frameworks ha dunque ideato un quadro complessivo in cui i risultati di apprendimento sono definiti in base a dei descrittori (qualification descriptors), che devono essere sufficientemente flessibili da essere declinabili in contesti diversi. È a partire da ciò che un gruppo di lavoro più specifico, definito The Joint Quality Initiative, ha prodotto quelli che vengono denominati i ‘descrittori di Dublino’, ovvero un pacchetto coerente di indicatori in dialogo gli uni con gli altri che servono per descrivere gli obiettivi di apprendimento in una prospettiva multidirezionale [Bologna Working Group on Qualifications Frameworks, 2004].

I ‘descrittori di Dublino’ sono infatti un pacchetto organico e coerente di criteri che servono alla descrizione degli obiettivi di apprendimento, connessi al raggiungimento di un determinato step formativo. Essi sono a) conoscenza e capacità di comprensione (knowledge and understanding); b) conoscenza e capacità di comprensione applicate (applying knowledge and understanding); c) autonomia di giudizio (making judgements); d) abilità comunicative (communication skills); e) capacità di apprendere (learning skills) [Bologna Working Group on Qualifications Frameworks, 2004]. Se i primi due descrittori fanno maggiormente riferimento alle conoscenze e competenze disciplinari, gli ultimi tre sono chiaramente in relazione con le competenze trasversali, tanto che sono evidenti i legami con quanto detto in precedenza a partire dalle Raccomandazioni per l’apprendimento permanente (2006) e da LifeComp (2018).

Proprio la multidimensionalità che caratterizza i descrittori di Dublino ne fa uno strumento utile a orientare, anche da un punto di vista operativo, la costruzione di una progettazione educativa e didattica, integrando competenze trasversali e disciplinari. Ovviamente a patto di utilizzare tali elementi non come contenitori prescrittivi, ma come punti di riferimento flessibili il cui scopo è orientativo: questo significa saper utilizzare i vari descrittori come una cartina di tornasole per comprendere, in fase di progettazione, su quali azioni didattiche investire per potenziare le diverse competenze in un’ottica equilibrata e mutualmente arricchente [Bologna Working Group on Qualifications Frameworks, 2004]. Ecco dunque che, all’interno di questa prospettiva, i descrittori di Dublino possono assumere la fisionomia di uno scheletro flessibile per creare, a partire dalle esigenze specifiche, una progettazione capace di puntare contemporaneamente allo sviluppo di un insieme di competenze disciplinari e trasversali, intrecciandole sulla base di un agire non ipotetico ma radicato in un contesto di applicazione specifica al fine di potenziarne l’efficacia.

Nonostante i paesi europei molto abbiano fatto al fine di tradurre questo framework in un punto di riferimento operativo per la progettazione educativa e didattica dei loro sistemi di istruzione, questo percorso è ancora ben lungi dal dirsi giunto ad una conclusione soddisfacente, poiché le modalità per trasferire questa aspirazione nella quotidianità non hanno ancora raggiunto un livello di diffusione adeguato [Cinque, 2016]. Come superare questa impasse? O per meglio dire, attraverso quali strumenti tradurre in agito l’orientamento espresso dai quadri di riferimento ufficiali?

Quali strumenti utilizzare per potenziarle?

La risposta a questa domanda sembra essere evidente, poiché in letteratura il collegamento tra lo sviluppo delle competenze trasversali (con particolare riferimento alle competenze socio-relazionali, comunicative e critiche), e l’utilizzo di metodologie didattiche attive è accertato e consolidato [Dewey, 1986]; [Bonwell - Eison, 1991]. Ciò entra in risonanza con quanto già affermato a proposito dello spostamento necessario da una prospettiva teacher oriented ad una student oriented poiché l’active learning è riconosciuto come il principale strumento per spostare tale orientamento, dando centralità allo studente rispetto all’azione didattica, sia in termini operativi che in senso più globale, rendendolo, attraverso un coinvolgimento diretto delle attività didattiche, protagonista ma anche responsabile del proprio apprendimento [Kimonen - Nevalainen, 2005]; [Jeffrey, 2006]; [White et al., 2016]. Ma prima di tutto: che cosa si intende con l’espressione active learning?

Sovente, con una modalità alquanto semplicistica, l’apprendimento attivo viene descritto per contrapposizione rispetto a ciò che viene definito apprendimento passivo. Secondo questa visione, quello che caratterizza l'apprendimento passivo è a) uno scarso coinvolgimento degli studenti, b) un focus insistito sull'insegnante quale protagonista attivo, c) una spiccata centralità sulla dimensione delle conoscenze. Al contrario l’apprendimento attivo è caratterizzato da a) un’enfasi esplicita sull’engagement degli studenti, b) il passaggio del docente dal ruolo di protagonista a quello di guida e c) una declinazione rivolta più alle competenze [Petress, 2008].

Questo tipo di definizione ha senza dubbio il merito della chiarezza, tuttavia, non mette in evidenza un aspetto fondamentale che deve essere invece adeguatamente valorizzato, ovvero la multiformità dell’apprendimento attivo. Una definizione più articolata ma più stimolante è quella elaborata da Michelene T. H. Chi, la quale elabora una tassonomia dell’active learning a partire dai tre principali processi che lo riguardano: i processi “attivo’, ‘costruttivo’ e ‘interattivo’ [Chi, 2009, p. 74]. La studiosa, infatti, definisce le diverse possibili azioni didattiche che si riconoscono nell’apprendimento attivo, a partire dalle dinamiche in esso coinvolte: nello specifico, la base di ogni active learning è la dimensione ‘attiva’, che si ricollega idealmente all’apprendimento per scoperta e che prevede che gli studenti agiscano concretamente sulla conoscenza che sono chiamati ad acquisire. Questo tipo di attivazione può avvenire con gradi di complessità diversi, partendo da azioni semplici (come, ad esempio, l’individuazione di concetti chiave) o attraverso modalità più complesse (come, ad esempio, manipolare una sostanza in un contesto laboratoriale). Ma il processo costruttivo rappresenta solo, per così dire, la ‘base della piramide’ e ad esso può sommarsi quello costruttivo. Quest’ultimo si attiva quando gli studenti non solo esplorano, assimilano e manipolano le conoscenze esistenti, ma vanno oltre le informazioni presentate per creare un'elaborazione originale organicamente strutturata e, di conseguenza, producono nuova conoscenza, per quanto contestualizzata. Esempi di attività connesse a questa dimensione sono la costruzione di una mappa concettuale o l'elaborazione di un'ipotesi volta a spiegare la connessione tra diversi fenomeni. Infine, il terzo step che integra questa catena è quello interattivo, che si attiva quando alle costruzioni pregresse si aggiunge una dimensione relazionale e collaborativa, che pone le azioni didattiche all’interno di un framework condiviso, come accade ad esempio quando viene chiesto a uno studente di elaborare un feedback su un prodotto altrui con conseguente revisione o quando si attiva la creazione collaborativa di un prodotto comune [Chi, 2009].

Quanto fin qui descritto mostra come la tassonomia proposta da Chi è organizzata secondo una logica graduale e sommativa: il processo attivo è, ovviamente, la base fondamentale dell’active learning, una sorta di primo passo, perché è ciò che implica, per gli studenti, un’uscita da uno stato passivo. Tuttavia, tale ‘livello base’, per così dire, può essere arricchito attraverso il processo costruttivo, che può aggiungersi al primo. Quando un apprendimento coinvolge non solo una dimensione attiva ma anche una costruttiva, il coinvolgimento dello studente diventa più forte perché significa per il soggetto poter dare al sapere una nuova conformazione, nata dalla costruzione di nuove inferenze e nuove connessioni. Infine, il terzo passaggio è rappresentato dal processo interattivo che consente agli studenti, attraverso un confronto reciproco, di sviluppare un'acquisizione di conoscenze più complessa e articolata grazie alla possibilità di arricchimento offerta dal contributo dell'altro, ma anche attraverso la capacità di cogliere e sfruttare il feedback altrui rispetto al proprio pensiero [Chi, 2009].

Torniamo ora al nostro punto di partenza, ovvero lo sviluppo delle competenze trasversali: eravamo partiti dalla considerazione, da tempo radicata in letteratura, che testimonia come l’active learning sappia supportare lo sviluppo di tali competenze, e abbiamo proseguito con il precisare la differenziazione esistente tra le diverse tipologie di apprendimento attivo, presentando la tassonomia di Chi. Pur senza addentrarsi in una complessa analisi delle specifiche strategie presenti nel panorama didattico (Problem based learning, Jigsaw, Game based learning, Think-pair-share e così via), la strutturazione presentata da questa studiosa è sufficiente per darci un’idea, sintetica ma esaustiva, della ricchezza di tali strumenti. Rimane però aperta una questione: in che modo tale ricchezza si relaziona con lo sviluppo delle competenze trasversali, che sono, come abbiamo visto all’inizio di questo contributo, altrettanto ricche ed articolate?

Proviamo a riflettere: la tassonomia di Michelene Chi parte dalla tipologia active caratterizzata dal processo attivo che, come abbiamo visto, si caratterizza per una sollecitazione, rivolta allo studente, tesa a promuovere in lui una manipolazione e quindi un’analisi della conoscenza. Questa definizione, se messa in relazione con quanto detto inizialmente a proposito delle competenze trasversali, non può che farci venire in mente il ruolo del pensiero critico. Quello che possiamo dunque dedurne è che un’azione didattica di tipo active sia funzionale allo sviluppo di questa competenza trasversale. Compiamo quindi un passo in più e analizziamo le metodologie constructive, che aggiungono il processo costruttivo: abbiamo visto come esse attivino dinamiche creative, che portano alla costruzione di nuove inferenze e nuovo sapere. Questo elemento sembra suggerirci la capacità delle metodologie didattiche che si ricollegano a tale processo di attivare la competenza dell’apprendere per apprendere, ponendosi come chiave centrale per un’efficace prospettiva di lifelong learning. Infine, volgendo lo sguardo alla terza tipologia di active learning, ovvero l’interactive, vediamo come ai due precedenti processi, esso unisca la dimensione collaborativa, ponendosi dunque in stretta relazione sia con le competenze relazionali che comunicative. Sembra dunque chiaro che il legame, già accreditato tra metodologie didattiche attive ed apprendimento attivo, grazie all’interpretazione offerta dalla tassonomia elaborata da Chi, consenta una visione più dettagliata ed articolata del fenomeno, mostrando indicazioni operative chiare per una progettazione didattica che voglia attivare quelle competenze trasversali che, sia in letteratura che nei documenti internazionali, vengono posti alla base di uno sviluppo armonico del cittadino del prossimo secolo.

Questa ovviamente è solo una base di partenza, che può essere ulteriormente arricchita, poiché alcune strategie didattiche, grazie alle loro specifiche caratteristiche, consentono di aggiungere a questo ‘cocktail’, ulteriori stimoli. Ad esempio, utilizzando il role playing, una strategia che può essere chiaramente riconducibile all’interactive ma che si caratterizza per un processo di identificazione funzionale all’azione didattica, oltre alle competenze trasversali già citate, è possibile andare a supportarne altre legate alla sfera socio-emotiva, come ad esempio l’empatia. Ecco dunque che, scegliendo con attenzione le strategie di active learning, io posso andare a supportare il potenziamento di un set piuttosto ampio di competenze trasversali.

Tirando le somme

Abbiamo dunque visto come impostare l’azione didattica a partire da un framework orientato all’active learning consenta di favorire il raggiungimento di risultati positivi nello sviluppo delle competenze e come, inoltre, la differenziazione di tali strumenti consenta di raggiungere tale goal in una modalità ampia e diversificata, attivando più competenze trasversali contemporaneamente, in base alle specificità dello strumento utilizzato. Questo collegamento, ovviamente, è perfettamente coerente con le logiche costitutive della progettazione didattica, e in particolare con il constructive alignment che teorizza la necessità di allineare obiettivi, metodologie e strumenti di valutazione per ottimizzare l’efficacia dell’intervento educativo o formativo [Biggs, 1996]. Tuttavia, tale collegamento, per quanto ormai considerato punto di riferimento fondamentale per gli aspetti di ordine disciplinare, è ancora poco ‘agito’ rispetto alle competenze trasversali, che talvolta sono quasi considerate obiettivi ‘a caduta’ il cui raggiungimento non necessita di una tematizzazione specifica. Porre invece un’attenzione precipua nonché un focus definito all’interno della progettazione didattica a questi aspetti, non solo sottolinea l’importanza del raggiungimento di tali competenze per un processo evolutivo completo, che integri dimensione personale, professionale e civica, ma, al contempo, sostiene un’innovazione didattica che non si ponga come semplice ‘esercizio di stile’ ma che, al contrario, voglia essere funzionale al raggiungimento di un apprendimento più efficace, creativo e significativo, capace di ‘innestarsi’ e ‘fiorire’ nel soggetto attraverso un processo di rielaborazione e resinificazione personale.