N.1 2025 - Scientia | Giugno 2025

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La rivista Sapere nella direzione di Carlo Bernardini: un viaggio trentennale

Luigi Romano

ARPA Puglia gigiromano2006@yahoo.it

Received 09/01/2025 Accepted 07/03/2025 Published online 30/06/2025

Abstract

Si è indagata la trentennale direzione (1983-2013) della rivista di divulgazione scientifica Sapere da parte del fisico Carlo Bernardini (Lecce 22/04/1930 - Roma 21/06/2018) all’interno del mutevole contesto storico e sociopolitico che la ha accompagnata. Si è sviluppato un breve excursus sulle Edizioni Dedalo di Bari, proprietaria di Sapere e un’analisidegli interessi e delle attività del fisico leccese, per comprendere le tematiche da lui introdotte nella rivista. Sapere ha dato visibilità a temi fondamentali come la pace e il disarmo nucleare, l’epistemologia e la storia della scienza, non trascurando l’importante settore degli studi di genere, conservando sempre una riconosciuta e apprezzata oggettività scientifica grazie anche alla collaborazione di scienziati, giornalisti scientifici e studiosi prestigiosi.

English abstract

The article investigate the thirty-year direction (1983-2013) of the popular science magazine Sapere by the physicist Carlo Bernardini (Lecce 22/04/1930 - Rome 21/06/2018) within the changing historical and socio-political context that accompanied it. The article provides also a brief excursus on Edizioni Dedalo of Bari, owner of Sapere, and analyses the interests and activities of the Lecce’s physicist, in order to understand the themes he introduced in the magazine. Sapere gave visibility to fundamental themes such as peace and nuclear disarmament, epistemology and the history of science, without neglecting the important sector of gender studies, always maintaining a recognized and appreciated scientific objectivity thanks also to the collaboration of scientists, scientific journalists and prestigious scholars.

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Introduzione

Il presente lavoro vuole offrire un contributo al dibattito sulla storia della divulgazione scientifica, focalizzandosi sulla trentennale direzione della pionieristica rivista Sapere da parte del fisico Carlo Bernardini. Si vuole indagare la simbiosi tra la peculiarità della sua figura, caratterizzata da un continuo impegno in prima persona nelle battaglie scientifiche, politiche e civili del suo tempo, e le conseguenti scelte editoriali fatte all’interno della rivista. Si è inserito un breve accenno alla casa editrice Edizioni Dedalo di Bari (proprietaria di Sapere dal 1967) e al suo approccio militante durante gli anni Settanta del Novecento, manifestatosi con la pubblicazione di circa quaranta riviste, tra le quali spicca certamente Il Manifesto. Si sono analizzati gli eventi che hanno condotto alla decisione di affidare la direzione di Sapere a Carlo Bernardini e quelli legati alla conclusione della sua avventura da direttore per visioni discordanti con l’editore.

Nella redazione dell’articolo ci si è avvalsi di testimonianze, reperite in rete, di diversi studiosi che hanno collaborato con Bernardini; di documenti rinvenuti nella sede delle Edizioni Dedalo contenenti anche interviste al fondatore Raimondo Coga; di oral histories tenutesi con Claudia Coga, figlia di Raimondo e attuale amministratore delegato e direttore editoriale della Dedalo; di tesi di laurea centrate sull’esperienza della casa editrice barese; degli editoriali di Carlo Bernardini presenti nella rivista. Si sono inoltre letti tutti i numeri di Sapere riguardanti il periodo 1983-2013 e i testi del fisico leccese e di diversi studiosi, riportati poi in bibliografia e sitografia.

Edizioni Dedalo: la rivista Sapere ma non solo. Una scelta di campo

La rivista Sapere, fondata nel 1935 da Ulrico Hoepli Editore,è stata la prima nel panorama divulgativo scientifico italiano e oggi, con novanta primavere, è di certo anche la più longeva. In quasi un secolo ha sperimentato avvicendamenti dieditori, vesti grafiche, periodicità, direzioni e orientamenti editoriali. È rimasta sempre, però, strettamente connessa alla situazione storica e sociopolitica del suo tempo, narrando l’evoluzione scientifica e tecnologica del nostro Paese e rivelandosi uno specchio degli orientamenti della ricerca di base e di quella applicata in Italia. Il primo numero ha avuto un valore storico notevole, con il primo articolo firmato da Guglielmo Marconi e una tiratura di centomila copie, con contributi successivi, tra gli altri, di Enrico Fermi ed Edoardo Amaldi.

Nel 1962, Sapere è ceduta dalla Hoepli alle Edizioni di Comunità, casa editrice legata alla Olivetti, che nel 1967, a seguito di un suo ridimensionamento dei programmi editoriali, la vende all’attuale proprietaria, la Dedalo Libri di Bari (nata nel 1965, oggi Edizioni Dedalo). Il suo fondatore, Raimondo Coga, è stato un uomo di idee progressiste che ha riversato nella casa editrice il suo impegno politico e la sua attenzione alla cultura, pubblicando circa quaranta riviste nelle discipline più disparate, a partire da Sapere.

Il contesto storico e sociopolitico in cui si sviluppano le scelte della Dedalo mostra le enormi tensioni che l’Italia sperimenta dal 1960 fino agli anni Ottanta del secolo scorso. È del 1960 la nascita del governo presieduto da Fernando Tambroni, che con i voti del Movimento sociale italiano e dei monarchici, rappresenta una delle tante pagine oscure della Repubblica italiana. Si pensi, ad esempio, all’ordine dato pubblicamente di sparare alle manifestazioni con armi da guerra (i mitra Mab 38), cosa che sarà subito eseguita. Nei quattro mesi di governo, fino alle dimissioni del luglio 1960, si conteranno infatti più di dieci morti tra i manifestanti in varie parti d’Italia e decine di feriti, compresi alcuni parlamentari del PCI.

Negli anni successivi si vengono a creare continui disordini e violente repressioni dello Stato verso chi protesta per il costo del lavoro e per i tentativi di indebolimento dei sindacati all’interno delle fabbriche. Si assiste ad un flusso migratorio continuo che dall’Italia meridionale giunge a Milano, Torino e in Europa alla ricerca di lavoro e futuro, vivendo spesso in condizioni disumane e in contesti emarginanti. La situazione sociale è esplosiva, e il Paese assiste alle manifestazioni del 1968, all’autunno caldo del 1969, ai numerosi attentati nello stesso anno, culminati con la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. L’Italia sarà attraversata da una lunga sequela di stragi, con l’apice orribile alla Stazione di Bologna il 2 agosto 1980, che riveleranno una vera e propria ‘strategia della tensione’ da parte di diversi settori deviati dello Stato. E poi, il terrorismo, i cosiddetti ‘anni di piombo’ e una polarizzazione della società italiana che probabilmente perdura ancora oggi, anche per i troppi segreti rimasti tali anche dopo più di cinquant’anni.

Tra il 1968 e il 1977, la situazione vissuta dal Paese permea comunque profondamente ogni settore della cultura, dalle università alle stesse case editrici. In quest’ambito, Raimondo Coga identifica le riviste come strumenti agili e indispensabili, adatte ad alimentare il forte desiderio di dibattito manifestatosi negli anni successivi al Sessantotto e definendo l’esperienza come quella di cui è stato più orgoglioso.

Alcune riviste della Dedalo giocano un ruolo cruciale in quegli anni, essendo indicative delle scelte politiche della casa editrice. Si pensi all’edizione italiana di Monthly Review (An Independent Socialist Magazine), a Il Confronto (sulle cui pagine nasce il primo dialogo tra democristiani e comunisti, anticamera del cosiddetto ‘compromesso storico’), o a il Manifesto, rifiutato da Einaudi e Feltrinelli e accettato con lungimiranza da Raimondo Coga che «condividendo il progetto culturale e politico dei fondatori […], valutando il peso intellettuale dei protagonisti, ne intuì il potenziale successo e progettò una rivista con formato e grafica molto apprezzabili» [De Chirico, 1997, p. 132]. L’editore barese richiede un formato grande e una diffusione di massa in edicola. Dopo dodici numeri mensili, con una media di trentamila copie vendute, regala ai fondatori la testata per la futura nascita del quotidiano a Roma.

Tra il 1970 e il 1976, la Dedalo, in sintonia con le istanze di cambiamento presenti nel Paese, pubblica Fabbrica e Stato, incentrata sulle lotte sociali ed economiche della classe operaia, con temi riguardanti l’organizzazione del lavoro, il ruolo della scienza e della tecnica nella produzione, e il rapporto tra scuola e lavoro; Marxiana, che si prefigge di «sottrarre l’elaborazione rivoluzionaria di Marx ai rinnovati condizionamenti accademici e di partito» e di restituirla al proletariato, veicolandone il messaggio nelle fabbriche, nelle scuole e nei quartieri; ed Effe, la prima rivista femminista nazionale, con una compagine redazionale tutta al femminile che ambisce a un’autonomia politica e di contenuti ed è l’occasione per le donne di «parlare, testimoniare, pensare e lottare in proprio».

Sapere e Carlo Bernardini, storia di un incontro

Nel 1982, in un quadro storico e politico in divenire, caratterizzato da cambiamenti che si riveleranno altrettanto epocali rispetto al decennio precedente, Raimondo Coga decide di affidare a Carlo Bernardini la direzione di Sapere, per «ridarle smalto e soprattutto per sottrarla alle pastoie dell’ideologia antiscientista che aveva confuso le acque negli anni precedenti» [Minerva, 2018].

L’inizio del suo percorso nasce da una telefonata del suo collega Giovanni Berlinguer che lo spinge a valutare i problemi presenti in Sapere e le preoccupazioni dell’editore sulla ‘involuzione’ della rivista. In un editoriale scritto nel 2008 per i suoi venticinque anni alla direzione di Sapere, Bernardini ricorda:

Raimondo Coga mi telefonò e simpatizzammo rapidamente. Da quello che mi raccontò, la redazione […] di Sapere soffriva di grave anarchia, per ragioni essenzialmente ideologiche: un ‘sessantottismo’ cronicizzato voleva che nessuna espressione di opinioni sul rapporto scienza-potere fosse rintuzzata e, perciò, la rivista aveva un che di ‘ciclostilato in proprio’ tipico dei movimenti di autonomia […].

Alcuni ‘cattivi maestri’ (autodenominazione) garantivano la libertà di espressione e gli stucchevoli richiami all’intollerabile ‘scientismo’, parente stretto dell’‘imperialismo’.

Insomma, che la rivista parlasse di scienza […] non si poteva proprio dire: gli odiati ‘scientisti’ avevano asservito ogni ricerca accademica al potere, al mercato, agli armamenti, alla contaminazione di popolazioni ignare e via discorrendo. Come dice un vecchio proverbio: ‘un poco di verità fa credere tutta la bugia’ e questo sembrava la regola d’oro dello staff di Sapere ormai orfano di Buzzati Traverso e di Maccacaro [Bernardini, 2008, p. 6].

La percezione sulla ‘deriva’ intrapresa da Sapere nel periodo di ‘interregno’ tra Maccacaro e Bernardini è ben definita da Bernardini nel suo libro, Fisica Vissuta, e in una splendida storia orale raccolta da Luisa Bonolis e Maria Grazia Melchionni:

La rivista […] aveva passato molte mani fino a finire [dopo la scomparsa di Maccacaro] in quelle di un collettivo fatto […] di ‘casinisti’ il [cui capo era] Giovanni Cesareo […]. La regola di conduzione del periodico era: pubblichi chiunque lo chieda purché non sia dalla parte del ‘progresso’ [Bernardini, 2006, p. 103].

Era una redazione collettiva sessantottina, capitanata a Milano da Giovanni Cesareo, con dentro […] rivoluzionari di vario tipo. L’editore non ne poteva più, perché era una gestione anarchica, la regola era che se uno mandava un manoscritto bisognava pubblicarlo, perché era un diritto. Era diventata una rivista di ambientalisti, poco seria scientificamente [Bonolis, Melchionni, 2003, p. 36-37].

Sin dal primo editoriale nel numero di gennaio-febbraio 1983 è messa in chiaro la nuova condotta di Sapere: sarà una rivista di divulgazione strettamente scientifica ma accessibile a tutti e con contenuti originali, contraddistinti da uno spirito critico e dalla ricerca continua di un dibattito con i lettori.

Sarà nostra cura ottenere testi che possano essere letti da persone che abbiano una normale cultura scolastica e tuttavia non abbiano familiarità con linguaggi formali; ma sarà anche nostra cura accettare testi in cui il rigore minimo necessario perché la lettura procuri conoscenze e non solo vaghe suggestioni […] sia rispettato.

[…] Sapere non sarà una rivista d’evasione ma di cultura in senso stretto. È di questo che ci assumiamo l’impegno e la responsabilità [Bernardini, 1983, p. 5].

Carlo Bernardini. Un intellettuale eclettico e un libero pensatore

Chi è stato Carlo Bernardini? Senza pretesa di esaustività e consci di correre il rischio di incasellarlo in spazi ben più angusti di quelli da lui sperimentati, si vogliono qui illustrare le sue molteplici attività.

Nasce a Lecce il 21 aprile 1930 e cresce come figlio unico durante il fascismo in una famiglia culturalmente stimolante, con un padre notaio anticlericale, antifascista e antimilitarista:

I corruttori erano, per mio padre, i preti, i fascisti, i militari. […] cadere nella trappola di quelle tre categorie era la peggiore degradazione in cui potessi finire [Bernardini, 2006, p. 11].

Carlo ha la possibilità di leggere moltissimo, affascinato dalle enciclopedie e dalle biografie che gli donano il piacere della scoperta. La lettura è una passione che non verrà mai meno: «Ero una spugna, mi attaccavo a quei libri e studiavo come un pazzo» [Bonolis, Melchionni, 2003, p. 12].

Un giorno compra un libro, La fisica di Carlson, vero spartiacque nei suoi interessi. «Ed ecco che il mio buon papà, notaio, mi dà i soldi per comprare il libro a cui devo ogni successiva curiosità: è sempre lì, nello scaffale dietro la mia testa, reliquia più importante di ‘una piuma dell’agnolo Gabriello’» [Bernardini, 2006, p. 22]. Ne pubblicherà un estratto su Sapere dell’ottobre 1984.

Bernardini si trasferisce a Roma a diciassette anni, scegliendo la facoltà di fisica alla Sapienza, attratto dalle lezioni di Gilberto Bernardini. Il successivo incontro con Enrico Persico e Bruno Touschek ne cambia la vita e ne indirizza l’attività futura. Bernardini, dopo la loro scomparsa, ne parlerà con affetto, rispetto e una malinconia a tratti straziante.

Persico lo introduce all’epistemologia e alla rivista Scientia, gli fa pubblicare i primi lavori e lo presenta a Giorgio Salvini, che guidava le attività legate alla progettazione e futura costruzione dell’elettrosincrotrone a Frascati. Bernardini vede Persico come un padre, e scrive: «fu lui che, tra lo stile delle sue lezioni e le conversazioni private, mi mise addosso una speciale forma di sensibilità, accompagnata a una certa eccitazione mentale, per le idee brillanti e folgoranti, per elementari che fossero» [Bernardini, 2006, p. 50].

Il Nostro entra nel gruppo che costruisce l’elettrosincrotrone e vive gli anni meravigliosi di AdA, il primo anello di collisione per elettroni e positroni proposto da Bruno Touschek nel 1960. A Frascati si costruisce anche Adone, estensione di AdA, che apre l’era dei grandi collisori materia-antimateria, ma che per un soffio manca la scoperta della risonanza stretta J/Ψ, trovata invece a Stanford otto anni dopo (e, in maniera indipendente, a Brookhaven).

L’amarezza per la mancata rivelazione della particella è immensa:

Mai la sfortuna fu smaccata come nel nostro caso: Adone arrivava a 3000 MeV. La risonanza J/Ψ stava a 3100! Ovviamente, non lo sapevamo. […] Così la particella J/Ψ la trovò Burton Richter a Stanford, con la macchina Spear, un po’ più grossa di Adone, nel 1974 […]. Moralmente, ci sentivamo quelli che avevano scommesso per primi sugli anelli elettrone-positrone, ma la ricevitoria aveva perso la ricevuta [Bernardini, 2006, p. 76].

Bernardini ha fatto della sua vita un impegno civile su diversi fronti, dal disarmo alle battaglie per l’utilizzo del nucleare civile, dalla divulgazione scientifica alla difesa della laicità del sapere, dalla salvaguardia della scuola all’importanza della storia della scienza, della didattica e del linguaggio, per creare una popolazione consapevole e una vera società democratica. Ha sempre proposto uno sviluppo tecnologico e una politica della ricerca che potessero rendere l’Italia un Paese migliore dal punto di vista culturale, civile ed anche economico, veramente al passo con le nazioni più ricche e sviluppate. Negli anni Sessanta del Ventesimo secolo, le azioni di Enrico Mattei, Edoardo Amaldi, Adriano Olivetti, Luigi Broglio, Felice Ippolito, Giulio Natta, se solo fossero state supportate adeguatamente, avrebbero potuto creare un Paese libero dalle sudditanze createsi alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con delle industrie nazionalizzate, moderne e al servizio della nazione e con una vera indipendenza energetica. L’esempio della rinuncia al nucleare civile come fonte energetica è forse l’esempio più eclatante dell’occasione persa. Un possibile spartiacque per il futuro dell’Italia, una sliding door che ha invece portato a una servitù politico-economica. Il giornalista scientifico Pietro Greco, una delle grandi firme che ha collaborato ai numeri di Sapere, ha realizzato nel 2015 una splendida intervista a Bernardini, in cui i due investigano le motivazioni alla base della cosiddetta ‘questione scientifica’, che ha reso l’Italia un Paese caratterizzato da uno ‘sviluppo senza ricerca’, un caso unico tra i paesi di prima industrializzazione. Si è favorito l’uso di tecnologie con poco o nessun valore di conoscenza aggiunto, appoggiandosi al basso costo del lavoro e alla svalutazione della Lira, in uno scenario internazionale che invece prospera con i beni e i servizi ad alto tasso di conoscenza. Una delle cause, secondo Greco e Bernardini, risiede nell’incapacità della borghesia di interpretare la modernità. Le parole di Bernardini sono indicative:

La borghesia italiana […] ha concepito i ‘valori’ come beni patrimoniali a carattere fortemente ereditario e non come ‘prodotti’ di una cultura operativa: si è comportata cioè come un’aristocrazia […]. Difficile pensare che una siffatta comunità potesse vivere l’innovazione come evoluzione culturale vantaggiosa. […] un proprietario che si trasforma in funzionario conserva l’idea di essere autorizzato a operare per i propri interessi [Greco, 2015, p. 62].

Greco e Bernardini rendono manifeste le cause del fallimento del nucleare civile e delle fonti energetiche che avrebbero reso l’Italia un paese indipendente. Bernardini, sottolineando il lavoro enorme compiuto da Edoardo Amaldi nel far ripartire il Paese, che porterà, tra l’altro, alla nascita dell’INFN e del CERN, narra come si arriva allo scandalo che investe Felice Ippolito, che di fatto spegne la ricerca per il nucleare civile in Italia, creando la futura dipendenza dai combustibili fossili e da chi li produce e commercializza:

Ippolito aveva in mente […] una via italiana all’energia nucleare […] del tutto indipendente dal know-how di altri paesi. Fu accusato di aver utilizzato a fini privati beni dell’ente pubblico che dirigeva. Fu condannato a undici anni di carcere. A molti, in Italia e all’estero, l’accusa apparve infondata e la condanna del tutto spropositata [Greco, 2015, nota 2, p. 65-66].

[…] essendo Ippolito un fautore autorevole della nazionalizzazione della produzione di energia elettrica i politici non sarebbero stati con le mani in mano: e così avvenne con un devastante intervento pubblico di Saragat [Greco, 2015, p. 67].

Il dibattimento venne sobillato dai produttori di energia elettrica, gestori privati che temevano la nazionalizzazione suggerita da Ippolito e altri [Greco, 2015, p. 65].

[Saragat] era governato dai suoi amici americani che intendevano mantenere il controllo privato del settore, visto che all’epoca l’Italia era quotata come il terzo produttore mondiale di energia nucleare [Greco, 2015, p. 67].

Per il fisico salentino, il declino dell’Italia è legato anche a una cultura antiscientifica, cominciata con le «incaute battutacce pseudofilosofiche di Benedetto Croce e di molti suoi epigoni» [Bernardini, 2006, p. 106].

e continuata con i cosiddetti «crociani di ricasco [e la loro invenzione di] particolari concezioni salvifiche» [Greco, 2015, p. 73].

Bernardini ha analizzato anche il controverso rapporto della sinistra con la scienza e l’innovazione, mostrando come i cambiamenti legati alla Guerra Fredda e ai moti studenteschi abbiano spinto la sinistra a frammentarsi e a perdere la specificità che l’aveva contraddistinta nel passato, quando alle Frattocchie si discuteva per cercare un piano energetico convincente per il Paese e aperto a ogni soluzione:

Per un breve intervallo il PCI ha avuto un buon rapporto con la scienza e l’innovazione. Ma poi, più o meno rapidamente, un antiscientismo diffuso attecchì durante i moti studenteschi; era fin troppo facile giocare su scienza e bomba atomica (industria militare) e sui fisici ricadevano responsabilità considerate evidenti [Greco, 2015, p. 69].

Negli anni tra il 1976 e il 1980 cura una sua rubrica, Il taccuino, sul settimanale del Partito Comunista Rinascita, raccogliendone in seguito i contributi in un volume (L’offerta di Mefistofele. Scienza, scuola e politica) pubblicato con le Edizioni Dedalo nel 1980. Sua intenzione è scrivere per creare una mentalità legata alla cultura tecnico-scientifica contemporanea, ampliando tale approccio a settori non strettamente scientifici o scolastici. In tale occasione spende delle parole di apprezzamento per l’azione del PCI verso la scienza:

L’attenzione rivolta dal partito comunista alle carenze nel settore tecnico-scientifico mi pare però che non abbia uguali: questa apertura merita, a mio avviso, la più profonda approvazione. Alla scienza il Pci riconosce completa autonomia ma, e qui sta il punto, chiede di non essere assente dal terreno dell’impegno sociale [Bernardini, 1980, p. 12].

Tuttavia prevalgono le occasioni in cui la sinistra prende derive inaspettate e ben diverse dalle speranze del fisico leccese, provocando in lui una grande delusione e amarezza. Come ha ricordato nel 2018 Umberto Minopoli, presidente dell’AIN (Associazione italiana nucleare):

Ho vissuto con lui la sua ultima battaglia: quella della difesa, nel referendum del 2011, dell’energia nucleare. Ricordo l’amarezza di Carlo e la sorpresa, lui uomo di antica militanza, per le posizioni antinucleari del Pd: un vero sconcerto e disappunto per lui. Carlo considerava, a ragione, l’atteggiamento sul nucleare [della sinistra] la manifestazione di quello che lui, pedagogista illuminista e progressista, aveva combattuto tutta la vita: l’oscurantismo, il cedimento della ragione alla notte dell’irrazionalità e del pessimismo. Come era deluso il povero Carlo per quello che la sua sinistra era diventata: sul nucleare, sulle irragionevoli posizioni sull’ambiente, l’industria, la scienza [Minopoli, 2018].

A partire dagli anni Settanta, Bernardini amplia le sue attività oltre la mera ricerca fisica e intraprende diverse esperienze che arricchiscono la sua persona e gli permettono di portare un contributo importante in diversi settori della società. Uno spartiacque in questa nuova fase della sua vita è rappresentato dalla sua amicizia con Lucio Lombardo Radice, con cui nel 1972 comincia a collaborare per Riforma della Scuola, la rivista degli Editori Riuniti. Da questa amicizia profonda inizia la partecipazione politica di Bernardini e il suo legame con le problematiche inerenti il mondo della scuola: «Le idee della sinistra incominciarono a crescere nella mia coscienza. […] Lucio era uno studioso della dissidenza e mi aiutò molto a capire. […] Mi resi conto che non esistevano solo i fisici al mondo» [Bernardini, 2006, p. 78].Dall’esperienza in Riforma della Scuola deriva una sua collaborazione con gli stessi Editori Riuniti, che porta a pubblicare materiale dal valore assoluto e con prezzi contenuti, come il trattato completo di Landau e Lifšits o quello di Smirnov. Per Bernardini, i sovietici erano insuperabili per la didattica universitaria.

Un altro profondo e fraterno sodalizio si viene a creare con Tullio De Mauro, con cui Bernardini condivide parecchie iniziative: «Tullio De Mauro, un amico assai congeniale che mi insegna sempre qualcosa di nuovo» [Bernardini, 2006, p. 115]. Nel 1976, per gli Editori Riuniti, i due danno vita alla collana dei Libri di Base, che riscuote un enorme successo. Tullio De Mauro propone di scrivere libri utilizzando le seimila parole di un vocabolario di base, iniziando con una guida della lingua italiana. Bernardini si occupa invece della linea scientifica. La sintonia tra i due crea dei ponti per il tema delle ‘due culture’, umanistica e scientifica, generalmente tenute separate. Attratto da sempre dai linguaggi scientifici e simbolici, da rendere fruibili ai più al fine di estendere la conoscenza scientifica nella società, Bernardini, con grande ironia e profondo dibattito pubblica insieme a De Mauro, Contare e raccontare, un libro di cui è sempre andato fiero, strutturato come uno scambio epistolare su alcuni problemi delle scienze e dei linguaggi contemporanei.

Nel 1974 è direttore dell’INFN e nel 1975 è eletto con grande consenso alla presidenza della facoltà di scienze della Sapienza. Sono anni burrascosi, i movimenti studenteschi fanno irruzione, compiono aggressioni e creano situazioni pesanti:

Ebbi ripetuti scontri con il collettivo amorosamente concimato da Marcello Cini, che ne fece laureare il leader, un ceffo di nome Massimo Pieri, con il massimo dei voti [Bernardini, 2006, p. 82].

Con i movimenti, Bernardini aveva avuto un rapporto difficile già negli anni ’70, quando la critica ai saperi scientifici e alle loro ricadute sociali, animata da Marcello Cini e dal suo gruppo di marxisti eterodossi, arrivò sin dentro i laboratori di Fisica. Per Bernardini, quella protesta sfociava nell’antiscientismo, nonostante provenisse da fisici di ottimo livello [Capocci, 2018].

Nel 1976 a Bernardini è offerto di candidarsi al Senato della Repubblica come indipendente di sinistra. Accetta per portare un contributo alle riforme scolastiche e universitarie. Viene eletto nella VII Legislatura (1976-1979), rifiutando però il gruppo della sinistra indipendente e confluendo nel PCI, sempre come indipendente. Le conoscenze sviluppate anche in ambito parlamentare lo dirigono a una visione ancor più allargata e consapevole dei problemi esterni alla fisica:

Incominciai a conoscere gente di una dimensione diversa: Ferruccio Parri, Giovanni Spadolini, Edoardo Perna, Arrigo Boldrini, Enzo Modica, Luigi Anderlini, Franco Calamandrei […]. Mi investì un flusso alluvionale di persone nuove, con molte delle quali stabilii un buon rapporto. Persino con i ministri, prima Franco Maria Malfatti e poi Franca Falcucci; dei quali dicevamo peste e corna ma di cui rimpiangiamo la competenza a fronte delle arroganti improvvisatrici che ci troviamo oggi nel codazzo berlusconiano.

Abituato com’ero a incontrare persone molto affini, in area protetta dai comuni interessi e dal comune linguaggio, mi trovai a discutere con persone rette da logiche e ideologie anche lontane dalle mie, ma che avevano provato a motivarle con i ‘diversi’; e io lo ero. Scoprii che l’etica naturale è soprattutto un punto d’incontro, sebbene possa avere radici e motivazioni impreviste [Bernardini, 2006, p. 84-85].

Entra nella Settima commissione (Cultura, università e ricerca), contribuendo alla miniriforma della scuola media inferiore, «con forti elementi innovativi specie per quanto riguarda l’insegnamento delle scienze» [Bernardini, 1980, p. 13].

Per la scuola secondaria superiore, la Commissione esprime un disegno di legge che si ferma all’approvazione della Camera dei deputati in cui però vi sono già «conquiste che difficilmente verranno rimesse in discussione: di nuovo, si tratta di un ruolo non marginale per gli insegnamenti scientifici» [Bernardini, 1980, p. 13]. Purtroppo, per quanto riguarda l’Università, la Legislatura non riesce a produrre una riforma: «Devo constatare con amarezza che l’accademia non è disposta a rinunciare ad alcuni privilegi di fondo nemmeno in vista di più evidente utilità sociale» [Bernardini, 1980, p. 14].

L’attività continua di divulgazione lo porta negli anni (insieme a diversi studiosi e alla moglie Silvia Tamburini, conosciuta negli anni di studio alla Sapienza e con cui condivide la laurea in fisica), a scrivere testi liceali e testi universitari in Istituzioni di fisica nucleare, relatività speciale e metodi matematici per la fisica.

All’inizio degli anni Ottanta, con alcuni intellettuali del cinema legati al PCI (Gillo Pontecorvo, Ugo Gregoretti, Citto Maselli), condivide un progetto per salvare un patrimonio di documentari pari a più di duemila ore di proiezione, realizzando una memoria fondamentale delle lotte degli anni Settanta, l’Archivio storico audiovisivo del movimento operaio, che sarà puntualmente menzionato nelle pagine di Sapere.

In un periodo storico dominato dalla Guerra Fredda tra USA e URSS, un’altra sua grande battaglia civile è quella contro la proliferazione e la corsa agli armamenti convenzionali e nucleari. Nel 1983, con Edoardo Amaldi, Francesco Calogero e Carlo Schaerf, Bernardini ha avuto un ruolo centrale nella nascita dell’USPID, l’Unione scienziati per il disarmo (sull’esempio della Union of Concerned Scientists) e del Convegno internazionale che si svolge ogni due anni a Castiglioncello sui temi del disarmo e del controllo degli armamenti. Bernardini sottolinea la necessità di rendere indipendente l’USPID da qualsiasi possibile strumentalizzazione, per non comprometterne la credibilità. Come ricorda Francesco Calogero: «[…] chiunque partecipava a tale nuova istituzione era poi del tutto libero di fare le proprie battaglie pro o contro specifiche scelte politiche, però in altra sede, rinunciando cioè a strumentalizzare l’USPID come mezzo di una battaglia politica o, peggio ancora, di un’azione propagandistica a favore di una parte politica» [Calogero et al., 2020, p. 35].

L’avvento di Michail Gorbaciov nel 1985 cambia il paradigma della Storia con parole come Perestrojka, Glasnost, e Uskorenie, poi diventate azioni concrete. Il Segretario generale del PCUS, con un approccio alla sicurezza nazionale scevro dalla corsa agli armamenti, con la sua decisione di restituire la libertà ad Andrei Sacharov (chiesta tra gli altri da Edoardo Amaldi), e unitamente all’azione riconosciuta dell’USPID, che co-organizza il Forum di Mosca del 1987, conduce alla stipula, ratificazione, implementazione e verifica del Trattato INF (Intermediate Nuclear Forces) per lo smantellamento delle armi nucleari schierate in Europa (gli Euromissili e gli SS20).

Un altro interesse del fisico leccese è senza dubbio l’attività didattica, una delle più soddisfacenti per lui, tale da essere paragonata a un’arte per la capacità di far riflettere e per la possibilità di trasmettere ai giovani la curiosità e il piacere della scoperta. Sempre grazie a Tullio De Mauro, che nel 1981 avvia una formazione delle maestre delle scuole dell’infanzia comunali di Scandicci (FI) per studiare l’insorgenza del linguaggio nella fascia 3-6 anni, Bernardini sviluppa un progetto che si rivela per lui molto soddisfacente, grazie alle incredibili capacità di pensiero astratto mostrate dai bambini. Il fisico salentino utilizza un approccio tipico della ricerca, più che della scuola canonica, cercando di far fare una cosa con il fine di comprenderla.Verso la fine degli anni Novanta, Bernardini si dedica alla storia della fisica, tenendo ben presente che: «le conoscenze in fisica, anche le più attuali, non vengono su dal nulla. Sono frutto di un percorso, storico appunto. E che lo studio della storia ha due obiettivi principali: ricostruire il percorso delle idee e ricostruire la vita degli uomini che hanno ‘fatto’ la fisica» [Greco, 2018].

Egli partecipa all’organizzazione dell’Archivio Amaldi e organizza le manifestazioni per il centenario della nascita di Enrico Fermi nel 2001, supporta l’iniziativa di una scuola annuale di storia promossa dall’Associazione per l’insegnamento della fisica (AIF) e cerca, purtroppo invano, di creare un Istituto nazionale di storia delle scienze, «le cui aspettative di finanziamento svaniscono con il ministero Moratti» [Bonolis, 2018, p.8].

Nel 1992, diventa Presidente della SIPS (Società italiana per il progresso delle scienze), nata nel 1839 e portata in auge da Vito Volterra. Bernardini ‘eredita’ così anche la vicepresidenza della Domus Galileiana. Vedendo la ricchezza dei documenti presenti (di Majorana, Amaldi, Fermi, Polvani, Gentile ecc.) immagina che

si sarebbe potuto partire da lì per riattivare la storia della fisica che languiva nella palude accademica. [Ma] presi coscienza dello sfascio in cui vivevano gli storici delle scienze: ognun per sé e Dio per tutti, ma Dio non esisteva. Fu un fallimento, indipendentemente dal fatto che un nuovo governo incombeva minaccioso, pronto a strozzare ogni ricerca non foriera di profitti immediati. […] La Domus è il mio cruccio di oggi: sembra impossibile farne un vero centro di cultura [Bernardini, 2006, p. 109].

Da protagonista in prima persona della fisica negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, Bernardini ha voluto lavorare a una storia dello sviluppo della strumentazione delle alte energie in Italia. Egli temeva che il giusto riconoscimento da assegnare alla ricerca italiana svanisse. E ne aveva ben donde, essendoci numerosi esempi in cui storici statunitensi bypassavano i contributi italiani alla ricerca degli anelli di accumulazione valorizzando solo la ricerca ‘made in USA’. In una bella intervista con Mario Menichella, afferma che:

Gli americani si stanno attribuendo tutto: negli Stati Uniti esistono libri di storia basati su fonti americane che ignorano completamente il ruolo degli scienziati italiani. Per esempio, lo storico Helge Kragh, con cui ho avuto una polemica per corrispondenza […] ha affermato che gli anelli di accumulazione sono stati inventati dai francesi! Kragh non conosceva la figura di Bruno Touschek, il quale […] rivoluzionò la strategia delle macchine acceleratrici […]. Insomma, ha eliminato del tutto il contributo italiano; e, una volta fattegli notare queste sue omissioni, si è giustificato dicendo: «Io ho usato fonti americane». […] perciò ho deciso di dedicare gli ultimi anni della mia vita a tali questioni [Menichella, 2005, p. 31-32].

Nel 2002, insieme a Rino Falcone, Giulio Peruzzi, Francesco Lenci e altri, realizza e sviluppa l’Osservatorio sulla ricerca (OsR) che si propone una rigorosa contestazione alla riforma Moratti, adducendo proposte meditate. Bernardini tenta così di «dimostrare che la ricerca di base e la produzione di nuove conoscenze è la base di qualunque crescita culturale e tecnologica» [Lenci, 2018]. L’Osservatorio «svolse per vari anni, con innegabile successo, un’azione di stimolo della comunità scientifica a riflettere e fare proposte alla classe dirigente per salvaguardare e migliorare le istituzioni di ricerca e formazione nel nostro Paese» [Peruzzi, 2018].

A più di settant’anni di età e dopo aver vissuto in prima persona la storia tra gli anni Cinquanta e Novanta del Ventesimo secolo, Bernardini ha anche dovuto convivere con le derive berlusconiane e i contrasti con il Ministro Moratti:

il caso che più mi affligge è quello, algido e metallico, della signora ministra Letizia Brichetto in Moratti. Confesso, ne ho paura. Arrivare alla fine della mia vita con una siffatta figura a capo delle mie terre di pascolo mi sembra un brutto scherzo del destino. […] ha il potere e se lo gode a modo suo, offendendo il maggior numero possibile d’intellettuali. […] quei pochi opportunisti senza vergogna che la corteggiano, rappresentano la più grave offesa alla categoria […]: come diceva Augusto Frassineti, i ricchi che mortificano volgarmente i dotti sono ributtanti, ma non quanto i dotti leccaculo dei ricchi. Purtroppo la ‘mentalità aziendale’ che ispira gli atti di gente come Moratti […] è intrinsecamente inconciliabile con la ‘mentalità intellettuale’ che abbiamo faticosamente maturato nei secoli [Bernardini, 2006, p. 111-112].

Nella sua battaglia per il sapere scientifico si è opposto all’invito rivolto da parte della Sapienza al Papa Benedetto XVI affinché partecipasse all’inaugurazione dell’anno accademico con una lectio magistralis. Insieme ad altri sessantasei colleghi, Bernardini ha protestato per l’invadenza della Chiesa sulla società e la scienza con una lettera su il Manifesto, riuscendo a far annullare l’evento.

I miei colleghi e io non potevamo accettare che il capo di quella potenza straniera – e uso deliberatamente ‘potenza’ anziché ‘paese’ – fosse venuto qui a fare un discorso. In questa università insegniamo ai nostri studenti che devono imparare a ragionare attraverso i processi induttivi, a dubitare di quello che imparano attraverso le loro interpretazioni personali e a rigettare i pregiudizi, che purtroppo nella tradizione cattolica dilagano. Sono fermamente convinto che sia impossibile conciliare il pensiero dogmatico della Chiesa cattolica con la fenomenologia alla base della ricerca scientifica [Maurizi, 2008a].

D’altro canto, sin dagli anni di scuola, il Nostro era stato colpito «dalla divertente liberalità culturale del paganesimo, che contrastava con la severa intransigenza delle religioni monoteiste» [Bernardini, 2006, p. 20].

Forse, la migliore conclusione su Carlo Bernardini è nelle bellissime parole della figlia Cecilia che esprimono chi fosse il padre, la sua ironia, il suo entusiasmo e la sua speranza nell’umanità:

Papà scrisse un racconto dal titolo Quando capimmo che il nonno non era rimbambito. Nel racconto si finge un nipote quattordicenne che descrive le dinamiche familiari. A un certo punto il nonno interviene a sedare una discussione tra i mesoni (così venivano chiamati i genitori, quelli di mezzo) e i nipoti in merito all’uso delle parolacce. Dice il nonno che le parolacce che i mesoni proibiscono per legge – culo, merda, stronzo – sono cose naturali, appartengono al nostro corpo o alla natura, mentre le vere parolacce, che non bisognerebbe mai pronunciare sono parole come guerra o truffa, quelle sì molto brutte e dannose [Bernardini, 2020, p. 122].

Le specificità della rivista Sapere di Carlo Bernardini e della sua giovane redazione romana

Il Sapere di Bernardini (che contribuisce in prima persona con 158 tra editoriali e articoli nei suoi trent’anni da direttore) si presenta con un comitato scientifico di altissimo profilo che comprende, tra gli altri, Alessandro Braccesi, Tullio De Mauro, Adriano Gozzini, Felice Ippolito, Rita Levi Montalcini, Danilo Mainardi, Giorgio Parisi, Paolo Rossi e Giorgio Tecce.

La rivista si avvale di contributi di giornalisti scientifici, scienziati e studiosi di grande prospetto, come, ad esempio, i Nobel Arno Penzias, Richard Feynman, Daniel Bovet e Józef Rotblat. E poi, Tullio De Mauro, Guido Pizzella, Giuliano Toraldo Di Francia, Jean-Marc Lévy-Leblond, Stephen Jay Gould, Richard Dawkins, Mario Ageno, Stefano Rodotà, Luciano Violante, Piergiorgio Odifreddi, Franco Foresta Martin, Giovanni Vittorio Pallottino, Pietro Greco e tanti altri.

Sfogliando un qualsiasi numero di Sapere risalta subito un alto livello scientifico degli articoli, rigorosi ma accessibili a tutti, oltre a una scelta originale dei temi proposti e una continua ricerca di dialogo costruttivo, senza compromessi di sorta o captatio benevolentiae. Il tutto arricchito dagli editoriali appassionati, ironici e sempre legati a doppio filo all’attualità da parte di Carlo Bernardini, che non ha mai perso occasione per creare ponti tra le ‘due culture’, richiamare le istituzioni (politiche e religiose) al dovere collettivo per il bene delle persone e all’uso della ragione contro i diversi oscurantismi. Nel lungo periodo Sapere si è rivelata lo specchio di una società in continua trasformazione e la portavoce di argomenti ancora oggi al centro del dibattito, sempre in sinergia con il quadro storico e politico-sociale che circonda la rivista.

Il periodo 1983-2013 è denso di cambiamenti storici e sociopolitici. Negli anni Ottanta si assiste a una serie di cambiamenti epocali a livello politico e sociale. Dopo un’iniziale recrudescenza, la Guerra Fredda si avvia a una distensione e normalizzazione dei rapporti tra USA e URSS, che saranno nuovamente stravolti dalla caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 e dalla successiva dissoluzione dell’impero sovietico nel 1991. L’Europa occidentale negli Eighties continua l’integrazione economica e politica che porterà agli accordi di Schengen e al trattato di Maastricht del 1992. Si tratterà, però, soprattutto di un’unione monetaria. Nel corso dei decenni successivi le merci circoleranno in realtà più liberamente delle persone.

Si avvia un’aggressiva e globale trasformazione neoliberista unitamente a un’economia di mercato che trionfa, tra l’altro, per la fine dell’alternativa socialista del blocco sovietico e per l’azione congiunta di Margaret Thatcher in Inghilterra e di Ronald Reagan negli USA. Gli anni Ottanta «si affermano come un rigurgito di periodi cupi fortemente politicizzati con stili di vita improntati al consumismo, all’esteriorità e allo svago. È il decennio della tecnologia, dell’esagerazione e del narcisismo» [Anni ’80], i giovani crescono in società con un maggior benessere (anche a prezzo di politiche di forte austerity a danno del welfare) e maggiori consumi. Mentre gli anni Settanta erano stati caratterizzati da impegno e forte autocritica, da lotte e rivendicazioni politico-sindacali, nel decennio successivo si vive un riflusso, un ritorno al privato, un distacco tra società civile e impegno politico, un allontanamento progressivo tra cittadini e partiti, che non aggregano più consensi. Si ha voglia di una vita tranquilla dopo anni di strade e quotidianità a rischio, le proposte eversive scemano in modo drastico. Inoltre, «nel disperato narcisismo di una generazione orfana di valori, l’esteriorità diventa l’obiettivo assoluto […] e l’uniformarsi alla bellezza stereotipata lo scudo protettivo, uno status symbol consumistico ed effimero» [Anni ’80].

È, però, un decennio di enormi crisi ambientali, preludio alla situazione critica dei nostri giorni, come il naufragio della Exxon Valdez e lo sversamento di cinquanta milioni di litri di petrolio in Alaska. Si verificano avvenimenti talmente devastanti da essere ormai noti solo con il nome dei luoghi dove sono accaduti: Bhopal 1982, Chernobyl 1986.

Anche gli anni Novanta contengono eventi che modificano gli assetti del pianeta. Un decennio di guerre vicinissime alle nostre vite (Kuwait 1990, ex Jugoslavia 1991-1995 e Kosovo 1999) e genocidi (Ruanda 1994, Srebrenica 1995), che cominciano a essere seguite globalmente, in un anticipo della spettacolarizzazione dei giorni nostri. Il predominio USA dopo il crollo sovietico, e il suo comportamento da gendarme del mondo, acuisce i cosiddetti ‘scontri di civiltà’ che raggiungeranno il climax con gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono dell’11 settembre 2001 e con il caos politico e militare delle guerre successive (Afghanistan 2001, Iraq 2003). Gli USA si dimostrano incapaci di strategie diverse dalle guerre e dalle aggressioni in nome dell’esportazione della ‘democrazia’, creando situazioni sempre più esplosive, con la creazione di stati di natura confessionale in luogo di dittature laiche.

Il mondo diventa globalizzato, generando un’illusione di unità planetaria, grottesca chimera che invece prelude a una stretta interdipendenza tra le economie e una bolla eccessiva negli scambi finanziari, con la crescita esponenziale delle disuguaglianze nel pianeta e a discapito della sovranità degli stessi Stati. Le reazioni, che fanno nascere diversi movimenti di protesta, i cosiddetti ‘no-global’, saranno stroncate con le efferate violenze delle forze dell’ordine durante le proteste al G8 di Genova nel luglio 2001.

E in Italia? Cambia tutto. Crolla la Prima Repubblica, travolta dagli scandali di Tangentopoli. La cosiddetta Seconda Repubblica, che le succede, risulta forse ancora peggiore. Cambia il sistema politico, passando dal proporzionale al maggioritario in senso bipolaristico e arriva al governo Silvio Berlusconi, insieme ai suoi alleati leghisti e neofascisti, ora liberaldemocratici di destra.

Viene attuata una politica di riduzione della spesa sociale, di privatizzazione delle imprese pubbliche e del patrimonio pubblico, di flessibilizzazione del lavoro e limitazione del potere sindacale, di riduzione delle tasse ai redditi più elevati e di carico fiscale sul reddito da lavoro dipendente. Si crea, di fatto, una generazione senza futuro stabile, priva dei valori collettivi degli anni Settanta e senza i rifugi più o meno effimeri degli anni Ottanta.

Nel vuoto politico tra le due Repubbliche, le mafie prosperano. Sono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il pool antimafia è disinnescato e nel 1993 si hanno una serie di attentati di matrice mafiosa che riportano il Paese al terrore dei decenni precedenti, un vero attacco allo Stato alla ricerca di nuovi referenti politici e con precise richieste in cambio della fine della violenza.

Negli anni Duemila, aperti da Ground Zero e da un mondo paradossalmente molto più a rischio rispetto a quello in ‘equilibrio’ della Guerra Fredda, si hanno crisi finanziarie devastanti, come quella mondiale del 2008 (aperta dal disastro della Lehman Brothers) e catastrofi ambientali come lo tsunami in Indonesia nel 2004 e il terremoto di Fukushima 2011.

Gli eventi suddetti trovano sempre riscontro nelle pagine di Sapere, centrata in una visione della Scienza legata a doppio filo all’attualità e al momento storico e politico-sociale. Ad esempio, già nel numero di gennaio 1984 sembra improvvisamente abbandonato il linguaggio fortemente politicizzato delle gestioni precedenti della rivista e si parla espressamente di riflusso.

La struttura di un fascicolo di Sapere ha generalmente contemplato l’editoriale di Bernardini, le Lettere, le Notizie brevi; un Dossier, sezione monografica sui temi più attuali della ricerca e della politica della ricerca, realizzata con il contributo di noti esperti; una o più Cronache di Laboratorio, articoli dove i ricercatori raccontano in prima persona gli studi di cui si occupano; uno o più articoli di Terza Pagina, con riflessioni sulla storia, la filosofia e anche la politica della scienza; le Biografie, su grandi personaggi della scienza; recensioni delle novità editoriali e multimediali a cura della redazione; e infine i Monitor, brevi inchieste sul mondo della scienza condotte da giornalisti specializzati.

Negli anni si sono avvicendate numerose rubriche, come Scienza e didattica, L’intervista, Scienza e ambiente, Scienza e sviluppo, Scienza e comportamento, Il nostro esperto alla CEE, Il polso della medicina, Illustri sconosciuti, Inattualità scientifiche, Antologia, Audiovisivi, L’angolo del filosofo, Matematica e cultura, Contro-verso, Mappamondo, Visibilia, I retroscena e Lo scaffale di Margaret Cavendish. E rubriche che si interessano di restauro, beni culturali, archeologia, psicologia, alimentazione, informatica. Dal 1996 al 2013, la redazione a Roma collabora con l’Associazione culturale Galileo. Grazie a questa partnership, cresce l’attenzione nei confronti di temi emergenti, quali le nuove tecnologie della comunicazione, le biotecnologie, la medicina rigenerativa, la bioetica e le sfide della globalizzazione.

Bernardini ha sempre dedicato uno spazio ai problemi del disarmo, al ruolo delle nuove tecnologie nella produzione di armi e più in generale ai conflitti e alle loro possibili soluzioni non militari. In tal senso, va segnalata la rubrica Scienza e armamenti, vero punto fermo negli anni, curata da Francesco Calogero. A essa si aggiungono spesso le relazioni dell’USPID, l’Unione scienziati per il disarmo e i documenti emessi dal Pugwash, che spesso chiudono i numeri della rivista. Ci sono numerosi articoli a corredo di questo tema: una lista dei fornitori del dipartimento della Difesa degli USA, quasi a voler indirizzare un boicottaggio ante litteram; segnalazioni di fabbriche di armi italiane; malattie professionali e infortuni nell’industria bellica; continui aggiornamenti sulle possibilità di moratorie per armi nucleari, chimiche, batteriologiche e convenzionali; questionari sulla guerra per i lettori; guida ai libri sulle armi, sulle vittime delle guerre e dei dopoguerra. E poi appelli dell’American Physical Society sulla limitazione delle armi nucleari, del Bulletin of the Atomic Scientists sulla messa al bando delle armi spaziali ecc.

Il numero 869 di agosto-settembre 1984 è di certo un must. È il primo fascicolo completamente dedicato al disarmo, ai problemi delle armi e al loro controllo, e riporta il primo dei quattro speciali delle Lezioni sulle armi Nota n.13. Gli altri speciali sono pubblicati nei numeri di settembre 1985, agosto-settembre 1986 e agosto 1987. Le Lezioni vengono videoregistrate dall’Archivio storico audiovisivo del movimento operaio, che insieme a La Nuova Italia Editrice produce delle videocassette intitolate Scienza e Disarmo. Programmi educativi in videocassetta da far girare anche nelle scuole. Nel fascicolo di novembre 1986 c’è l’intero resoconto dell’incontro di alcuni scienziati con Mikhail Gorbaciov, mentre a febbraio e marzo 1993 un’esauriente analisi sulla tecnologia nucleare nei Paesi dell’Est Europa. E si potrebbe continuare fino all’ultimo numero del 2013.

Già dal secondo numero, a marzo 1983, entra in segreteria Daniela Minerva, che giocherà un ruolo importante nel futuro della rivista, diventandone anche vicedirettore. La squadra di giovani collaboratori che lei e Carlo Bernardini scelgono nel tempo è una peculiarità e un punto di forza di Sapere, che Bernardini valorizzerà e difenderà sempre:

[…] la nuova redazione di “Sapere” nacque dal vivaio che [Daniela Minerva] aveva costituito […]: guadagni irrisori, sì, ma ottime opportunità (per giovanissimi) di entrare come free lance in altre più lucrose imprese di testate prestigiose.

In qualche modo avevamo costituito una ‘scuola autogestita’ di giornalismo scientifico: come non esserne fiero? Effettivamente i giovani redattori/redattrici, prima fra tutte Marina Bidetti, hanno fatto un bel giornale; la concorrenza lo sa, li alletta, li adesca. Ma loro, a Sapere, si sentono più liberi di esprimersi [Bernardini, 2006, p. 104-105].

In Sapere del marzo 1984, nella rubrica Antologia compare, a cura di Daniela Minerva, un estratto del libro Woman in Science di H. J. Mozans, pubblicato nel 1913 e riproposto poi nel 1940 e nel 1974. È l’inizio Nota n.14 di un impegno continuato della rivista e della sua redazione sulle questioni di genere e sul ruolo della donna nella scienza Nota n.15. Ci saranno tanti articoli nelle rubriche Circuito chiuso, Notizie brevi, Monitor, Le signore della scienza, le Donne della fisica, Illustri sconosciuti, Donne e scienza ecc., che contribuiranno a sollevare dibattiti, porre l’attenzione sulla situazione italiana dei Women’s Studies e del gender gap, e a informare correttamente sulla situazione passata e presente delle donne nella scienza e nella ricerca, sempre con uno sguardo al futuro.

Nell’ottobre 1984 è presente un primo articolo della famosa antropologa Adrienne Zihlmann, ricordato dalla giornalista scientifica Letizia Gabaglio per i venticinque anni della direzione Bernardini:

Sarà che nella redazione di Sapere le donne non sono mai mancate, sarà che l’approccio critico alle cose della scienza è stato un tratto distintivo della direzione Bernardini […]. Se la questione della presenza femminile nella società e nella scienza in particolare ha occupato un buon numero di pagine della rivista lo si deve all’intelligenza di […] Daniela Minerva che invitò a scrivere per Sapere Adrienne Zihlmann, l’antropologa che per la prima volta ha dato un volto alle nostre antenate preistoriche, a lungo oscurate dal modello maschile su cui gli antropologi avevano ricostruito la storia evolutiva dell’essere umano. Sapere pubblicò due articoli di Zihlmann, nell’ottobre 1984 e nel dicembre 1989. Si apriva così, in maniera autorevole, lo spazio per la riflessione sull’impatto del femminile nella costruzione del pensiero scientifico.

[…] C’è poi un altro fronte della critica di genere alla scienza, quello della promozione delle pari opportunità nelle carriere scientifiche, che si sviluppa anche attraverso la rivalutazione di scienziate ‘sconosciute’ o neglette. Anche in questo caso Sapere non ha fatto mancare il suo apporto al dibattito [Gabaglio, 2008, p. 26].

Tra i diversi temi affrontati negli anni, gli studi di antropologia trovano il loro punto culminante nel numero di ottobre 1985 con raro e accurato reportage sugli indios Yanomami del Brasile corredato da molte fotografie dettagliate, mentre nel fascicolo di febbraio 1990 c’è un lungo e approfondito diario di Chernobyl a cura di Grigorii Medvedev, che all’epoca lavorava alla costruzione di centrali nucleari come vice direttore della direzione generale del ministero dell’energia (Minenergo) in Unione Sovietica. Nel 1992 e nel 1996 Sapere si fa anche promotore di convegni. Nel primo caso, con la newsletter Golem si tiene alla Sapienza “Macchine, organizzazione del lavoro, formazione”, per un uso delle tecnologie basate sul computer al fine dell’apprendimento e dell’innovazione organizzativa; nel secondo caso, insieme a Forum, Le Scienze e Technology Review presenta a Roma “Dispute sulla scienza”.

Si potrebbe continuare all’infinito a segnalare le specificità del Sapere di Carlo Bernardini: giochi matematici, articoli sulla scuola e la dignità degli insegnanti, laboratori di didattica, sullo stato della ricerca e dell’università, sull’epistemologia, sulla storia della scienza, sull’evoluzione, la biologia e le sue ‘sorelle’ interdisciplinari (biofisica, bioetica e biotecnologia), sull’ambiente e le sorgenti energetiche, sul futuro dell’Antartide, sulle tragedie dei nostri tempi, sull’immigrazione e le reazioni scomposte dei Paesi europei. E poi, numerosi articoli volti a dare una spiegazione scientifica al fine di zittire le orribili teorie sulla razza; articoli contro il colonialismo, contro qualsiasi armamento, articoli per una ‘Mani Pulite’ nella scienza all’avvento della Seconda Repubblica, per cercare di risollevare la martoriata ENEA, contro la privatizzazione di ENEL e ENI, contro la scarsità dei libri di scienza. E l’informazione tempestiva di tutte le grandi tematiche dei nostri tempi (Alzheimer, Aids, IA, neuroscienze, internet, alta velocità, migrazioni ecc). Non solo articoli ‘contro’ bensì informazione supportata da rigore scientifico, volta a creare cultura e consapevolezza nelle persone contro i luoghi comuni, il malgoverno del bene pubblico e delle potenziali risorse.

Gli editoriali di Bernardini, poi, sono testimoni dei diversi momenti storici, dal riflusso alla paura nucleare, dalla fiducia a Gorbaciov alle miserie dei governi berlusconiani e dei loro operati, dalla rassegnazione per la faciloneria con cui le persone privilegiano il paranormale rispetto alla scienza alle condizioni pietose della ricerca e della scuola italiana.

Oltre alla citata Letizia Gabaglio, un’altra testimonianza avalla l’importanza di Sapere nel periodo della direzione Bernardini ed è forse un ottimo viatico per la conclusione di questo paragrafo:

Questo Sapere diretto da Carlo Bernardini ha dentro di sé come un filo di ferro - meglio, una colonna vertebrale - che collega un fascicolo all’altro in un discorso continuo e coerente. Questa colonna vertebrale è costituita da temi e idee. Tra i temi forti trovi tutti quelli della ricerca di base e molti della scienza applicata, però filtrati in modo da cogliere sempre ciò che è realmente significativo e destinato a restare, senza concessioni alla moda, allo scoop, a interessi esterni. Trovi poi anche il tema dell’energia, la storia della scienza, il rapporto tra scienza e società.

Quanto alle idee, sono quelle fondamentali di un Illuminismo rivisitato in chiave moderna: il metodo scientifico inteso come ‘carta costituzionale’ della Ragione, la ricerca della pace e quindi la soluzione negoziata dei conflitti militari e sociali, la diffusione della conoscenza come il più potente vettore di democrazia, la lotta per ridurre le distanze tra ricchi e poveri, la costruzione di una scala di valori laici che superi la parzialità dei valori religiosi [Bianucci, 2008, p. 15].

Difficoltà e contrasti: l’arrivo del 2013 e della contestuale fine della direzione Bernardini

Bernardini si è confrontato con una serie di problemi logistici che nei primi anni Novanta hanno reso la sopravvivenza del suo Sapere appesa ad un filo. Le divergenze di vedute con l’editore, diventate nel tempo sempre più ampie, hanno poi causato la fine della sua avventura.

È stata rinvenuta presso la sede delle Edizioni Dedalo una corrispondenza tra Carlo Bernardini e Raimondo e Claudia Coga, nella quale è evidenziata un’onnipresente possibilità di chiudere Sapere. In una lettera di Raimondo Coga a Bernardini, datata 4 luglio 2002, si legge:

come sai la Dedalo ha fatto tanti tentativi di rilancio della rivista sia in edicola stampando decine di migliaia di copie che puntualmente tornavano in resa come un boomerang e sia con altrettanti tentativi di promozione verso potenziali lettori. Sai bene quali risultati abbiamo avuto […]. Per me la rivista avrebbe ancora un senso ma il ‘cuore d’oro’ della Dedalo per Sapere è ormai esaurito [Dedalo, 2002].

Nel 2012 ci sono le premesse della fine. Il 30 agosto, Claudia Coga spiega i motivi dell’impossibilità a proseguire:

Sapere così non può andare avanti, perché non ha lettori. La rivista è noiosa, ‘antica’, io stessa comincio a leggere degli articoli, incuriosita dai titoli, e poi sospendo, sono troppo lunghi, fitti. E poi tutte cose già vecchie. Lo scienziato non ci trova nulla di nuovo, e in Italia mancano i lettori medi che cercano degli approfondimenti su una rivista, tanto più bimestrale […]. Mio padre ovviamente ha un grande affetto per Sapere, e per questo è sempre voluto andare avanti nonostante le perdite. Ma ora si rende conto che la situazione è particolarmente grave [Dedalo, 2012a].

La risposta di Carlo Bernardini, del 3 settembre, contesta ogni critica mossa alla gestione della rivista da parte dell’editore, ponendo l’accento sull’approccio di Sapere, restio a seguire le mode del momento, in controtendenza rispetto ad analoghe pubblicazioni:

Cara Claudia,

ci aspettavamo una risposta come la tua, ma non così ‘colpevolizzante’: antiquati, noiosi, senza lettori.

Antiquati: […] nessuno o quasi si sta occupando di problemi della ricerca e della cultura come cerchiamo di fare noi su Sapere che, non a caso, è la più antica rivista italiana su cui scrivono, gratuitamente, scienziati italiani conosciuti in Italia e all’estero.

Noiosi: ho visto l’ultimo Focus in edicola; la copertina mostra una coppia nuda, noi non ci abbasseremmo a tanto. Le Scienze: […] promettono troppi Big Bang, buchi neri, universi paralleli, energia oscura, asteroidi incombenti, decifrazioni del cervello e via discorrendo che non vanno oltre parole incomprensibili in libertà, e aggiungono rubriche di allievi di don Verzè che noi evitiamo […]. E pagano ogni riga agli autori, il che fa un po’ di differenza.

Senza lettori: non si è mai visto che la direzione scientifica debba fare la promozione se non creando argomenti di interesse. […] ‘senza lettori’ per noi vuol dire che voi disponete solo di consulenti che seguono i cattivi costumi culturali contemporanei e vorrebbero il sesso e le bufale di cui rigurgita l’editoria periodica apparentemente intellettuale.

[…] prima o poi, se mi resta la forza per farlo, scriverò un opuscolo, ‘In memoria di una vecchia rivista di carta’. Spiegherò che siamo stati i soli a occuparci veramente di politica scientifica, di istruzione scientifica, di storia della scienza, di disarmo, di tecnologie e imprenditoria.

Intanto, sulle riviste che si vendono, impazzano il piezonucleare, la fusione fredda, la bioetica, la fine del mondo, la psicologia della coppia e tutti gli acchiappa-gonzi inventati dal crollo culturale del paese. Non possiamo accettare una promozione commerciale a queste condizioni [Dedalo, 2012b].

Le divergenze rimangono insanabili. Bernardini, nell’editoriale del suo ultimo numero, a dicembre 2013, chiarisce la fine della sua Direzione:

[…] siamo laici, non corrotti, fissati con la ricerca, razionalisti e intrinsecamente poveri. Perciò, forse tocca chiudere bottega. Chissà se altri si occuperanno di parlare di ricerca, di tecnologie, di disarmo, di scuola, di storia della scienza, di sviluppo e così via. […] Se questo è un addio, non può non essere amaro: è controcorrente perché non accetta che il ‘nuovo’ sia intrinsecamente meglio del ‘vecchio’ per ragioni di principio; specie quando non sembra esserci niente di cui pentirsi [Bernardini, 2013, p. 5].

Nel 2021, la stessa Claudia Coga, in un’intervista alla rivista PreText, rivendicherà la decisione di rinnovare e svecchiare la rivista, rivolgendosi a un pubblico giovane e alle scuole, dando un taglio netto con il passato.

Conclusioni

In questo studio si è voluto indagare il legame tra la figura del fisico Carlo Bernardini (Lecce 22/04/1930-Roma 21/06/2018) e la sua trentennale direzione (protrattasi negli anni 1983-2013) della rivista Sapere, ipotizzando come la prerogativa della sua figura e la sua presenza in prima persona nelle battaglie scientifiche, politiche e civili del suo tempo si siano riverberate sulle precise scelte editoriali fatte all’interno della rivista e sul livello divulgativo della stessa.

Alla luce delle fonti utilizzateil presente articolo ha documentato come la direzione di Bernardini abbia ricondotto Sapere ad un alto livello di divulgazione, con la presenza di contributi da parte di scienziati vincitori del premio Nobel, di giornalisti scientifici e studiosi molto conosciuti, che hanno creduto nel progetto e nella persona del fisico salentino al punto da contribuire gratuitamente ai numeri della rivista. Ha poi comprovato come i temi presenti nei numeri di Sapere siano stati legati a doppio filo alle convinzioni e all’impegno civile di Carlo Bernardini e come si siano rivelati in sintonia con le istanze legate ai complessi e mutevoli contesti storici e politico-sociali. Infine, ha evidenziato come Bernardini abbia contribuito alla divulgazione scientifica creando a Roma una vera e propria scuola di giornalismo scientifico, costituendo la redazione di Sapere con tanti giovani collaboratrici e collaboratori che ivi si sono formati e poi hanno lavorato presso giornali e riviste di ampio respiro.

Il contributo è un tassello facente parte di uno studio esaustivo ed analitico della rivista Sapere dalla sua creazione nel 1935 ai nostri giorni. Un giusto tributo alla prima e più longeva rivista di divulgazione scientifica in Italia.

Fonti manoscritte e archivistiche

Dedalo, 2002 = Documenti Casa Editrice Dedalo - Cortesia Coga all’autore, Lettera di Raimondo Coga a Carlo Bernardini, 4 luglio 2002.

Dedalo 2012a = Documenti Casa Editrice Dedalo - Cortesia Coga all’autore. Lettera di Claudia Coga a Carlo Bernardini, 30 Agosto 2012.

Dedalo 2012b = Documenti Casa Editrice Dedalo - Cortesia Coga all’autore. Lettera di Carlo Bernardini a Claudia Coga, 3 Settembre 2012.