N.1 2025 - Scientia | Giugno 2025

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Paolo Savoia. Superfici. Corpi, pratiche e modelli cognitivi nella chirurgia di età moderna

Martino Lorenzo Fagnani

Università degli Studi di Pavia martinolorenzo.fagnani@unipv.it

Roma, Officina Libraria, 2024, p. 216. ISBN: 9788833673097

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«Una delle caratteristiche che fanno sì che la storia della chirurgia sia ancora ai suoi inizi nonostante la sua importanza decisiva per la storia del corpo in occidente – non solo come pratica medica ma anche come forma culturale –, è proprio il fatto che il nome chirurgo fosse usato per definire tipologie di medici e artigiani del corpo molto diversi tra loro» (p. 18). Queste righe sono prese dall’introduzione con cui Paolo Savoia presenta il proprio volume Superfici e, a mio avviso, esprimono in maniera chiara sia l’obiettivo dell’opera sia la difficoltà posta dalla materia oggetto della ricerca.

Seguendo l’antica e duratura tradizione medica galenica, nella prima età moderna la chirurgia continuava a trattare disturbi e malattie visibili sulla superficie del corpo, causati da uno squilibrio interno degli umori oppure da un’interruzione della continuità della superficie stessa proveniente dall’esterno. Al contempo, la chirurgia comprendeva una serie di operazioni complessa e articolata, rappresentata da una gamma altrettanto vasta di individui. Dal punto di vista professionale, infatti, era difficile dare un profilo inappellabile al chirurgo, nonostante le differenti istituzioni dell’Europa moderna cercassero di mettere ordine e di regolamentare doveri e competenze, seppur con diverse formule. Il termine ‘chirurgo’ poteva indicare figure molto diverse tra loro: si andava dall’artigiano – che talvolta aveva competenze molto simili a quelle di un macellaio, se non addirittura di un cuoco o di un giardiniere – fino al medico con una laurea. In alcuni casi, inoltre, i chirurghi e i medici fisici seguivano lo stesso percorso universitario, e le due professionalità potevano anche convivere in un’unica persona.

Nel suo Superfici, Paolo Savoia esplora la complessità del sapere e della professione in maniera approfondita, originale e raffinata, rielaborando alcuni suoi saggi pubblicati sul tema, integrati per l’occasione con nuovo materiale e ulteriori prospettive di analisi. Per darci un’idea di come i professionisti delle superfici operassero e si muovessero nel tessuto sociale, innanzitutto l’autore utilizza sapientemente la microstoria. Studia infatti alcuni casi afferenti allo scenario bolognese, seppur non limitati a quello. Così facendo, consente al lettore e alla lettrice di calarsi in situazioni, vivere luoghi e seguire persone passo dopo passo nella loro quotidianità, riuscendo a trasmettere la visione che il chirurgo aveva del materiale organico sul quale lavorava e del corpo con il quale interagiva. Analizza così il modo con cui il sapere teorico veniva arricchito dall’esperienza ed era poi messo in pratica.

Da questo punto di vista, mi sento di citare come particolarmente efficace il caso considerato nel capitolo 1, dedicato agli studenti-assistenti, detti «astanti», dell’Ospedale di Santa Maria della Morte a Bologna. Come Paolo Savoia ricostruisce molto bene, si trattava di un microcosmo ben organizzato, in cui personale dotto – con una professione accademica – e personale empirico agivano gomito a gomito per garantire il corretto funzionamento dell’istituzione, per assicurare le cure adeguate ai pazienti, ma anche per valutare il profilo degli indigenti infermi ammessi all’ospedale. In tale articolata cornice, l’astante era un valido studente di medicina con limitati mezzi economici che poteva fare pratica per alcuni anni all’interno dell’ospedale e migliorare la propria capacità di osservare feriti e malati e fare diagnosi, seguendo il medico e il chirurgo nelle loro visite, facendo le loro veci in caso di assenza e regolando il personale infermieristico, oltre che supervisionando la preparazione dei farmaci e la somministrazione dei pasti. Non a caso, l’autore definisce l’astante «una figura ibrida all’interno dell’ecologia sociale dell’ospedale» (p. 54). La figura dell’astante intraprese comunque un percorso di specializzazione nel corso dell’età moderna, finché nel XVIII secolo raggiunse uno status molto simile a quello del medico fisico, con il quale scambiava pareri senza quasi toccare il corpo dei pazienti, mentre altre figure assumevano i compiti propri dello studente-assistente dei secoli precedenti.

Desidero inoltre sottolineare un’altra caratteristica di Superfici: la varietà di fonti documentarie analizzate dall’autore. In tale varietà rientra sicuramente la ricchezza di fonti archivistiche, come quelle dell’Archivio di Stato di Bologna e della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio adoperate proprio nel capitolo 1, affiancate nel capitolo 2 dal variegato patrimonio della Biblioteca universitaria di Bologna per analizzare la natura fluida della professione del chirurgo attraverso alcuni profili. Altra documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Bologna torna nel capitolo 5 con la disamina delle carte prodotte dal Protomedicato e dal Collegio dei medici della città nel XVI e nel XVII secolo, in fase di valutazione dei barbieri-chirurghi a cui concedere la licenza per praticare la loro professione.

Emerge anche un’interessante scelta di trattati e più in generale di opere a stampa di età moderna, come De la pirotechnia di Vannoccio Biringuccio, De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio, De re metallica di Georg Bauer, Le vinti giornate dell’agricoltura di Agostino Gallo. Nel capitolo 4, Paolo Savoia confronta alcuni passaggi assieme ad altri testi, evidenziando come il trattamento di corpi e superfici di natura differente – nel corpo umano, nella frutta o nelle miniere – possedesse in verità diverse analogie e come la contrapposizione più o meno problematica tra superficie e profondità fosse trasversale a diversi ambiti professionali. Vi sono inoltre le fonti iconografiche, studiate dall’autore da differenti angolazioni. Per esempio, abbiamo le tavole provenienti da Hesperides sive de malorum aureorum cultura et usu di Giovanni Battista Ferrari, in cui sono rappresentate precise sezioni di agrumi nella cornice del capitolo 4. Non mancano illustrazioni di svariate operazioni chirurgiche a completamento di trattati e manuali dedicati a questa professione. In particolar modo, il capitolo 3 si concentra sul dolore e sulla sua sopportazione così come erano rappresentati nelle tavole e come venivano utilizzati a fine retorico per ritrarre sotto una luce migliore o peggiore soldati di cultura e religione differente.

Superfici propone quindi un’analisi accurata e originale della complessità del sapere chirurgico in età moderna, oltre che del suo rapporto con le istituzioni e la società, restituendo a lettori e lettrici un affresco vivido e sfaccettato di individui, corpi e modelli cognitivi.