Vol. 3 n°1 - Scientia | Giugno 2025

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Ricordi

Editoriale

La rivista Sapere e la divulgazione scientifica nell’Italia del Novecento

a cura di Elena Canadelli (Università di Padova), Andrea Candela (Università dell’Insubria), Gerardo Ienna (Università di Roma La Sapienza)

Sono trascorsi novant’anni esatti dalla fondazione della rivista Sapere; l’idea di dedicarvi un numero speciale di Scientia nasce dunque dalla volontà di aprire una riflessione sul ruolo che il periodico ha svolto in seno alla storia delle scienze in Italia. Il desiderio è stato quello di colmare, almeno in parte, un vuoto storiografico dipendente dalla scarsità, se non addirittura assenza, di lavori organici che permettano di contestualizzare il legame tra la lunga storia editoriale della rivista, la storia della divulgazione scientifica in Italia e gli sviluppi delle scienze e delle tecnologie nel Novecento.    

Pubblicato a partire dal 1935, per iniziativa dell’editore milanese Ulrico Hoepli, Sapere – al principio un quindicinale – figura nello scenario editoriale italiano tra i periodici di divulgazione scientifica più longevi e, certamente, di maggiore rilievo. Tra gli scienziati di spicco che, fin dai numeri di esordio, contribuirono alla sua stesura si annoverano figure come Guglielmo Marconi, Edoardo Amaldi, Giuseppe Armellini ed Enrico Fermi, limitandosi solo a pochi nomi. Sapere si distinse, negli anni, per articoli divulgativi di ampio respiro, attenti alla storia della scienza in senso ampio e alla ricerca di base, oltre che alle ricadute tanto applicative quanto “dilettevoli” delle scienze. Accolse, inoltre, disamine sui temi più stringenti dell’attualità scientifica che al contempo non ignoravano le ricadute sociali, economiche e politiche delle acquisizioni scientifiche e delle innovazioni tecnologiche. Il periodico riuscì, così, a conquistare uno spazio di primo piano nel panorama della pubblicistica divulgativa nazionale, caratterizzandosi inoltre per un ampio uso di illustrazioni e materiale visuale. Divenne così un indiscusso punto di riferimento non solo per la divulgazione delle scienze, ma anche per la stessa comunità scientifica. Questa partecipò attivamente alla redazione della rivista, intervenendo altresì in quel confronto pubblico sul valore etico e culturale dell’impresa scientifica di cui negli anni Sapere fu spesso vetrina. Il periodico seppe del resto promuovere legami con le più importanti riviste scientifiche internazionali (Nature e Science, in primis) e, dagli anni Sessanta, con la proprietà delle Edizioni di Comunità e poi della Dedalo Libri, abbracciò un sincero impegno civile, assolvendo – sotto la direzione del genetista Adriano Buzzati Traverso – anche alla missione di colmare il divario tra le due culture. Si ampliarono di conseguenza gli orizzonti della sua linea editoriale che, da una parte, consentirono di dedicare più spazio alla ricerca internazionale, dall’altra contemplarono temi e problemi non strettamente scientifici, come i diritti civili e la segregazione razziale negli Stati Uniti, le contestazioni studentesche e la riforma dell’università, la questione meridionale, la decolonizzazione e la fame nel mondo, la guerra del Vietnam e il parallelo con i paesi socialisti. 

La lunga storia di Sapere consente dunque di esaminare sia come alcuni grandi temi della ricerca scientifica e della storia del Novecento siano stati raccontati al grande pubblico, sia come questi stessi temi siano stati oggetto di confronto tra scienziati, cittadini, istituzioni e governanti. Il periodico è stato inoltre riflesso degli umori, delle derive e degli orientamenti politici, culturali ed economici che hanno impresso la storia delle scienze in Italia, dagli anni Trenta, in pieno Fascismo e atmosfera coloniale, in avanti. Diede voce, ad esempio, alle inquietudini della comunità scientifica, preoccupata per il futuro della ricerca italiana, dopo le vicende giudiziarie che negli anni Sessanta travolsero Felice Ippolito e Domenico Marotta. Oppure ancora, fu espressione di quella ‘scienza proletaria’ che, nei travagliati anni Settanta, volle denunciare – uniformandosi alle divisioni ideologiche e radicali del decennio – l’asservimento della scienza alla ‘ragione di Stato’ e l’intreccio di interessi tra istituzioni scientifiche e poteri politico-economici. 

La rivista è stata pertanto una vera e propria cartina di tornasole di alcune delle più significative vicende storiche nazionali e internazionali, non solo a sfondo scientifico, che hanno punteggiato il Secolo breve. Nei suoi novant’anni di storia, Sapere ha cambiato editori, veste grafica, periodicità, direttori e linea editoriale, tuttavia non ha mai smesso di rappresentare e raccontare lo stato e gli sviluppi altalenanti della ricerca scientifica, innanzitutto nel nostro paese. La storia di Sapere rientra quindi a pieno titolo nella storia delle scienze e della tecnologia in Italia.

Il numero monografico qui pubblicato desidera perciò ripercorrere alcune delle fasi e dei momenti più rappresentativi e salienti che hanno caratterizzato la lunga storia della rivista, mettendone in risalto, da una parte, il contributo alla storia della comunicazione scientifica in Italia e, dall’altra, la sua significatività per la storia delle scienze. Nei suoi novanta anni di storia, sulle pagine della rivista Sapere è stato possibile leggere dei temi più variegati. I cinque contributi che pubblichiamo – incentrati sull’antropologia, sul cinema scientifico, sul tema del nucleare, sulla storia della fisica e sull’articolata storia del periodico sotto la lunga direzione di Carlo Bernardini – permettono di fornire ai lettori un primo assaggio, limitato ad alcuni temi, della ricchezza di questo patrimonio di comunicazione della scienza in Italia, sperando che altri approfondimenti possano seguire.

Il fascicolo si apre con il contributo di Claudio Pogliano dal titolo Un trentennio di temi antropologici (1935-1967). In questo articolo l’autore ricostruisce nel dettaglio l’evoluzione degli orientamenti politico-ideologici dei contributi incentrati sull’antropologia, l’etnologia e lo studio dei popoli “altri” dalla fondazione di Sapere nel 1935 in piena epoca fascista fino al termine, nel 1962, della gestione della rivista da parte dell’editore Hoepli e il breve intervallo della gestione delle Edizioni di Comunità (fino al 1967). Nel suo primo lustro, la rivista si è prestata a essere un megafono della “martellante propaganda” volta a giustificare l’espansione coloniale italiana nel continente africano e, conseguentemente, uno strumento di egemonia culturale volto ad affermare la superiorità della razza bianca e il conseguente processo di civilizzazione apportato dalle “civilissime leggi di Roma”. Durante la seconda guerra mondiale, continuò a essere dominante l’esotismo, connotato da toni paternalisti e coloniali, attorno alle cosiddette “popolazioni primitive”. Nel primo dopoguerra, pur mantenendo un approccio largamente eurocentrico, cominciò a farsi strada una decostruzione di quell’ideologia primitivista che vedeva nei popoli altri dei “selvaggi del presente”. È in questa fase che emerse inoltre un interesse verso le trasformazioni in corso nei mondi coloniali. Pogliano sottolinea come, paradossalmente, l’innovativo approccio di scuola demartiniana, multidisciplinare, antinaturalistica e attenta ai modelli culturali dell’Italia meridionale, non ebbero una ricezione sulle pagine di Sapere. Fu solo negli anni Sessanta che, riflettendo le svolte post-coloniali in corso, Sapere avviò una importante fase di cambiamento di orientamento culturale rispetto alle tematiche etnoantropologiche.

Con il secondo articolo, dal titolo Il cinema di Sapere: il documentarismo scientifico italiano nel prisma di una rivista (1936-1943), prosegue l’esplorazione della storia della rivista in epoca fascista. Gli autori, Francesco Paolo de Ceglia e Fabio Lusito, propongono un’attenta disamina della rubrica “Il cinema di Sapere” inaugurata a partire dal 1936. Tramite le recensioni apparse in questa rubrica, la rivista cooperava alla formazione di un immaginario cinematografico-scientifico che promuovesse un’immagine ideologizzata – e spesso sfruttata a fini propagandistici – del sapere scientifico e tecnologico da parte del regime fascista. L’articolo si concentra innanzitutto sul rapporto con l’Istituto Luce (per via della mediazione di Luciano De Feo, trait d’union fra Hoepli, l’universo cinematografico e Mussolini). Nella loro ricostruzione, gli autori si soffermano in particolar modo sui documentari scientifici a carattere entomologico, di biologia marina e biotipologici. La rubrica chiuse nel 1943 e, nonostante qualche sporadica ripresa, non riuscì più ad adattarsi al nuovo contesto democratico e mediale del dopoguerra.

A partire dal 1974, l’incarico di dirigere Sapere viene attribuito al medico Giulio A. Maccacaro che, coadiuvato da un ampio collettivo redazionale, inaugura quella che potremmo definire la stagione “militante” della rivista. Nel primo editoriale di questo “nuovo corso” è possibile leggere una programmatica dichiarazione di una radicale inversione del modello diffusionista nell’ambito della comunicazione scientifica aprendo piuttosto verso un’idea di cittadinanza scientifica:

La nostra ipotesi è che la scienza —a due secoli dalla Enciclopedia, dalla rivoluzione borghese, dall’avvento del modo capitalistico di produzione— sia nell’esperienza attiva o passiva e sia nel discorso implicito o esplicito di tutti gli uomini: perché di scienza è ormai fatto il potere e di potere gli uomini vivono o muoiono. Così che “fare scienza” vuol dire, oggi e in ogni caso, lavorare “per” o “contro” l’uomo ed ogni uomo è raggiunto dalla scienza per esserne fatto più libero o più oppresso. L’organizzazione scientifica del lavoro ed il lavoro dell’organizzazione scientifica ripetono e diffondono, dalla fabbrica e dal laboratorio, un unico comando che si allarga a raggiungere ogni spazio ed ogni tempo della vita.

Distinguere allora tra “addetti” e “non-addetti” ai lavori della scienza —per riservare ai primi la proprietà del discorso da rivolgere ai secondi in modi benevolmente divulgativi— corrisponde ad una scelta di conservazione. Rifiutiamo per un’altra che riconosce soltanto “operatori” ed “operati” della scienza, così come del potere e, dunque, della scienza che è potere.

È il loro discorso che vogliamo ascoltare e nel quale vogliamo intervenire offendo un’occasione, uno spazio ed anche un aiuto per esprimersi, svilupparsi e effondersi. Chi ha il diritto di parola ha anche il diritto di restituirla a chi era stato privato del suo diritto. […]. Ma vorremmo queste pagine particolarmente aperte ed attente alle domande, alle proposte, all’esperienza del sapere degli “altri”: coloro che l’egemonia borghese ha sempre escluso dal privilegio della conoscenza scientifica. Perché la loro candidatura è politica è anche una candidatura scientifica: quali soggetti di una scienza che non sia più la stessa di un comando diverso ma sia diversa pe una nuova liberazione. Basti questo a dire —fin da ora e chiaramente— che rifiutiamo insieme lo “scientismo” e il “luddismo” scientifico, che ci sono ugualmente estranei il culto e l’esorcismo della scienza. Quale scienza per quale potere? Quale potere per quale società? Sono queste le domande sulle quali si concentra la nostra attenzione e dalle quali vuol muovere la nostra ricerca.

Almeno fino al 1982, ovvero anche dopo la prematura scomparsa di Maccacaro nel 1977, Sapere rappresentò il principale canale di dialogo fra scienziati radicali impegnati nella discussione sul tema della non-neutralità della scienza, facendo di questa rivista la rappresentante italiana di quel movimento di critica della scienza rappresentato all’estero, ad esempio, da Science for the People (USA), Radical Science Journal (UK), Impascience, Suivre et vivre o Labo-Contestation (in Francia). Tale movimento volto a smascherare la presunta “neutralità” del sapere scientifico, fu in Italia talmente ricco che, a partire dal 1979 una sezione della redazione del periodico diede vita all’esperienza parallela di Testi e contesti, una rivista che mirava non tanto alla competizione quanto all’approfondimento dei temi trattati su Sapere

I successivi due contributi di questo numero monografico fanno emergere alcuni aspetti specifici della produzione militante e radicale di questa stagione di Sapere.

Il saggio di Andrea Candela, dal titolo Sapere e il dibattito sull’energia nucleare nell’Italia degli anni Settanta, esamina la linea editoriale che il periodico esplicitò a proposito della questione nucleare, tra i temi più controversi e “caldi” del dibattito scientifico, politico e culturale del decennio, non solo in Italia. Sapere figurò, in questi anni, tra le voci più vivaci e caustiche del difficile confronto nazionale sugli usi civili dell’atomo. La rivista diede risalto alle posizioni degli “scienziati dissidenti”, critici verso questa forma di energia e contrari ai programmi nucleari del governo italiano. Conferì inoltre visibilità alle crescenti opposizioni antinucleari. Uniformandosi alla temperie culturale del periodo storico, Sapere inscrisse la problematica nucleare nella cornice del più esteso dibattito sulla “neutralità” (o meno) del sapere scientifico, sulla necessità di una partecipazione pubblica al processo decisionale coinvolgente scienza e tecnologia, sul modo capitalistico di produzione e, infine, sul problema dello sfruttamento intensivo dell’ambiente. Un tema, quest’ultimo, divenuto prioritario in una fase storica durante la quale anche in Italia stava maturando una coscienza ambientale collettiva, di cui Sapere fu voce e punto di riferimento. 

Il contributo del periodico al dibattito nucleare italiano degli anni Settanta viene dunque approfondito da Candela in relazione al più ampio contesto storico che si profilò all’indomani dello shock petrolifero del ’73 e del Piano Energetico Nazionale del ’75. 

L’articolo dal titolo Storia della fisica e storia della scienza nella rivista Sapere negli anni Settanta a firma di Gianluca Pozzoni, dal canto suo, si concentra sull’analisi della presenza della storia della fisica all’interno delle pagine di Sapere durante gli anni della gestione Maccacaro. Dopo una prima contestualizzazione dello stato dell’arte relativo al processo di emersione della storia della fisica in Italia, Pozzoni mette in luce le principali controversie che, da Hiroshima e Nagasaki in poi hanno caratterizzato l’emergere di una responsabilità sociale dei fisici a livello transnazionale.  La comunità dei fisici fu infatti una fra le più sensibili al tema della non-neutralità della scienza e, la storia della fisica divenne un campo privilegiato di indagine per smascherare le finalità sociali e politiche della scienza, con attenzione alle sue applicazioni militari (con particolare riferimento alla guerra del Vietnam). Il saggio di Pozzoni passa così in rassegna i principali contributi pubblicati sulle pagine di Sapere in questo ambito fra il 1974 e il 1977. Attraverso articoli di studiosi come, ad esempio, il già citato Cini, ma anche altri protagonisti del dibattito come Angelo Baracca, Arcangelo Rossi, Giovanni Ciccotti, Elisabetta Donini etc., Sapere contribuì a costruire un canone alternativo di storia della fisica di stampo marxista, volto a fornire strumenti critici ai movimenti operai e studenteschi. Il focus non si riduceva però a denunciare l’asservimento della ricerca scientifica a scopi militari, quanto piuttosto a mettere in luce la funzione complessiva della scienza nel modo di produzione capitalistico.

La stagione più genuinamente “militante” di Sapere si interruppe bruscamente alla fine del 1982, quando l’editore Dedalo decise di attribuire, senza particolare preavviso, al fisico Carlo Bernardini la direzione della rivista. Marcello Cini e un gruppo di altri collaboratori diede vita così alla rivista SE ScienzaEsperienza, tramite cui l’iniziale gesto scientifico-militante inaugurato dalla direzione di Maccacaro veniva proseguito e rinnovato. Non senza delusione verso la forzata conclusione dell’esperienza editoriale con Dedalo, nel primo editoriale della nuova rivista SE ScienzaEsperienza è possibile leggere:

Nell’ultimo numero di Sapere del 1982 — che, con stile editoriale tutto suo, la Dedalo ha deciso di non inviare nelle edicole — concludevamo la serie di quella rivista fondata da Giulio A. Maccacaro nel 1974 e davamo appuntamento ai nostri lettori in altra sede. E, infatti, eccoci qua con questo nuovo mensile: il primo giornale italiano di scienza prodotto da una cooperativa di ricercatori, docenti, tecnici, lavoratori delle fabbriche e dei servizi. Il patrimonio accumulato in 9 anni di esperienza in Sapere è alle nostre spalle: non lo rinneghiamo, né lo dimentichiamo; anzi lo consideriamo prezioso e vogliamo utilizzarlo al meglio. 

Come riporta l’articolo dal titolo La rivista Sapere nella direzione di Carlo Bernardini: un viaggio trentennale a firma di Luigi Romano, fu Raimondo Coga in persona – il direttore e proprietario fondatore dell’editore Dedalo – ad attribuire la nuova direzione a Bernardini con l’intenzione di ridare a Sapere: «smalto e soprattutto per sottrarla alle pastoie dell’ideologia antiscientista che aveva confuso le acque negli anni precedenti». Come riporterà in seguito lo stesso Bernardini, per Coga la rivista si era eccessivamente ideologizzata e soffriva di un “sessantottismo cronicizzato” espressione di un collettivo “casinista” coordinato da Giovanni Cesareo che aveva preso in mano il progetto alla morte di Maccacaro. Sotto la direzione di Bernardini, il progetto editoriale viene ristrutturato e ricondotto al canone più tradizionale della comunicazione e divulgazione scientifica. L’articolo di Romano chiude dunque questo numero monografico e accompagna il lettore nelle trame delle pagine della rivista fino ai primi anni duemila, esponendo le principali linee editoriali sviluppate durante la trentennale direzione di Bernardini. Sotto la direzione di quest’ultimo, la rivista si distinse per la scelta originale dei temi, per il legame con l’attualità e per l’impegno su questioni come il disarmo, l’etica scientifica, la bioetica, le pari opportunità nella scienza e gli studi di genere e un’analisi critica delle politiche scientifiche nel nostro paese. 

La lunga storia di Sapere consente di entrare nelle trame della storia della scienza e della divulgazione scientifica nell’Italia del Novecento, affrontando i complessi rapporti tra scienza, storia, editoria, società, politica, immaginari e informazione; un territorio storiografico su cui molto resta da indagare, soprattutto rispetto al caso italiano. Speriamo dunque che questi saggi possano contribuire a stimolare future ricerche e progetti in queste direzioni.