N.1 2025 - Scientia | Giugno 2025

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La difficile definizione del patrimonio della scienza. L’Università di Padova e le disposizioni ministeriali sulla tutela del materiale storico-scientifico negli anni Venti

Elena Maria Rita Rizzi

Università di Padova elena.rizzi@unipd.it

Received 25/01/2025㇑Accepted 2/04/2025㇑Published online 30/06/2025

L’articolo è pubblicato nell’ambito di un progetto PRIN 2022 finanziato dall’Unione europea-Next Generation EU, Missione 4, Componente 2 – 2022RM5SFJ “Musealising the Italian Scientist (1839-1939): Practices, Narratives, Memories” CUP C53D23000240006. Si ringraziano la professoressa Elena Canadelli e Luca Tonetti per i loro preziosi consigli e il personale dell’Archivio generale di Ateneo dell’Università di Padova, in particolare il Dott. Remigio Pegoraro e il Dott. Luca Marinello, per aver accolto le mie numerose richieste di consultazione. Desidero infine ringraziare la redazione di Scientia per l’attento lavoro editoriale che ha reso possibile la pubblicazione di questo contributo.

Abstract

Il contributo discute le risposte dell’Università di Padova alla circolare sulla tutela del patrimonio storico-scientifico emanata dal Ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile nel febbraio 1924. La circolare invitava le università e gli istituti di istruzione superiore a comunicare al Ministero le collezioni scientifiche di particolare interesse storico in loro possesso, o di cui erano a conoscenza, al fine di tutelarle secondo la legislazione italiana vigente in materia di beni culturali. Da un lato, i documenti qui presentati dimostrano il ruolo chiave svolto dagli attori locali nel riconoscimento del valore culturale del patrimonio scientifico. Dall’altro, evidenziano la complessità insita nella definizione di patrimonio scientifico e nello stabilire chiare distinzioni tra la cultura materiale della scienza e manufatti artistici. Adottando una prospettiva locale all’incrocio tra storia della scienza, storia culturale e studi museali, l’articolo intende contribuire alla comprensione del lento sviluppo di una politica culturale per il patrimonio scientifico in Italia.

English abstract

The article comments on the responses given by the University of Padua to the circular on the protection of scientific heritage issued by the Ministry of Public Instruction, Giovanni Gentile, in February 1924. The circular invited universities and higher education institutions to inform the ministry about the scientific collections of particular historical interest they owned, or were aware of, in order to protect them according to existing Italian legislation on cultural heritage. On the one hand, the unpublished documents demonstrate the key role played by local actors in recognizing the cultural value of scientific heritage. On the other hand, they highlight the complexity inherent in defining what constitutes scientific heritage and in establishing clear distinctions between the material culture of science and artistic artefacts. By adopting a local perspective at the intersection of the history of science, cultural history, and museum studies, the essay aims to contribute to the understanding of the slow development of a cultural policy for scientific heritage in Italy.

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Introduzione

Nell’autunno del 1923, il senatore Silvio Pellerano presentò un’interrogazione parlamentare a Giovanni Gentile, ministro della Pubblica istruzione dal 1922 al 1924, con la quale sollevava la delicata questione della tutela del patrimonio storico-scientifico [Pellerano, 1923]. Già durante il secondo Congresso nazionale della Società per la storia delle scienze mediche e naturali svoltosi a Bologna l’anno precedente, il medico e storico della medicina Andrea Corsini, promotore del Gruppo per la tutela del patrimonio scientifico nazionale nel 1923 a Firenze, aveva avviato una discussione sulla necessità di disposizioni volte alla tutela e catalogazione del patrimonio storico-scientifico attraverso la creazione di appositi ispettori [Corsini, 1922] [Beretta, 2005, p. 266-269]. Facendosi portavoce di queste istanze, Pellerano chiedeva che i funzionari di antichità e belle arti, con l’aiuto di incaricati competenti, si occupassero anche della tutela del materiale storico-scientifico secondo quanto predisposto dalla legislazione sul patrimonio storico-artistico d’inizio Novecento e, in particolare, dalla legge n. 364 del 20 giugno 1909 Per le antichità e le belle arti, o legge Rosadi. Gentile non solo dichiarava che la legge era già applicabile alle raccolte storico-scientifiche ma annunciava la diramazione di una circolare «per rendere anzi più attiva ed efficace la vigilanza e tutela» del patrimonio della scienza e della natura [Pellerano, 1923, p. 148].

Sebbene il patrimonio scientifico e naturalistico, al pari di quello storico-artistico, sia stato mobilitato nel discorso nazional-patriottico fin dall’epoca risorgimentale come elemento costitutivo del processo di nation-building [Beretta, 2011, p. 1011-1022] [Meriggi, 2011], è noto che il Regno d’Italia si concentrò quasi esclusivamente sulla conservazione e valorizzazione dei beni storico-artistici, archivistici e librari [Balzani, 2003; Troilo, 2005]. Come è stato ricostruito in vari studi, il patrimonio storico-scientifico fu difatti escluso dalle prime disposizioni legislative sulla tutela del patrimonio culturale d’inizio Novecento [Canadelli, 2011, p. 867-879] [Canadelli, 2019a] [Canadelli, Di Lieto, 2024]. Un cambiamento nei modi di pensare le collezioni scientifiche e naturalistiche si innescò solo a partire dalla fine della Prima guerra mondiale. Cavalcando la propaganda del regime fascista che, da un lato, esaltava i primati scientifici nazionali e, dall’altro, faceva della scienza e della tecnica moderna un motore del progresso nazionale, il dibattito sul patrimonio storico-scientifico si accese durante il ventennio fascista. Congressi, pubblicazioni e mostre proliferarono; istituti di ricerca e i primi musei dedicati alla storia della scienza nacquero [Bucciantini, Baroncelli, 1990] [Maiocchi, 2004] [Canadelli, 2011, p. 879-889] [Paoloni, Reali, Ronzon, 2018] [Beretta, Canadelli, Giorgione, 2019] [Canadelli, 2019b] [Barreca, 2022]. Stimolato dal contesto e, in particolare, dal dibattito iniziato da Corsini e da personalità vicine al Gruppo fiorentino per la tutela del patrimonio scientifico nazionale, tra cui lo stesso Pellerano, il ministro Gentile si mostrò particolarmente sensibile al tema della tutela del patrimonio storico-scientifico. Il nuovo regolamento universitario dell’aprile 1924, stabilito dalla riforma dell’istruzione superiore del 1923, includeva un articolo sulla tutela delle raccolte di carattere scientifico. Pochi mesi dopo l’interrogazione di Pellerano, la circolare n. 8 Tutela del materiale storico-scientifico del 1° febbraio 1924 (Documento 1) fu inoltrata alle università e agli istituti d’istruzione superiore con la richiesta di inviare informazioni sul materiale scientifico d’interesse storico in loro possesso o di cui erano a conoscenza così da tutelarlo secondo le disposizioni della legge Rosadi «applicabili anche al materiale scientifico» [Canadelli, 2011, p. 882-883] [Canadelli, 2024, p. 16-18].

Sebbene le indicazioni ministeriali e la definizione di patrimonio storico-scientifico proposta fossero vaghe, la circolare non rimase lettera morta, come testimoniano i documenti dell’Archivio generale dell’Università degli Studi di Padova qui trascritti e commentati (Documenti 2 e 3). Il rettorato dell’ateneo patavino rispose al ministero inviando, a distanza di circa due anni, due liste di beni immobili e mobili di particolare interesse storico, che sono tuttora considerati pietre miliari del patrimonio universitario. Lo studio di questi documenti contribuisce non solo alla storia del frastagliato processo di formulazione di una politica culturale per il patrimonio storico-scientifico in Italia ma dimostra anche il ruolo centrale degli attori locali e delle loro sensibilità nel riconoscimento del valore culturale delle collezioni scientifiche e naturalistiche, ed evidenzia così la fecondità epistemologica del cambiamento di focale – parafrasando Jacques Revel [Revel, 1996, p. 19] – nella ricerca sul patrimonio storico-scientifico. Se infatti ci si è spesso concentrati soprattutto sulle azioni dall’alto, è interessante concentrarsi sulle risposte delle singole realtà alle richieste ministeriali di portare ordine in un territorio ancora inesplorato. Le distinzioni approssimative tra patrimonio storico-artistico e storico-scientifico, operate dagli attori locali, evidenziano inoltre le difficoltà insite nell’identificazione del patrimonio della scienza. In un campo di studio al confine tra storia della scienza, storia culturale e museum studies, il contributo vuole mettere in luce la natura «dissonante» [Ashworth, Tunbridge, 1996] del patrimonio storico-scientifico. I documenti qui presentanti mostrano infatti come il patrimonio della scienza costituisca «la “materia oscura” dell’universo patrimoniale» [Lourenço, Wilson, 2013, p. 752] poiché i suoi confini sono incerti e mutevoli e la sua definizione continuamente soggetta a negoziazioni e interpretazioni a seconda dei contesti storici, dei luoghi e degli sguardi posati su di esso.

Lo sguardo ‘locale’ sul patrimonio storico-scientifico: la risposta dell’Università di Padova alla circolare del ministro Gentile

Consapevole della dimensione simbolica del patrimonio storico universitario, l’ateneo patavino si è da sempre mostrato attento alla sua conservazione. Iniziative volte alla sua valorizzazione presero in particolare avvio durante l’Ottocento e si intensificarono sul finire del secolo. In occasione delle onoranze galileiane del 1892, il rettore Carlo Francesco Ferraris creò, per esempio, un primo museo storico dell’Università a Palazzo Bo in cui narrare la storia dell’Ateneo attraverso la sua cultura materiale, i suoi cimeli e documenti. A distanza di trent’anni, a conclusione delle celebrazioni del settimo centenario dell’Università, il patologo Luigi Lucatello, rettore dell’ateneo dal 1919 al 1926, continuò il progetto di un museo storico universitario (Fig. 1), il quale verrà ampliato sotto il rettorato di Carlo Anti negli anni Trenta. La cultura materiale della scienza, come per esempio la Cattedra dalla quale si vuole che Galileo Galilei (1564-1642) insegnò durante il suo periodo padovano (1592-1610) e la sua vertebra donata all’Ateneo nel 1823, occuparono e tuttora occupano una parte centrale nella narrazione della storia dell’Ateneo e dell’identità urbana al fine di celebrare il contributo di Padova alla scienza italiana (e non solo) e il suo ruolo nella creazione della comunità politica e culturale italiana [Favaro, 1922] [Ferraris, 1922] [Anti, 1968]; tra i testi più recenti si vedano: [Dal Piaz, 1998] [Semenzato, 1999] [Nezzo, 2008] [Dal Piaz, 2013-2014] [Redazione de il Bo Live, 2019] [Bonetto et al., 2022] [Il Centro per la Storia dell’Università di Padova, 2023]. Il rettorato fu tuttavia colto impreparato dalla richiesta ministeriale. Per giunta, la circolare non dava chiare indicazioni, limitandosi a disporre la tutela, al punto primo, degli «oggetti mobili ed immobili che present[a]no carattere storico-scientifico, e delle località del territorio nazionale» d’interesse paleontologico e, al punto secondo, delle collezioni scientifiche rilevanti per lo studio «della zoologia, della botanica, della geologia, della mineralogia, ecc.» e degli oggetti e della strumentazione «particolarmente interessanti nel campo storico-scientifico» presenti nelle università o in altri enti pubblici, religiosi o privati (Documento 1).

Fig. 1 ̶ Il Museo storico dell’Università allestito ad inizio degli anni Venti con la Cattedra e la vertebra di Galileo Galilei ed altri cimeli, fotogr. Gislon, RIP XVI 1380, Biblioteca Civica, Padova. Su concessione del Comune di Padova – Assessorato alla Cultura

Non avendo piena contezza di ciò che poteva essere definito come patrimonio storico-scientifico e di fronte alla vaghezza ministeriale, Lucatello diramò la circolare ai presidi delle facoltà e ai direttori degli istituti scientifici con la preghiera di inviare informazioni circa il materiale presente presso i loro istituti o di cui erano a conoscenza [AGAAR, 1924a] [AGAAR, 1924b] [AGAAR, 1924c] [AGAAR, 1924d]. A fine settembre 1924, dopo alcuni solleciti dal ministero [AGAAR, 1924e] [AGAAR, 1924f] [AGAAR, 1924g], guidato da Alessandro Casati dal luglio 1924, il rettore abbozzò una risposta (Documento 2), nella quale fornì un primo elenco di cimeli, artefatti, apparecchi d’interesse storico-scientifico stilato a partire dalle segnalazioni ricevute [AGAAR, Albertotti, 1924] [AGAAR, Belmondo, 1924] [AGAAR, Bertelli, 1924] [AGAAR, Cevidalli, 1924] [AGAAR, Dal Piaz, 1924] [AGAAR, Foà, 1924] [AGAAR, Gola, 1924] [AGAAR, Gini, 1924] [AGAAR, Penzo, 1924] [AGAAR, Sabbatani, 1924] [AGAAR, Tedeschi, 1924. L’elenco distingueva tra patrimonio immobile d’importanza storica o artistica e patrimonio mobile storico-scientifico. Nel primo, venne incluso il Palazzo centrale dell’Università, ovvero Palazzo Bo, i suoi elementi di decoro e ambienti, come l’Aula magna e il Teatro anatomico. Inaugurato nel 1595 da Girolamo Fabrici d’Acquapendente (1533-1619) e usato dalla Scuola d’anatomia per le lezioni fino al 1874, il Teatro non era esplicitamente ricordato come «luogo della scienza» ma per la sua importanza storica o artistica. Il rettore includeva inoltre Palazzo Cavalli – sede della Regia scuola di applicazione per gli ingegneri dal 1892, delle collezioni dell’Istituto di geologia dal 1932, e oggi del Museo della natura e dell’uomo dell’Università – e la Sala dei Giganti – sontuosamente decorata nel Cinquecento e inglobata nel Palazzo Liviano costruito da Giò Ponti negli anni Trenta. L’Osservatorio astronomico, completato nel 1777, era elencato nonostante fosse ente di ricerca autonomo da fine 1923. Questa selezione di beni immobili venne probabilmente redatta dal rettorato come si evince da una nota a matita apposta su uno dei solleciti ricevuti dal ministero [AGAAR, 1924f]. A questi si aggiungeva l’Orto botanico che, sebbene ricordato dal suo direttore Giuseppe Gola come bene immobile «di carattere storico-scientifico» e come il «primo nel mondo che sia stato istituito per gli studii scientifici», veniva classificato tra il patrimonio storico o artistico [AGAAR, Gola, 1924]. Come emerge da questi documenti, l’elenco del patrimonio immobile risentiva della definizione di patrimonio culturale incentrata sulle belle arti che aveva preso forma tra Ottocento e Novecento, non solo in Italia [Beretta, 2001]. Il valore monumentale dei beni immobili si basava infatti su criteri principalmente artistici, come si evince dalla campagna per la catalogazione, intrapresa dopo l’Unità d’Italia a fini conservativi, dei monumenti di importanza nazionale per il loro interesse storico, artistico o archeologico. Grazie al lavoro di commissioni locali, la campagna portò alla redazione del primo Elenco dei monumenti nazionali medioevali e moderni nel 1875, in cui figurava anche il Palazzo universitario di Padova [ACS, MPI, DGAABBAA, bb. 379, 380].

Differente è il caso dei beni mobili. Sebbene essi venissero espressamente riconosciuti come «cose» appartenenti al regno della scienza, mancava una vera e propria consapevolezza di come determinare il loro interesse storico-scientifico. Le motivazioni le più disparate e, a tratti, insolite portarono i direttori degli istituti dell’Università di Padova a identificare un oggetto in quanto bene storico-scientifico. Furono inclusi i cimeli galileiani, le cattedre degli anatomisti d’Acquapendente e Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), usate durante le lezioni nel Teatro anatomico ed esposte nel Museo dei cimeli universitari, la tavola in rame fatta incidere da Johann Georg Wirsüng (1589-1643) dopo la scoperta del condotto pancreatico maggiore durante una dissezione nel 1642 [AGAAR, Bertelli, 1924]. In quanto memoria materiale di alcuni tra gli scienziati che maggiormente contribuirono alla tradizione scientifica dell’Università, questi oggetti vennero annoverati per il loro carattere storico-celebrativo. Un solo strumento scientifico fu incluso, una macchina elettromagnetica per uso medico, e un solo oggetto didattico, una cassetta ad uso dimostrativo della medicina dei semplici della seconda metà del Settecento, conservati nell’Istituto di materia medica [AGAAR, Sabbatani, 1924]. Si aggiungevano le piante dell’Orto botanico, tra cui la Palma di Goethe, l’erbario dalmata del botanico e prefetto dell’Orto Roberto de Visiani (1800-1878), l’erbario micologico del botanico e prefetto Pier Andrea Saccardo (1845-1920), e altri erbari conservati in collezioni pubbliche e private a Verona, Vicenza, Trieste, Venezia, Bressanone e Trento [AGAAR, Gola, 1924], le raccolte paleontologiche del Museo dell’Istituto di geologia e i fossili del giacimento di Bolca in provincia di Verona [AGAAR, Dal Piaz, 1924]. Specie naturali, campioni vegetali e raccolte paleontologiche erano dunque annoverati dimostrando una precoce sensibilità per la salvaguardia del patrimonio naturalistico. Infine, anche motivi iconografici portarono a includere alcuni oggetti tra il patrimonio storico-scientifico dell’Università, come i ventiquattro ritratti di anatomisti provenienti dall’Istituto d’anatomia normale [AGAAR, Bertelli, 1924] e l’affresco di metà Trecento raffigurante Frate Ugo di Provenza nella Sala del capitolo dell’ex-convento di San Nicolò a Treviso poiché «quelli inforcati sul naso del predetto Cardinale Ugone sono i più antichi occhiali dipinti che si conoscono» [AGAAR, Albertotti, 1924]. A causa dell’assenza di un inventario preciso del materiale storico-scientifico, Lucatello si riservava però di inviare ulteriori comunicazioni.

La tardiva istituzionalizzazione della storia della scienza come disciplina accademica autonoma contribuì a rendere più complessa l’identificazione del patrimonio storico-scientifico universitario. Sebbene ricerche storico-scientifiche in relazione alla vita universitaria venissero portate avanti da tempo, una cattedra di Storia della scienza mancava a Padova come altrove. A fine gennaio 1922, su impulso del matematico e storico della scienza Antonio Favaro (1847-1922), già ordinario di Statica grafica, il Senato accademico deliberò la nascita dell’Istituto per la storia dell’Università di Padova con l’incarico di compiere ricerche storico-letterarie, storico-artistiche e storico-scientifiche relative allo Studio patavino [Il Centro per la Storia dell’Università di Padova, 2023, p. 39-45]. L’attività dell’Istituto non era tuttavia specificatamente orientata alla storia della scienza. Nel maggio del 1922, Lucatello chiese al ministero di affidare al Favaro un insegnamento di «storia delle scienze con speciale riguardo alla storia della matematiche» a partire dall’anno accademico successivo – la richiesta non ebbe però esito positivo poiché il professore aveva ormai raggiunto il limite d’età e sarebbe inoltre venuto a mancare di lì a poco [ACS, MPI, DGIS, 1922]. A partire dall’anno accademico 1924-1925, venne invece istituito l’insegnamento di Storia della medicina e affidato al medico e storico della medicina Arturo Castiglioni (1874-1953) [L’Istituto di storia della medicina, p. 9]. A Padova come in altre realtà universitarie italiane, l’identificazione del patrimonio storico-scientifico doveva dunque far i conti con la quasi assenza di appigli disciplinari circa la storia della scienza e le sue fonti materiali [Bucciantini, Baroncelli, 1990] [Beretta, 2007] [Beretta, 2011].

Le incertezze nell’identificazione del patrimonio storico-scientifico universitario messe in luce dai documenti scaturiscono non solo da una scarsa consapevolezza a livello locale ma anche dal protarsi di una gestione difficoltosa del patrimonio universitario. Decenni di disinteresse governativo e l’assenza di personale e fondi pesavano sulla cura delle collezioni scientifiche e naturalistiche, non solo universitarie. Il Regno d’Italia si dedicò invece ben presto alla messa a punto di una macchina amministrativa volta alla conservazione, studio e valorizzazione del patrimonio storico-artistico nazionale nonché al suo accentramento, e diede avvio a campagne di catalogazione e di confisca dei beni ecclesiastici [Troilo, 2005]. A differenza dell’«istanza razional-centralizzatrice» promossa dal neonato stato italiano verso le antichità e le belle arti, ovvero le opere architettoniche e pittoriche, le sculture e i reperti archeologici dopo l’Unità [Troilo, 2005, p. 29], la giovane nazione lasciò in gestione agli istituti d’istruzione superiore e universitaria l’eterogeneo patrimonio storico-scientifico, fatto di «cose» dallo status incerto appartenenti al mondo della scienza e della natura ma anche dell’arte. Durante tutta l’epoca liberale, le collezioni scientifiche e naturalistiche dimorarono così in uno stato di abbandono, disperse in luoghi non specificatamente museali, come università, istituti tecnici e licei, ospedali, gabinetti scientifici e osservatori astronomici, in «musei-deposito» o persino abbandonati in sale polverose, cantine e soffitte, e spesso usati per scopi didattici [Canadelli, 2011, p. 867-879].

Il ministero della Pubblica istruzione, guidato da Casati e, dal gennaio 1925, da Pietro Fedele, tornò dunque a sollecitare l’Ateneo affinché integrasse le informazioni inviate come promesso da Lucatello. La risposta di Padova si fece attendere. Solo dopo numerosi solleciti [AGAAR, 1924h] [AGAAR, 1926a] [AGAAR, 1926b] [AGAAR, 1926c] [AGAAR, 1926d], nel dicembre 1926, il professore di geodesia e prorettore Emanuele Soler integrò la lista inviata nel 1924 con un secondo elenco, anch’esso frutto della collaborazione dei direttori degli istituti (Documento 3). Soler si fece tuttavia più selettivo e non incluse un busto in gesso raffigurante il medico Beniamino Luzzatto (1850-1893) [AGAAR, Pari, 1924]; ignorò le indicazioni del direttore dell’Istituto e laboratorio di fisica, verosimilmente troppo generiche, circa la presenza di materiale storico-scientifico «ammassato in alcune stanze, in attesa che in seguito alla costruzione di [un] nuovo Istituto di Fisica, po[tesse] essere ordinato in modo decoroso» [AGAAR, Vicentini, 1924]. Su proposta dei direttori della Clinica ostetrica e ginecologica e dell’Istituto di anatomia patologica, vennero inclusi strumenti antichi e collezioni anatomiche, tra cui «preparati di anatomia genitale muliebre in terra cotta ed in cera» [AGAAR, Bertino, 1924], «otto bellissimi esemplari di sarcomi delle ossa» considerati «fra i più belli delle collezioni anatomo-patologiche dei musei d’Europa», e opere d’arte visiva annoverate per la loro «importanza pittorica» e iconografia – oli raffiguranti il Morgagni, i patologi Rudolf Virchow (1821-1902) e Karl von Rokitansky (1804-1878) [AGAAR, Cagnetto, 1924]. Infine, l’elenco includeva La suicida punita dagli aspidi, ovvero il preparato anatomico realizzato da Lodovico Brunetti (1813-1899), cattedratico di Anatomia patologica a Padova dal 1869 al 1887 e che, esposto congiuntamente a una sessantina di altri suoi preparati all’Esposizione universale di Parigi del 1867, gli valse il Gran prix [Zampieri, Zanatta, Rippa Bonati, 2011-2012].Anche il secondo elenco non sembrò fare chiarezza sui criteri da utilizzarsi per definire il patrimonio storico-scientifico. Anzi, accentuò il labile confine tra artefatti scientifici e artistici, come esemplificato dal preparato anatomico di Brunetti e definito dallo stesso professore un esempio di anatomia artistica.

Il complesso riconoscimento dei beni storico-scientifici come patrimonio culturale

Come già discusso dagli studi esistenti, sebbene la circolare di Gentile rappresentasse un passo importante verso il riconoscimento del patrimonio storico-scientifico italiano, essa non incise né sulla sua gestione né sulla sua legislazione. La legge 1° giugno 1939, n. 1089, riguardante la Tutela delle cose d’interesse artistico o storico, più nota come legge Bottai, non includeva il patrimonio storico-scientifico. Si dovrà attendere l’Italia Repubblicana per una svolta legislativa. La legge 13 luglio 1954, n. 558, introduceva la figura degli ispettori onorari – auspicati da Corsini negli anni Venti – per lo studio e tutela dei beni di particolare interesse per la storia della scienza e della tecnica. A più di quarant’anni di distanza, seguirono il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali del 1999, che includeva oggetti e strumenti afferenti alla storia della scienza e della tecnica con più di cinquanta anni, e il Codice dei beni culturali e del paesaggio (il Codice Urbani) del 2004, la cui applicazione si estendeva anche a collezioni naturalistiche e scientifiche [Canadelli, 2011, p. 883-893].

Come gli scambi intercorsi tra il ministero e l’ateneo patavino qui presentanti esemplificano, il governo ha per lungo tempo demandato agli istituti d’istruzione superiore il censimento del patrimonio storico-scientifico italiano. In assenza di una cornice legislativa, iniziative volte alla mappatura e inventariazione dei beni storico-scientifici, promosse dal regime fascista così come da istituti di ricerca e musei, cercarono non solo di porre rimedio all’oblio in cui il patrimonio della scienza giaceva ma anche di definirne i contorni. Tre anni dopo la circolare di Gentile, Pietro Fedele emanò il Regolamento per la custodia, conservazione e contabilità del materiale artistico, archeologico, bibliografico e scientifico, che invitava musei, università e istituti scientifici a inviare rapporti annuali circa lo stato delle collezioni scientifiche e naturalistiche, la loro provenienza, ubicazione e valore economico [Canadelli, 2011, p. 883] [Canadelli, 2024, p. 18]. Il progetto di catalogazione ragionata del patrimonio storico-scientifico, caldeggiato da Corsini e dal Gruppo fiorentino ad inizio anni Venti, venne intrapreso solo in occasione della Prima Esposizione nazionale di storia della scienza, tenutasi a Firenze nel 1929, con l’avvio della redazione del cosiddetto Grande Catalogo-Repertorio di storia della scienza. Maria Luisa Bonelli e Pietro Pagnini, conservatori del Museo di storia della scienza nato sulla scia dell’esposizione, completeranno il catalogo nel 1952, concentrandosi però solo sugli strumenti scientifici esposti nella mostra del 1929 [Istituto e museo di storia delle scienze, 1952] [Barreca, 2022, p. 92-109]. Nel frattempo, il Consiglio nazionale delle ricerche, nato nel 1923, incaricò il chimico Guido Provenzal di redigere la Raccolta documentaria dei primati scientifici italiani in occasione della partecipazione italiana all’Esposizione universale di Chicago del 1933 [Paoloni, Reali, Ronzon, 2018]. Dopo la guerra, l’impeto catalogatore non si esaurì. Guido Gonella, ministro della Pubblica istruzione dal 1946 al 1951, promosse la redazione dell’inventario mondiale degli strumenti tecnici e scientifici di interesse storico come richiesto dall’International Council of Museums (ICOM) nel 1948 – progetto che sfociò nell’Inventaire des instruments conservés en Italie pubblicato dal Museo nazionale della scienza e della tecnica (oggi tecnologia) nel 1961 con la collaborazione della Bonelli [Canadelli, 2024, p. 20-22].

Grazie al cambiamento di scala di analisi, i documenti qui commentati e trascritti mostrano come il ritardo legislativo e politico nella formulazione di una politica culturale della scienza sembri risiedere, più che nella noncuranza, nella complessità insita nell’identificazione del patrimonio storico-scientifico. Di fronte al lungo silenzio legislativo, sono stati gli sforzi di catalogazione della cultura materiale della storia della scienza intrapresi a livello locale a svolgere un ruolo chiave nel tentativo di definire il patrimonio storico-scientifico. Sono dunque stati gli attori locali a contribuire alla sua inclusione nella categoria più ampia di patrimonio culturale. Questi sforzi si sono però scontrati con una definizione di patrimonio culturale schiacciata sulle belle arti, come dimostra l’elenco del patrimonio immobile universitario inviato dall’Ateneo al ministero. La varietà del patrimonio storico-scientifico, fatto di strumenti, cimeli, esemplari naturalistici e «cose» dallo status incerto, oggetti d’arte che vengono assimilati al regno della scienza, come a Padova i ritratti dei medici o La suicida punita dagli aspidi di Brunetti, nonché il valore d’uso di molte delle tracce materiali della cultura scientifica, rendono inoltre più difficile definirne i contorni. Le curiose attribuzioni operate dai direttori degli istituti padovani illustrano così la natura dissonante del patrimonio storico-scientifico e la continua risemantizzazione a cui è sottoposto a seconda dei contesti, dei periodi storici e degli sguardi posati su di esso nonché il labile confine tra «cose» di scienza e «cose» d’arte.

L’eterogeneità del patrimonio storico-scientifico e la difficoltà insite nella determinazione dei suoi confini hanno dunque posto delle sfide non solo sul piano legislativo e delle politiche culturali ma anche nella gestione, cura e mediazione delle collezioni scientifiche e naturalistiche. Queste sfide non sembrano essersi esaurite nel presente. I custodi delle collezioni scientifiche e naturalistiche sono chiamati a dare vita a progetti capaci non solo di tutelare il patrimonio della scienza ma anche di valorizzare le molteplici storie che racchiude e la sua intrinseca interdisciplinarità [Alberti, 2017]. I documenti qui presentati mostrano infatti come il patrimonio storico-scientifico include non solo beni storico-scientifici stricto sensu come strumenti scientifici, preparati anatomici ed esemplari scientifici usati per ricerca e didattica ma interseca altri patrimoni come il patrimonio storico-artistico e architettonico. Se la catalogazione del patrimonio e la conseguente distinzione tra diversi nuclei patrimoniali sono fondamentali a fini conoscitivi, di tutela, valorizzazione, gestione e cura, i documenti patavini suggeriscono la potenziale fertilità di un dialogo interdisciplinare tra il patrimonio storico-scientifico e quello storico-artistico, entrambi tracce materiali e immateriali dei modi in cui donne e uomini hanno interrogato il loro rapporto con la storia e la natura.

Documenti

Documento 1. Circolare n. 8. Tutela del materiale storico-scientifico, «Ministero della Pubblica Istruzione. Bollettino ufficiale I. Leggi, regolamenti e disposizioni generali», 12 febbraio 1924, n. 7, p. 442-443.

Ai Rettori delle Regie università;

Ai direttori degli Istituti superiori d’istruzione;

Come è noto a V.S., alla tutela delle opere artistiche che presentano particolare interesse storico, questo Ministero provvede applicando le disposizioni contenute nella legge 20 giugno 1909, n. 364, e, per mezzo degli uffici regionali, stabilisce, su di esse, un vincolo, in modo da garantirsi contro ogni eventuale manomissione ed esodo all’estero delle raccolte stesse. Analogamente avviene per il materiale bibliografico, alla cui tutela provvedono le Sopraintendenze bibliografiche istituite presso le 12 Biblioteche più importanti del Regno.

Poiché le norme, contenute nell’articolo primo della succitata legge 20 giugno 1909, possono, per analogia, essere applicabili anche al materiale scientifico, prego la S.V., affinché io possa predisporre gli opportuni provvedimenti da adottarsi per la tutela di esso, di indicarmi il materiale scientifico di particolare interesse, che sia a sua conoscenza, e cioè:

1° di tutti gli oggetti mobili ed immobili che presentino carattere storico-scientifico, e delle località del territorio nazionale, la cui conservazione risponda ad un pubblico interesse per la natura paleontologica che esse presentano in rapporto alle finalità scientifiche e culturali;

2° di tutte le collezioni aventi una speciale importanza per gli studi della zoologia, della botanica, della geologia, della mineralogia, ecc., degli istrumenti, degli apparecchi ed oggetti particolarmente interessanti nel campo storico-scientifico, che siano presso Università, comunque ad esse pervenute per lasciti, donazioni, ecc., presso Enti pubblici ed ecclesiastici e presso privati.

Roma, 1° febbraio 1924.

Il Ministro: GENTILE.

Documento 2. Padova, Archivio generale di Ateneo, Archivio del Novecento, Atti del Rettorato, 1925 e 1926, busta 144, posizione 12: Stabilimenti scientifici (parte generale), 12/B: Tutela del materiale storico scientifico, Minuta del Rettore Luigi Lucatello al ministero della Pubblica istruzione, Direzione Generale Istruzione superiore, 26 settembre 1924.

Gli immobili di questo Ateneo rimarchevoli per importanza storica od artistica sono i seguenti:

Il Palazzo centrale dell’Università, costruito in più tempi, che durarono dal 1559 al 1601. In esso meritano speciale menzione:

Il cortile, giudicato la migliore architettura di stile classico che abbia la città di Padova;

Gli stemmi, scolpiti o dipinti, che costituiscono la più copiosa e interessante raccolta araldica d’Italia;

L’Aula Magna splendida sala quadrata tappezzata pure di stemmi, la quale è destinata alle solennità accademiche;

L’antico teatro anatomico, il primo del genere costruito in Europa, inaugurato nel 1584;

Il portone in bronzo, monumento a perpetuo ricordo dei 200 studenti caduti nell’ultima guerra, inaugurato nel giugno 1923.

Il Palazzo Capodivacca, acquistato nel 1813 e subito ricongiunto col palazzo universitario. È elegante costruzione del secolo XV.

La Casa Cavalli, settecentesca presso le Porte Contarine, occupata ancora dalla Scuola d’Ingegneria, ma presto sede dell’Istituto di Geologia. Ha una splendida scala e una grande aula artistica.

L’Orto botanico, fondato nel 1545, il primo del mondo istituito a scopo scientifico e didattico. È interessante oltreché che per il valore storico, per la sua speciale architettura e per la vetustà delle piante, alcune delle quali datano dalla sua fondazione.

L’Osservatorio astronomico, costruito con lavori che durarono dal marzo 1767 al maggio 1777 sull’angolo sud-occidentale dell’Antico Castello di Padova (1242).

La grande Sala dei Giganti in un edifico sede di alcuni Istituti della Facoltà di Filosofia e Lettere e della sovrintendenza ai Monumenti del Veneto. Apparteneva all’antico palazzo della Reggia Carrarese. Ha affreschi e iscrizioni del secolo XVI. Vi è fra altro un ritratto in fresco del Petrarca dipinto nel secolo XIV.

Circa il materiale mobile storico-scientifico vengono segnalati dai Capi degli Istituti i seguenti oggetti:

La cattedra di Galileo.

La quinta vertebra lombare di quel Sommo.

Le cattedre (seggioloni) che servirono al Fabrici ed al Morgagni.

24 quadri ritratti ad olio degli anatomici (nell’Istituto d’Anatomia normale).

La tavola in rame, fatta incidere dal Wirsüng, per la dimostrazione del condotto pancreatico (nello stesso Istituto).

Una cassetta ad uso di dimostrazione scolastica dei semplici della II metà del Settecento (nell’Istituto di Materia medica).

Una macchina elettromagnetica per uso medico: rappresenta uno degli esemplari più antichi del genere (nello stesso Istituto).

Tra le piante coltivate nell’Orto botanico è di particolare interesse la cosidetta Palma di Goethe, un magnifico esemplare di Chamaerops humilis, [che è] stato studiato dal Goethe nel 1787 che ne trasse materiali per i suoi studii di morfologia vegetale.

Tra le collezioni lo stesso Orto conserva l’erbario dalmatico di de Visiani, la collezione che servì di base per la prima e più importante flora della Dalmazia, l’erbario micologico del Saccardo, di recente acquisto da parte di codesto Ministero.

Un grande valore scientifico per numero e varietà degli esemplari rappresentano le raccolte paleontologiche del Museo annesso all’Istituto di Geologia, per la massima parte provenienti dalla Regione Veneta. Il numero complessivo degli esemplari può valutarsi a 30.000 lire circa.

[…, ndr parte cancellata]

Quanto a collezioni ed ad oggetti di pregio appartenenti ad Enti pubblici ed a privati, mi vengono indicati:

Gli erbari del Museo civico di Verona, quelli del Museo civico e delle scuole medie di Vicenza, del Museo civico di Trieste e quelli conservati nel R. Istituto Veneto di Scienza, Lettere ed Arti di Venezia.

L’erbario Huter conservato nel Seminario di Bressanone e l’erbario Porta del seminario di Trento sono stati costituiti da due tra i più rinomati botanici raccoglitori dell’ultimo cinquantennio.

Il giacimento a pesci fossili del Monte Bolca (Verona). I materiali fossili che provengono da detto giacimento sono veramente importanti e meritevoli d’esser messi sotto la tutela delle leggi per impedirne o vigilarne la esportazione all’estero.

Il chiar. Prof. Giuseppe Albertotti raccomanda la tutela dell’affresco di Tommaso di Modena nel Capitolo di San Nicolò di Treviso rappresentante l’occhialuto Frate Card. Ugone di Provenza. In tale affresco il Prof. Albertotti richiamò già l’attenzione di codesto Ministero, essendoché quelli inforcati sul naso del prefato Cardinale Ugone sono i più antichi occhiali dipinti che si conoscono (v. figura allegata).

Attendo da altri capi d’Istituto scientifico notizie su materiale di interesse storico o di pregio speciale posseduto e appena mi sarà possibile completerò subito le informazioni date con la presente a codesto Ministero.

Il Rettore

L. Lucatello

Documento 3. Padova, Archivio generale di Ateneo, Archivio del Novecento, Atti del Rettorato, 1925 e 1926, busta 144, posizione 12: Stabilimenti scientifici (parte generale), 12/B: Tutela del materiale storico scientifico, Minuta del prorettore Emanuele Soler al ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Superiore, 15 dicembre 1926.

Oggetto: Tutela del materiale storico-scientifico.

Sciogliendo la riserva fatta nella lettera 26 settembre 1924 N. 2458 comunico al Ministero un secondo ed ultimo elenco di oggetti di importanza storico-scientifica:

Nella Clinica Ostetrico ginecologica:

collezione di preparati di anatomia genitale muliebre in terra cotta ed in cera, acquistata a Bologna dal prof. Calza che insegnò in questo Ateneo dal 1765 al 1784.

Armamentario ostetrico storico contenente oltre 9 strumenti antichi comuni, qualche strumento che ha importanza storica.

Nell’Istituto di Anatomia Patologica:

Quadro ad olio raffigurante il Morgagni (Valore L. 300.--)

Quadro ad olio raffigurante Virchow (Valore L. 100.--)

Quadro ad olio raffigurante Rokitansky (valore L. 100.--)

“La donna punita dagli aspidi” – Fantasia in cera – busto grandezza naturale – lavoro del prof. Brunetti citato nelle guide artistiche (Valore L. 1.500.--)

Otto bellissimi esemplari di sarcomi delle ossa – fra i più belli delle collezioni anatomo-patologiche dei musei d’Europa (Non valutabili).

Tredici esemplari di scheletri teratologici, fetali, umani (ottime conservazioni a secco. (Non valutabili)

Dalle ricerche fatte non sono risultati altri oggetti di un’importanza storica o artistica oltra a quelli comunicati al Ministero in questo e nel presedente elenco.

Il Prorettore

E. Soler