Paolo Mazzarello. Storia avventurosa della medicina
Università di Padova luca.tonetti@unipd.it
pp. 461, €22,00. Neri Pozza Editore, Vicenza, 2023 ISBN: 978-88-545-2393-7
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La grave crisi di fiducia che vive la medicina del nostro tempo ha radici molto profonde. La pandemia, con le sue ricadute socio-economiche e culturali, ci ha lasciati paradossalmente più scettici nei confronti della comunità scientifica, più dubbiosi anche rispetto alla terzietà e alla trasparenza della ricerca. L’immagine pubblica della scienza ne è uscita quindi sensibilmente compromessa, complice anche una comunicazione giornalistica distorta.
In chiusura della sua prefazione all’edizione tascabile di Epidemics & Society (si veda la traduzione italiana, Storia delle epidemie. Dalla Morte Nera al Covid-19, Gorizia, LEG Edizioni, 2020), lo storico Frank M. Snowden si chiede se il mondo, una volta terminata l’emergenza, possa tornare a un atteggiamento di ‘amnesia sociale’ o se al contrario sia capace di sviluppare strategie nuove e sostenibili per affrontare le potenziali crisi future. Queste strategie dovrebbero includere un serio programma di investimento per la ricerca scientifica, il potenziamento delle infrastrutture sanitarie, il consolidamento delle collaborazioni a livello internazionale (per la condivisione dei dati e il trasferimento tecnologico), la difesa di un’informazione scientifica di qualità, accessibile e imparziale. In questo quadro così complesso, cosa potrebbero offrire le scienze umane e, in particolare, la ricerca storica?
Il libro di Paolo Mazzarello, professore ordinario di storia della medicina all’Università di Pavia, da anni impegnato nella divulgazione storico-scientifica, sembra indirettamente rispondere a questa domanda. Obiettivo di Storia avventurosa della medicina non è quello di rivendicare, acriticamente, i successi della medicina, ma di accompagnare il lettore nella complessità della ricerca, tracciando una storia fatta sì di successi, ma anche di fallimenti, tentativi, errori, ed ostacoli. Quello delineato da Mazzarello è infatti «un cammino non convenzionale della medicina, una lunga catena di vicende epiche, di grandezza e miseria» (p. 7), un intreccio di storie, ognuna con un proprio registro narrativo, che si intersecano, deviano o scompaiano, come tanti rivoli e affluenti di un unico fiume, per riprendere la metafora ispiratrice del libro.
Dodici i macrotemi selezionati da Mazzarello, che spaziano dalla grande sfida della dissezione anatomica (p. 9-36), con cui significativamente si apre il volume, agli sviluppi del concetto di salute e malattia e quindi al modo in cui sono cambiati nelle varie epoche i limiti e i confini del ‘normale’ e del ‘patologico’, dal modello umoralista ippocratico alla moderna patologia molecolare (pp. 37-69); dal racconto della ‘scoperta’ della circolazione sanguigna e linfatica, attraverso la ricostruzione dettagliata delle esperienze che l’hanno resa possibile nonché delle vicende biografiche dei protagonisti coinvolti (p. 70-92), all’avvento della teoria microbiologica (p. 93-137) che ha letteralmente rivoluzionato il modo di comprendere l’eziologia delle malattie infettive, non senza sensibili ricadute epistemologiche, oltre che cliniche. Il dibattito generato dai cosiddetti ‘postulati di Henle-Koch’, rivelatisi presto troppo rigidi, ha infatti condotto negli ultimi anni a un ripensamento radicale dei rapporti di causalità in medicina, in direzione di una ‘eziologia multipla’ (su questo, si veda anche Paolo Mazzarello, Il potere esplicativo delle regole: il caso dei postulati di Koch, «Medicina nei Secoli», 16, no. 2 (2004), p. 293-316) che riconosce nella determinazione di una condizione morbosa una molteplicità di fattori causali, non da ultimi quelli ambientali. Richiamando il fenomeno del ‘salto di specie’ (spillover) e il suo ruolo nella manifestazione delle zoonosi, Mazzarello sottolinea lo stretto legame tra responsabilità dell’uomo, cambiamenti ambientali e rischio pandemie: «turbare brutalmente gli equilibri ecologici – scrive – può sprigionare forze imprevedibili e dalle nefaste conseguenze che impongono con urgenza una ridefinizione meno predatoria delle relazioni finora quasi solo opportunistiche che l’uomo ha imposto alla natura» (p. 137).
I capitoli successivi sviluppano da diverse angolature, soprattutto sul piano clinico e terapeutico, il problema della prevenzione, contenimento e trattamento delle malattie infettive. La storia della vaccinazione (p. 138-170), come metodo preventivo (ma anche curativo), ha incrociato sul finire del XIX secolo le tappe che hanno condotto alla scoperta del sistema immunitario e alla nascita dell’immunologia come branca speciale della medicina e della biologia che studia i meccanismi di difesa dell’organismo contro agenti patogeni esterni ma anche i casi anomali in cui queste stesse risposte agiscono contro il corpo. Proprio attorno a questi complessi meccanismi di discriminazione tra il self e non-self, che spiegano la specificità della risposta del sistema immunitario nei confronti dell’agente estraneo, si definirebbe il confine del ‘sé’ corporeo e quindi la costruzione dell’identità biologica: «il sistema immunitario si configura dunque come il maggior guardiano dell’individualità biologica, vera centrale di controllo lungo la ‘frontiera’ corporea del flusso di elementi estranei, sorta di guardia di confine preposta al controllo dei ‘passaporti’ in entrata nel territorio sorvegliato» (p. 170). Soluzioni farmacologiche capaci di controllare o sopprimere all’occorrenza la risposta immunitaria si sono rivelate cruciali nel trattamento delle malattie autoimmuni e nello sviluppo della chirurgia dei trapianti. Negli ultimi anni il filosofo Thomas Pradeu, seguendo le tracce di un dibattito già avviato in precedenza da Alfred I. Tauber, ha però provato a mettere in discussione la distinzione self/non-self, in altri termini la validità della metafora del sé, perché non in grado di spiegare efficacemente casi-limite come la tolleranza immunitaria o il chimerismo (si veda Alfred Tauber, The Immune Self. Theory or Metaphor?, Cambridge, Cambridge University Press, 1994; Thomas Pradeu, The Limits of the Self: Immunology and Biological Identity, Oxford, Oxford University Press, 2019).
È interessante sottolineare che l’introduzione delle prime tecniche di asepsi e di antisepsi (pp. 171-219), che si rivelarono fondamentali per l’igiene e la prevenzione delle infezioni, soprattutto in ambiente ospedaliero, risale alla metà del XIX secolo, ben prima del contributo di Pasteur e Koch alla definizione di una teoria microbiologica delle malattie infettive. Mazzarello dà voce alle intuizioni di Ignác Semmelweis (1818-1865) sull’importanza del lavaggio delle mani, di John Snow (1813-1858) sulla funzione degli studi di distribuzione dei casi nella localizzazione e nel contenimento delle fonti di contagio, di Joseph Lister (1827-1912) sull’uso dell’acido fenico come trattamento antisettico in chirurgia, non senza riconoscere, in tutti questi casi, anche il ruolo di attori invisibili (secondo una tradizione storiografica ormai consolidata) o apparentemente secondari, come quello del chirurgo Enrico Bottini (1835-1903), tra i primi a sperimentare l’acido fenico in chirurgia e in tassidermia. L’ideale della ‘purezza’ e della sterilità divenne presto un tratto distintivo della pratica medica. Il camice bianco, introdotto tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, rappresenta non solo un dispositivo di protezione individuale ma anche uno strumento attraverso cui si costruisce l’identità del medico, la sua autorevolezza e senso di appartenenza: «un simbolo potente della professione medica, della sua eccezione, della sua dignità, della sua vicinanza curativa, ma anche della sua distanza imperscrutabile» (p. 219). Furono però le prime sperimentazioni di chemioterapia antinfettiva (pp. 220-268), dai sulfamidici fino alla rivoluzione degli antibiotici, a dotare la medicina di nuove armi per combattere concretamente le infezioni, sebbene l’idea di una ‘terapia farmacologicamente mirata’, il mito del ‘proiettile magico’ di Paul Ehrlich (1854-1915), in grado di colpire l’agente patogeno senza danneggiare l’organismo ospite, si sarebbe in breve tempo scontrata con la scoperta che anche i ceppi microbici sono soggetti a meccanismi di evoluzione e che la pressione selettiva, indotta dall’uso continuo ed inappropriato degli antibiotici, produce fenomeni di resistenza: nell’ «ininterrotto grande e pericoloso gioco della vita», come scrive Mazzarello, anche i presunti proiettili magici di Ehrlich devono quindi «ripensarsi e aggiornarsi continuamente perché si rivolgono contro ‘bersagli mobili’ sempre rinnovati» (p. 268).
Ma altre ancora sono le antiche ‘chimere’ della medicina che gradualmente sembrano sgretolarsi di fronte agli sviluppi tecnologici e terapeutici del primo e del secondo Novecento e che Mazzarello prova a restituire nella loro complessità: il controllo della percezione del dolore in chirurgia attraverso la tecnica anestesiologica (p. 269-306); la rivoluzione della radiologia e di tutto il comparto della diagnostica per immagini (p. 307-334), fino alle nuove tecniche istochimiche e alla frontiera della neuroradiologia attraverso neuroimaging (p. 335-381), che consentono di isolare il correlato neurale di un’attività psichica nel suo farsi; il progresso delle conoscenze sulla biologia della riproduzione e della loro applicazione nel trattamento della sterilità (p. 382-404); e infine la scoperta dell’insulina come fattore determinante nell’insorgenza di una delle principali patologie metaboliche croniche, il diabete (p. 405-431). Ciascuna di queste tappe ha cambiato profondamente il volto della medicina ma ha posto importanti sfide dal punto di vista etico, giuridico e filosofico, come Mazzarello ricorda in ogni capitolo.
In questa ‘sequenza di idee-chiave’ ritroviamo personalità particolarmente care alla ricerca di Mazzarello, come Agostino Bassi (1773-1856), che per primo intuì che le dinamiche di propagazione del ‘mal del segno’ negli allevamenti del baco da seta potevano essere generalizzate a tutte le tipologie di contagio (si veda Paolo Mazzarello, Clementina Rovati, Il contagio vivo: Agostino Bassi nella storia della bachicoltura, Milano, Cisalpino, 2009); Carlo Forlanini (1847-1918), che propose una forma speciale di trattamento “iatromeccanico” della tubercolosi, lo pneumotorace artificiale, prescindendo dalle cause microbiche (si veda tra gli altri, Paolo Mazzarello, A Physical Cure for Tuberculosis: Carlo Forlanini and the Invention of Therapeutic Pneumothorax, «Applied Sciences», 10, no. 9 (2020), art. 3138, https://doi.org/10.3390/app10093138); e in particolare Camillo Golgi (1843-1926), che con la sua procedura istologica, la reazione cromoargentica (anche nota come ‘reazione nera’), diede un contributo decisivo allo studio dell’organizzazione del sistema nervoso centrale (si veda Paolo Mazzarello, Il Nobel dimenticato. La vita e la scienza di Camillo Golgi, Torino, Bollati Boringhieri, 2006 (2019); ma anche M. Bentivoglio [et al.], The Original Histological Slides of Camillo Golgi and His Discoveries on Neuronal Structure, «Frontiers in Neuroanatomy», 13, no. 3 (2019), https://doi.org/10.3389/fnana.2019.00003).
Storia avventurosa della medicina intercetta un interesse crescente del lettore italiano tanto per le ‘storie alternative’ della medicina (si pensi ad esempio al libro di Silvia Bencivelli, Eroica, folle e visionaria. Storie di medicina spericolata, Torino, Bollati Boringhieri, 2023) quanto per gli ‘ingranaggi’ del ragionamento scientifico. A partire dall’ormai classico manuale di Alessandro Pagnini (a cura di), Filosofia della medicina, Epistemologia, ontologia, etica, diritto (Roma, Carocci, 2010), il panorama della filosofia della medicina in Italia si è gradualmente arricchito, negli ultimi anni, di testi introduttivi pensati per esplorare questioni cruciali come i concetti di malattia e di salute da un lato e i fondamenti del metodo scientifico nella ricerca biomedica dall’altro (si veda Maria Cristina Amoretti, Filosofia e medicina, Roma, Carocci, 2015; Elisabetta Lalumera, Medicina e metodo sperimentale. Un’introduzione filosofica, Bologna, Società Editrice Esculapio, 2021, per citarne solo alcuni). Temi come il rapporto tra causalità e associazione, la struttura del disegno sperimentale, la distinzione tra studi osservazionali e studi sperimentali, fino al problema della gerarchia delle evidenze della Evidence-based medicine, senza poi considerare le articolate ricadute etiche e bioetiche, investono tutta la ricerca biomedica contemporanea, ma sono il frutto di un lungo percorso. Può allora la loro contestualizzazione storica, anche spostando l’attenzione sulle microstorie, sulle traiettorie biografiche dei loro diversi protagonisti, aiutarci a comprendere, se non forse anche ad accettare, la complessità e l’incertezza della medicina di oggi e a ripensare le nostre aspettative?
Nella sua prefazione Mazzarello spiega che il suo libro esplora «la molteplicità camaleontica della vita perché niente come la sofferenza e i tentativi di domarla ha la capacità di proiettarci nel nucleo incandescente di quello che siamo» (p. 8). È in questo senso che questa Storia avventurosa della medicina «riguarda ognuno di noi». Ma allo stesso tempo, si tratta di una storia inevitabilmente incompleta, non solo perché ritaglia – come ammesso dallo stesso autore – una catena di eventi tra le molte possibili, ma anche perché è ‘aperta’ al continuo divenire della medicina stessa. «Qualcosa di nuovo» ci attende, scrive infatti Mazzarello nel post scriptum (p. 432), una «profonda rivoluzione» per la medicina e per l’arte del curare, ma anche per questo una nuova sfida che, nella misura in cui investe e investirà le nostre vite, ci vede tutti coinvolti.