“Senza storia non c'è memoria”: spunti dalla storia della scienza e della matematica
Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute Università degli Studi di Torino elena.scalambro@unito.it
Received 14/12/2024 Accepted 30/12/2024 Published online 30/06/2025
L’autrice è membro del gruppo GNSAGA dell’INdAM e desidera ringraziare tutti coloro che, a vario titolo, hanno promosso la realizzazione dei percorsi educativi presentati in questo lavoro: C. Bonino, P. Candido, G. D’Alisa, F. De Bernardi, B. Fant, D. Favale, I. Galiano, S. Garassino, E. Luciano, N. Maressa, E. Pacchioli, G. Pintaudi, E. Zerbinati.
Abstract
Occorre riflettere sull’importanza dell’educazione alla Memoria per preservare l’autentico significato della Giornata della Memoria e garantire che le nuove generazioni non dimentichino la lezione della Shoah, a maggior ragione in occasione dell’80° anniversario della Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. In una società multiculturale come la nostra, emerge con forza la crescente necessità di educare gli studenti all’antirazzismo. A tal fine, vengono presentati itinerari didattici adatti alle scuole secondarie di primo e secondo grado, che si avvalgono della storia della scienza e della matematica per promuovere e facilitare la riflessione su temi legati alla discriminazione. Attraverso queste attività, si evidenzia come la didattica delle discipline scientifiche, con il loro prezioso corredo storico, possa contribuire a promuovere il rispetto dell’alterità e a sensibilizzare le nuove generazioni alla dignità umana, favorendo una società più giusta e rispettosa della diversità.
English abstract
It is essential to reflect on the importance of education in Remembrance to preserve the true significance of Holocaust Remembrance Day and to ensure that future generations do not forget the lessons of the Shoah, especially in light of the 80th anniversary of the Liberation of Auschwitz. In our multicultural society, the need to educate students in anti-racism is increasingly urgent. To this end, we present educational pathways tailored for lower and upper secondary schools, using the history of science and mathematics as frameworks to promote and facilitate reflection on issues related to discrimination. These activities demonstrate how teaching scientific disciplines, enriched by their valuable historical context, can contribute to fostering respect for diversity and raising awareness among new generations about human dignity, thereby supporting a more just and inclusive society.
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Introduzione: educare alla Memoria
A distanza di ottant’anni dalla liberazione del campo di concentramento di Auschwitz (27 gennaio 1945) e a un quarto di secolo dall’introduzione della Giornata della Memoria, occorre ripensare al suo significato più autentico e alla sua ricaduta all’interno del mondo scolastico e della società, affinché si scongiuri il rischio di farla diventare una semplice data all’interno di un calendario sempre più fitto di ricorrenze di vario genere.
Il Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, istituito con la legge 211 del 20 luglio 2000, ci ricorda la necessità del trasmettere alle nuove generazioni la consapevolezza degli orrori dell’Olocausto e delle discriminazioni che hanno colpito milioni di persone. Attraverso il racconto della storia e delle testimonianze di chi ha vissuto la persecuzione, gli studenti di oggi possono diventare consapevoli non soltanto dei fatti, ma anche dell’importanza dei valori di giustizia, rispetto e tolleranza. Insegnare il valore della Memoria può contribuire a far sì che gli errori del passato non si ripetano e che i diritti umani, la pace e la dignità di ogni individuo vengano sempre più rispettati. La scuola, in questo senso, può diventare uno spazio di crescita e sensibilizzazione per futuri cittadini più consapevoli e responsabili. Lo stesso provvedimento legislativo con cui viene istituito il Giorno della Memoria insiste sull’urgenza di promuovere iniziative «nelle scuole di ogni ordine e grado su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere» (art. 2).
Questa giornata può dunque rappresentare una preziosa occasione per riflettere su come l’indifferenza e l’odio possano sfociare in tragedie collettive e su come sia necessario combattere ogni forma di razzismo e discriminazione per costruire una società più giusta e inclusiva. Essa, inoltre, ben si inserisce nel solco più ampio dell’educazione all’inclusione e all’antirazzismo, compito affidato alla scuola anche dall’agenda ONU 20/30 del settembre 2016 in relazione allo sviluppo della cittadinanza globale, che rappresenta una delle sfide più complicate del nostro sistema educativo.
Per ottenere risultati duraturi, è cruciale che alle molteplici iniziative di carattere episodico (Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, Settimana d’azione contro il razzismo, organizzata dall’UNAR ecc.) si affianchino percorsi ed esperienze educative continue, in cui la Memoria sia valorizzata attraverso approcci multidisciplinari, con l’obiettivo di diffonderla e attualizzarla. Le pratiche didattiche ormai consolidate sulla Shoah offrono un quadro teorico utile per progettare attività formative che, attraverso la conoscenza di ciò che è stato, aiutino le nuove generazioni a riconoscere e contrastare i segni malevoli dell’intolleranza e del disagio sociale, oggi inevitabilmente acuito dalla crescita dei flussi migratori e dalle persistenti difficoltà economiche tra la popolazione italiana. Le linee guida Per una didattica della Shoah a scuola, elaborate dalla delegazione italiana dell’International Holocaust Remembrance Alliance nel 2017, promuovono un insegnamento interdisciplinare e transculturale sul razzismo, richiedendo un impegno congiunto di discipline quali storia, geografia, letteratura, filosofia, psicologia, scienze, antropologia, economia e altre ancora.
Quali sono le potenzialità della storia della scienza e della matematica?
La storia della scienza è intrinsecamente caratterizzata da un approccio trasversale e multidisciplinare, che abbraccia proprio quella dimensione interculturale cui si fa riferimento nelle linee guida appena citate. Di conseguenza, la ricerca storico-scientifica può validamente concorrere all’approfondimento della problematica razziale. Anche in virtù di quello che nell’immaginario collettivo è il loro linguaggio universale che trascende ogni razza e confine, le discipline scientifiche ben si prestano a declinare le tematiche antirazziste. La didattica di queste materie può dunque essere orientata ad approfondire e stimolare la riflessione sui concetti di razza, discriminazione e alterità.
Partendo dal presupposto che educare a convivere nella diversità è compito di tutti, l’attività di ricerca in storia della scienza può divenire, da questo punto di vista, non solo una forma di impegno sociale ma anche una componente importante dell’azione di contrasto ai moderni razzismi [Castelnuovo, 1997; Segre, 2018]. Un’efficace didattica della storia delle discipline scientifiche può infatti contribuire a disinnescare il ‘bias cognitivo essenzialista’ che sta alla base delle posizioni razziste delle nuove generazioni [Corbellini, 2020; Rutherford, 2020]. Recentemente, è stato posto l’accento sulla necessità di analizzare in prospettiva storica la relazione che intercorre tra razzismo, colonialismo e le pratiche e i materiali su cui questi fenomeni si sono costituiti, andando ad indagare la relazione con l’archeologia, le collezioni museali e le fonti visuali [Ghezzi, Falcucci, Pizzato, 2024].
Insegnare una teoria scientifica con tutto il suo corredo storico-concettuale di verità conseguite non serve soltanto a favorire una migliore comprensione sul piano delle specifiche procedure, ma a farla diventare parte integrante del patrimonio culturale. Alla funzione testuale-trasmissiva da sempre ricoperta dalla ricerca storico-scientifica va ad affiancarsi quella di strumento educativo e vettore di public engagement, volto a disarmare false argomentazioni, stereotipi e slogan spesso puerili, ma semplici, e perciò non privi di una loro efficacia.
In particolare, le trame della storia interna delle discipline scientifiche, intrecciandosi con le vicende e le traiettorie personali e professionali di chi le ha praticate, insegnate o coltivate, possono rendere le nuove generazioni consapevoli dell’uso strumentale che è stato fatto di discipline considerate per loro natura impermeabili ai condizionamenti ideologici. A tal proposito, basti ricordare che il razzismo di stato nel Reich tedesco e nell’Italia fascista, giustificato dal falso mito della purezza della razza, si avvalse largamente del supporto scientifico e della complicità di alcuni uomini di scienza per promuovere meccanismi e forme di discriminazione, sopruso e persecuzione, oltre che per pianificare e perpetrare programmi eugenetici e di sterminio. Gli orizzonti della ricerca storica in merito alla correlazione fra le scienze matematiche, statistiche, biologiche, mediche, psichiatriche e i razzismi non si esauriscono tuttavia con il Secolo Breve e, anzi, sono stati progressivamente estesi al breve e lungo periodo, in un’ottica di storia connessa, prendendo in considerazione il darwinismo sociale, i rapporti razzismo-colonialismo, scienza-apartheid ecc. La storia antica e recente delle discipline scientifiche può allora concorrere all’approfondimento di questa problematica. Esplorare il passato con quella razionalità tipica del pensiero scientifico e dell’argomentazione logico-deduttiva è particolarmente significativo in relazione a una società come la nostra, multietnica e multi-identitaria. Facendo tesoro delle esperienze nazionali e internazionali nel campo della didattica della storia della scienza, occorre favorire il coinvolgimento diretto di studenti e docenti attraverso il lavoro d’archivio e la ricerca in biblioteca, mostrando loro che lo studio della storia implica non solo la descrizione obiettiva di fatti ed eventi, ma anche l’immersione nell’universo dei loro protagonisti attraverso l’analisi critica dei documenti storici.
Alla luce di queste riflessioni, presentiamo alcuni spunti per attività e itinerari didattici che, opportunamente declinati in classe, possono contribuire a promuovere una riflessione consapevole e duratura sulla Memoria, a partire dalla storia della scienza e con una particolare attenzione alla storia sociale della matematica. Tramite la rilettura critica di alcuni aspetti della ricerca e dell’insegnamento della matematica e delle scienze durante la dittatura fascista (ideologizzazione della matematica, insegnamento del razzismo, …), docenti e studenti possono acquisire un’importante consapevolezza del passato che si rivela uno strumento essenziale per interpretare il nostro presente. Allo stesso tempo, percorsi didattici di questo tipo favoriscono l’integrazione e l’inclusione sociale e culturale degli alunni di fasce fragili.
Costruire la Memoria attraverso percorsi di Mission Memory
Un aspetto fondamentale per la diffusione della cultura della Memoria è il coinvolgimento attivo degli studenti, che può essere efficacemente stimolato attraverso la riscoperta di storie vicine al loro contesto geografico e culturale. In quest’ottica nascono i cosiddetti percorsi di Mission Memory, all’interno dei quali docenti e allievi possono riscoprire le traiettorie personali e professionali di colleghi perseguitati per motivi razziali e identitari, oppure approfondire la storia del proprio istituto scolastico, con particolare attenzione al contesto locale.
È questo il caso del Liceo “Peano-Pellico” di Cuneo dove, dopo aver ascoltato la testimonianza della famiglia Montanari, una delle più antiche famiglie ebraiche della città, ed essersi confrontati con lo studioso di ebraismo Alberto Cavaglion, gli studenti hanno privilegiato le vicende storiche legate al territorio. È dunque stato preso in esame l’impatto delle leggi razziali sulle comunità ebraiche di Cuneo e Saluzzo, senza però tralasciare un’analisi delle cause antiche e recenti dell’odio contro gli ebrei e la relazione con alcuni tratti peculiari della loro cultura (le scuole ebraiche, lo Judenwitze ecc.). Partendo da alcune ricerche d’archivio volte ad indagare le conseguenze delle leggi razziali sul territorio, gli studenti si sono concentrati sulla ricostruzione della biografia di Ugo Levi (1903-?), docente di matematica e fisica al Liceo-ginnasio “S. Pellico” di Saluzzo nel periodo storico considerato. Sospeso dall’insegnamento nel 1938, Ugo Levi riesce a salvarsi vivendo in clandestinità tra le montagne in Val Varaita, mentre la persecuzione razziale si trasforma in persecuzione delle vite (1943-1945). Non condivide dunque la triste sorte del fratello, il quale, insieme alla moglie, ai due figli e ad altri amici e conoscenti delle comunità ebraiche di Cuneo e Saluzzo, viene arrestato e deportato ad Auschwitz. Per ricostruire questa storia, gli studenti sono partiti dalla lettura del libro Even: Pietruzza della memoria: ebrei 1938-1945 di A. Muncinelli, a sua volta allieva presso il Liceo-ginnasio di Saluzzo negli anni Sessanta [Muncinelli, 2006]. Hanno poi condotto alcune interviste agli ex allievi di Ugo Levi per cercare di comprendere meglio alcuni aspetti della sua personalità di insegnante e il modo in cui fu segnato dall’ondata antisemita che travolse l’Italia fascista. Così risponde l’ingegner Beppe Segre, suo allievo nel secondo dopoguerra, alla domanda relativa a cosa raccontasse il professore a proposito di quel difficile periodo:
Quello che si sapeva di lui era semplicemente che era stato costretto a nascondersi e che si era salvato, al contrario di altri 30 ebrei arrestati a Saluzzo e deportati ad Auschwitz. Erano anni in cui non esisteva ancora il Giorno della Memoria, e nella scuola non si amava parlare del passato; nel nostro piccolo Liceo di provincia – per quanto mi possa ricordare – di Resistenza e di Shoà si parlava poco o niente, […]. Il professore stesso non amava parlare delle sue vicende. Lo ricordo concentrato a studiare un problema ed a formulare una domanda difficile, con la pipa perennemente accesa. Solo a volte emergeva qualche ricordo sofferente. Una volta la lezione su equazioni di 2° grado e ‘discriminante’ lo spinse ad accennare brevemente, con rabbia e disprezzo, a ‘discriminati’ […]. Noi, i suoi allievi, non capivamo, non sapevamo l’umiliazione di essere stato licenziato, noi non avevamo la minima idea di cosa significasse vivere per un anno e mezzo braccati come bestie dalle SS, con la paura continua di essere catturati e uccisi. Della strage della sua famiglia venni a conoscenza solo anni dopo […]. Di tutto questo, che allora ignoravamo, noi allievi avevamo avvertito soltanto, confusamente, che c’erano nel suo cuore fantasmi che non trovavano pace [1, 20 maggio 2025].
È stata inoltre condotta un’intervista ad un altro ex-allievo di Ugo Levi, Alberto Bosi, poi docente di storia e filosofia presso il medesimo istituto. Parlando del suo ex-insegnante di matematica e fisica, egli ricorda che «era preceduto da una fama di insegnante molto severo» e aggiunge:
Sul suo passato il prof. Levi non ci ha detto una parola. Sono contento di aver potuto capire qualcosa di più, in seguito, sulle sue terribili esperienze, che probabilmente spiegano molto del suo comportamento severo di allora.
Questo percorso ha così rappresentato un’occasione di avvicinamento tra gli insegnanti in servizio, quelli in pensione e gli studenti, portando anche a una riscoperta delle proprie radici. È stata inoltre creata una pagina web contenente i risultati delle ricerche e le riflessioni degli studenti, sia in forma scritta sia attraverso brevi video, con l’obiettivo di diffondere questo lavoro su scala più ampia, restituendo al territorio un pezzo della sua storia e contribuendo in modo attivo a fare Memoria [3, 20 maggio 2025].
Un altro esempio di Mission Memory è costituito dall’itinerario sviluppato presso l’IIS “Santorre di Santarosa” di Torino, prendendo le mosse dalla storia della scuola. Il suo edificio, infatti, rappresenta uno dei maggiori esempi di architettura fascista della città: è dotato di una torre littoria identica a quella del grattacielo di Piazza Castello, la piazza centrale del capoluogo piemontese, e alla torre dell’ex-stadio comunale. La struttura, eretta nel 1936 e originariamente denominata 6° Gruppo Rionale Fascista “Amos Maramotti” – in onore di un giovane squadrista ucciso nel 1921 durante l’assalto alla Camera del Lavoro di Corso Siccardi – fu finanziata dal noto industriale Vincenzo Lancia (1881-1938) e assolveva diverse funzioni. Oltre a fungere da circolo ricreativo, questa sede serviva come centro medico e sportivo, con il cortile utilizzato per esercizi ginnici e riunioni, e come luogo per il tesseramento dei fasci di combattimento. L’inaugurazione ‘ufficiosa’ si svolse alla presenza delle autorità cittadine, tra cui molti gerarchi rionali e Lancia, mentre l’inaugurazione ufficiale avvenne solo tre anni dopo, nel maggio del 1939, in occasione della visita di Mussolini a Torino. Sotto il regime, l’edificio divenne luogo di episodi di violenza, con pestaggi di antifascisti nella rotonda del seminterrato, soprattutto in occasione delle visite di autorità. Dopo la Liberazione, ospitò diverse organizzazioni fino al 1956, anno in cui vi fu trasferito l’Istituto Tecnico Femminile, precursore dell’attuale istituzione scolastica.
Dopo aver approfondito la storia della sede della scuola, gli studenti hanno ampliato il loro orizzonte a quanto accaduto, pressocché in contemporanea, presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali di Torino. Bisogna sottolineare che la comunità scientifica fu fra quelle più drammaticamente colpite dalle leggi razziali del 1938 [Israel, Nastasi, 1998; Israel, 2010]; nella sola Università di Torino, ben 9 professori ordinari e 47 incaricati furono allontanati dalle loro posizioni [Rinaldelli, 1998; Luciano, 2018]. Gli studenti hanno quindi approfondito le traiettorie di alcuni matematici rimossi dall’insegnamento presso l’ateneo torinese nell’autunno del 1938: Gino Fano (1871-1952), Guido Fubini (1879-1943), Alessandro Terracini (1889-1968) e Bonaparte Colombo (1902-1989). Infine, in un’ottica comparativa, è stata esaminata la ‘caccia alla cultura’ nella Germania nazista, a partire dalle celebri parole di David Hilbert. Si racconta, infatti, che – interpellato dal nuovo ministro nazista per l’istruzione – alla domanda: «Come va la matematica a Göttingen ora che l’abbiamo liberata dall’influenza ebraica?», egli rispose: «Matematica a Göttingen? Non se ne vede più nemmeno l’ombra». È stato così avviato un confronto tra la situazione italiana e quella tedesca in ambito scientifico durante questi anni bui.
Riscoprire le storie dei singoli all’interno della storia collettiva
Come è noto, i Provvedimenti per la difesa della razza italiana del 1938 comportarono per gli ebrei italiani la privazione dei diritti civili e politici, nonché un’emarginazione totale dal contesto scientifico e accademico, dando origine a profondi cambiamenti istituzionali, epistemologici e sociali nel panorama dell’alta cultura [Luciano, 2023]. La legislazione razziale, inoltre, rappresenta il preludio della vera e propria persecuzione.
Per facilitare la comprensione da parte degli studenti dell’entità di questi cambiamenti a livello globale, si può cominciare dall’impatto delle leggi razziali sulle esistenze dei singoli scienziati, anche attraverso testimonianze dirette e indirette (lettere, biografie, autobiografie ecc.). Queste ultime, oltre alla loro importanza intrinseca nel promuovere la Memoria, contribuiscono a rendere le vicende storiche più accessibili agli studenti, facilitando la loro immedesimazione e restituendo un elemento di umanità a fenomeni sviluppatisi su scala mondiale.
Itinerari didattici di questo tipo ben si prestano ad essere declinati a livello di scuola secondaria sia di primo sia di secondo grado. Con gli studenti più giovani si possono approfondire le traiettorie personali e professionali di alcune figure di scienza. È ciò che hanno portato avanti alcune classi dell’IC “U. Foscolo” di Torino, con l’obiettivo di rendere queste storie accessibili ad un vasto pubblico. Guidati dalle docenti di matematica e scienze, gli allievi sono stati suddivisi in piccoli gruppi, ciascuno dei quali ha ‘adottato’ uno scienziato, e hanno poi discusso in classe e condiviso il frutto del loro lavoro, con l’obiettivo di creare un unico prodotto multimediale open source. Questo lapbook è stato pubblicato sul sito della scuola in occasione del Giorno della Memoria 2021, in modo da condividere tutte queste storie raccolte con gli altri studenti e con gli adulti, genitori e personale scolastico in primis [Appartengo all’unica, 2021]. Per rendere comodamente fruibile questo prodotto digitale, è stata creata una mappa interattiva degli spostamenti degli scienziati analizzati. Sono stati evidenziati con appositi segnaposti i luoghi che hanno accolto gli esuli dall’Italia fascista e dalla Germania nazista (Nord America, Sud America e la parte di Europa non occupata dalle potenze nazi-fasciste) e le località in cui sono vissuti in clandestinità coloro che non hanno voluto o non sono riusciti ad emigrare [Siegmund-Schultze, 2009; Williams, 2013]. Per ogni area geografica, sono stati selezionati alcuni scienziati che vi trovarono rifugio, per un totale di 16 personaggi di scienza, tra cui 9 matematici e matematiche. Per ciascuno di loro è stata realizzata una sorta di ‘carta d’identità’ che, oltre alle informazioni biografiche più rilevanti, contiene la descrizione delle attività svolte prima dell’avvento delle leggi razziali e durante la temperie 1938-1945. Sono state inoltre inserite alcune citazioni di frasi famose o significative pronunciate da questi scienziati e, nei casi in cui è stato possibile, una selezione di brani tratti dai carteggi dell’epoca. Da queste lettere emergono nitidamente le aspettative e le speranze dei matematici in fuga, così come le molteplici difficoltà affrontate per trovare una collocazione all’estero e costruirsi una nuova vita. Gli studenti hanno quindi potuto toccare con mano la preoccupazione di Terracini, emigrato a Tucuman in Argentina, che scriveva ad Albert Einstein queste parole:
[…] mi permetto di contattarLa per chiedere un suo suggerimento su una questione di fondamentale importanza per me. […] Suppongo che più avanti potrò tornare alla mia cattedra in Italia; ma in questo momento trovo difficile prevedere quando ciò potrà accadere; quindi, non avendo mie risorse, devo preoccuparmi di trovare una soluzione che mi consenta di vivere con la mia famiglia (moglie e tre ragazzi di 19, 17 e 13 anni), nel caso in cui non possa continuare ad insegnare qui. [A. Terracini a A. Einstein, Tucumán, 6.8.1944]
Anche Fubini, l’unico matematico italiano che riuscirà a emigrare negli USA, dieci giorni dopo il suo allontanamento dal Politecnico di Torino, esprime la sua inquietudine in questi termini:
Personalmente io mi considero fuori questione: la mia vita volge al tramonto. Ma ho il dovere di pensare ai miei figli, di cercare di facilitare loro l’apertura di una nuova strada. Andrei volentieri negli Stati Uniti, soltanto se mi fosse concesso di portarvi mia moglie e i miei figli. [G. Fubini a T. Levi-Civita, Parigi, 28.10.1938]
Un lavoro più esteso e approfondito sulle fonti può essere realizzato anche con gli studenti dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado, possibilmente in maniera interdisciplinare, andando anche a sviluppare la capacità di collegamento in vista dell’Esame di Stato. In particolare, si possono esaminare le specificità del fenomeno della migrazione intellettuale ebraica dall’Italia fascista [Capristo, 2014; Luciano, 2025], partendo dall’analisi della corrispondenza originale di alcuni matematici italiani emigrati all’estero, quali Fano, Fubini, Terracini, Beppo Levi, Beniamino Segre e Giorgio Mortara. Un’attività di questo tipo può richiedere il coinvolgimento dei docenti di lettere e delle lingue straniere per supportare gli studenti nelle diverse fasi di traduzione, lettura e analisi dei documenti storici.
Un’ulteriore pista di lavoro è costituita dall’approfondimento delle vicende delle famiglie ‘disperse’ a causa delle leggi razziali, tra cui figurano quelle di due illustri personaggi come Vito Volterra (1860-1940) e Guido Castelnuovo (1865-1952).
Inoltre, è possibile avvicinare gli studenti ai contributi scientifici di alcuni matematici che hanno apportato sviluppi fondamentali alle loro discipline e che sono stati duramente colpiti dalle conseguenze della legislazione razziale, entrando nel merito di alcune delle loro ricerche, anche nell’ottica di un’attività di orientamento verso il mondo universitario. Si pensi, ad esempio, a Volterra, antifascista convinto, allontanato dal mondo accademico già nel 1931 a seguito del rifiuto di prestare giuramento al regime fascista, e al suo lavoro nel campo della biomatematica: il famoso modello preda-predatore può essere introdotto senza eccessive difficoltà agli studenti degli ultimi anni delle superiori. Inoltre, si possono presentare alcuni risultati di Tullio Levi-Civita (1873-1941) – una delle figure più influenti, tra l’altro, delle catene di solidarietà che si erano sviluppate spontaneamente per assistere coloro che emigravano al di fuori dell’area sotto l’influenza nazi-fascista – come quelli legati alla teoria della relatività.
Salvare dal «duplice oblio» le donne di scienza
A livello storiografico, si osserva un fenomeno che merita una profonda riflessione: le donne scienziate ebree, che, come i loro colleghi maschi, furono espulse dalle Università e dalle scuole statali di ogni ordine e grado, sono rimaste ‘invisibili’. Esiste un concreto rischio di cancellare dalla Memoria le storie di queste donne: la marginalizzazione storica del sesso femminile in ambito scientifico si accompagna, infatti, a una sorta di anonimato delle scienziate colpite dagli effetti delle leggi razziali, poiché ricoprivano spesso ruoli subordinati rispetto ai colleghi maschi. In particolare, le ‘professoresse’ (intendendo con questo termine sia le assistenti e i liberi docenti universitari sia le insegnanti di scuola secondaria) sono state cancellate, come se non fossero mai esistite ufficialmente [Simili, 2010]. Si rende quindi necessario fare Memoria di queste donne, parlando ad alta voce alle nuove generazioni delle scienziate ebree, facendole conoscere e conferendo alle loro vicende di vita personale e professionale, prima e dopo le leggi razziali, la visibilità che meritano.
È questo un tema che, opportunamente calibrato, si presta a essere discusso con studenti di età diverse. Ad esempio, nella scuola secondaria di primo grado, all’interno di un percorso interdisciplinare più ampio dedicato alle scienziate attraverso i secoli, è stato inserito un approfondimento sulle scienziate italiane ebree colpite dalla legislazione razziale. Le ventidue donne considerate sono state suddivise in tre gruppi, in base al destino cui andarono incontro.
Sebbene in misura decisamente minore rispetto agli uomini, alcune riuscirono a lasciare l’Italia, alla ricerca di uno spazio di sopravvivenza intellettuale. Superando numerose difficoltà, queste donne emigrarono all’estero e costruirono una nuova vita: è il caso del Premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini, della biologa Gina Castelnuovo (figlia del matematico Guido) e di Renata Calabresi, Gemma Barzilai, Lucia Servadio, Augusta Algranati ed Eugenia Sacerdote, specializzate in medicina. La Montalcini, tra l’altro, dopo essere stata espulsa dall’Università di Torino nel 1938 insieme al suo maestro G. Levi e al compagno di studi S. Luria, continuò le sue ricerche di neurobiologia in un piccolo laboratorio casalingo, prima di rifugiarsi all’estero.
Vi sono poi coloro che tentarono la fuga tra paure e pericoli o vissero in clandestinità, spesso sotto falsi nomi: sono state così analizzate le storie della fisica Nella Mortara, della matematica Emma Senigaglia, dell’entomologa Anna Foà, della chimica Nerina Vita, della naturalista Piera Scaramella, della neuropsichiatra Luisa Levi e della farmacologa Angelina Levi. Ancora, alcune donne di scienza italiane di origine ebraica, in seguito all’emanazione delle leggi razziali, riscoprirono le proprie radici e si impegnarono nelle scuole ebraiche, sorte per permettere agli studenti espulsi dagli istituti statali di proseguire gli studi. Un’incisiva testimonianza al riguardo è offerta da Emma Castelnuovo, la figlia più giovane di Guido:
Con un Decreto-Legge in data 5 settembre 1938 il Governo Fascista dichiarò che bambini e ragazzi ebrei non potevano frequentare la scuola di tutti: non si voleva che la razza «impura» contaminasse quella «ariana». E così, da un giorno all’altro, le porte delle scuole pubbliche italiane chiusero i battenti a migliaia di allievi considerati diversi. Fu però data la concessione di istituire delle scuole secondarie per ebrei, sotto il controllo di un Commissario ariano, nominato dal Ministero dell’Educazione Nazionale. Così, nelle città dove il numero degli allievi ebrei era abbastanza consistente, furono create delle scuole «speciali» da parte delle Comunità Israelitiche. [Castelnuovo, 2001, p. 63]
A Torino insegnarono Ida Terracini, Amalia Segre, Adelaide Diena, Rosa Segre e Marisetta Treves; a Bologna, invece, Fausta Milla, Gina Levi e le sorelle Elena e Maria Luisa Basilea furono docenti di discipline scientifiche nella scuola ebraica. Inoltre, figure importanti come la chimica Maria Piazza e la matematica Emma Castelnuovo parteciparono attivamente all’Università clandestina di Roma.
Purtroppo, numerose donne andarono incontro al tragico destino della deportazione nei campi di concentramento: qui persero la vita Annetta Segre, Maria Zamorani, Vittorina Segre, Vanda Maestro e le sorelle Diana e Dina Jacchia, mentre la zoologa Enrica Calabresi preferì il suicidio alla morte nelle camere a gas. Solo Bianca Morpurgo e Luciana Nissim Momigliano sopravvissero alla Shoah; quest’ultima fece ritorno da Auschwitz insieme a Primo Levi.
Le vicende di queste scienziate sono state illustrate in alcuni pannelli di una mostra realizzata presso l’IPSSEOA “G. Colombatto” di Torino nel marzo 2024, in occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne, intitolata Donne eccezionali (nonostante tutto) ma troppo spesso sconosciute. Grazie alla collaborazione tra docenti di diverse discipline (italiano, matematica, storia, chimica e sostegno), gli studenti hanno potuto riscoprire le voci delle donne di scienza, riflettendo su quanto le differenze di genere siano tuttora presenti.
Mostrare l’uso strumentale dell’educazione da parte del regime
Il r.d.l. 5 settembre 1938, n. 1390, riguardante i Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, con cui migliaia di studenti ebrei (386 solo in Piemonte) e centinaia di docenti (166 tra presidi e insegnanti, tra cui 47 docenti di matematica) furono espulsi dalle scuole di ogni ordine e grado, rappresentò l’ultimo tassello di un ampio processo di trasformazione ideologica della scuola italiana. Tra il 1925 e il 1943, infatti, il sistema scolastico fu sottoposto a un processo di fascistizzazione, ossia al sistematico sfruttamento dell’istituzione scolastica per promuovere gli obiettivi politici e ideologici del regime mussoliniano [Luciano, 2015; Gabrielli, 2016; Galfré, 2017]. A tal fine, le autorità fasciste adottarono molteplici interventi: dalla riorganizzazione istituzionale alla creazione di organizzazioni giovanili, dall’imposizione di rigidi controlli sul corpo docente alla forte politicizzazione dei contenuti nelle scuole elementari e medie. Persino discipline tradizionalmente considerate ‘neutre’, come la matematica, furono trasformate in strumenti di propaganda. I problemi matematici furono adattati per esaltare il regime e le sue ‘conquiste’ militari e sociali, mentre i quesiti si popolavano di figure fasciste, come i Balilla e le Piccole italiane [Gabrielli, Guerrini, 1999; Montino, 2005]. Riferimenti alla guerra e ai modelli di vita imposti nelle strutture educative paramilitari permeavano i testi scolastici. Durante il ventennio fascista, l’indottrinamento ideologico venne quindi integrato in modo sistematico nella struttura stessa delle lezioni, degli esercizi e degli esempi, in maniera deliberata e coordinata.
È possibile sviluppare degli itinerari didattici a partire dall’analisi di alcuni testi di matematica elementare del periodo fascista – quali [Mascalchi, 1940; Bonomi, 1941; Cottone, 1942] – per approfondire il processo di fascistizzazione della scuola, con particolare attenzione alla marcata ideologizzazione delle materie di insegnamento nelle scuole elementari e medie, al ruolo della propaganda, alla costruzione del consenso e al controllo capillare della società da parte del regime. Gli studenti, eventualmente organizzati in gruppi, possono sviluppare la capacità di individuare nei manuali di matematica dell’epoca esempi significativi del condizionamento ideologico imposto dal regime. Tale attività consente di osservare concretamente l’uso strumentale della matematica come veicolo di ideologia, per poi presentare alla classe i risultati di questa indagine e riflessione.
Un percorso didattico di questo tipo, già sperimentato in vari contesti, si dimostra particolarmente adatto a stimolare la capacità critica degli allievi. L’analisi dei libri di testo dell’epoca fascista attraverso una ‘lente d’ingrandimento’ critica ha portato gli studenti a riflessioni inaspettate e, talvolta, a un senso di stupore. Alcuni hanno espresso sorpresa nel trovare una serie di problemi aritmetici contestualizzati nella società fascista (ad esempio, «In palestra sono schierati dei Balilla; quanti se si possono contare 3 file di 5 Balilla ciascuna?», oppure «Una mamma ha comprato la divisa da Balilla per il suo figliolo e ha speso lire 8 per la camicia, lire 7 per i calzoncini e lire 4 per il berretto. Quanto ha speso in tutto?»). Altri hanno osservato che, in fondo, fosse ‘normale’ che si insegnasse ai bambini «a contare i soldati, anziché le mele». Altri studenti ancora hanno notato l’uso di un linguaggio specifico per evocare nei giovani un’immagine grandiosa dell’operato del regime, ad esempio quando si invitava il bambino a leggere e scrivere in cifre i numeri presenti in frasi come «Millenovecentoventidue, è l’anno della Marcia su Roma compiuta da Benito Mussolini, alla testa delle sue Camicie Nere». Ulteriori osservazioni hanno riguardato il fatto che l’insegnamento dell’aritmetica nei testi analizzati era stato trasformato in una forma di propaganda politica, con frequenti riferimenti alle ‘grandi opere’ del fascismo: si chiedeva, per esempio, di contare i sacchi di frumento prodotti grazie alla battaglia del grano, di confrontare la lunghezza delle strade di Rodi prima e dopo l’occupazione italiana, o di calcolare la lunghezza dell’acquedotto costruito dal «buon regime fascista». Anche nell’ambito della geometria si trovano riferimenti di questo tipo: tra le richiestevi era il calcolo della superficie laterale della piramide romana di Caio Cestio o del volume della sfera della fontana del Foro Mussolini a Roma.
In sintesi, attività didattiche di questa natura permettono agli studenti di osservare come, nei libri di matematica del periodo fascista, i soggetti delle esercitazioni diventano spesso Balilla in divisa, mentre i disegni geometrici si ispirano a motivi militari come fasci littori e armi. I contenuti celebrano la figura del Duce e il suo operato politico e sociale, promuovendo al contempo il culto della romanità e dell’Impero, e rendendo omaggio alla potenza militare della nazione.
Un’ulteriore risorsa storica da presentare agli studenti per una riflessione critica è l’Agenda del Maestro italiano [Agenda del maestro, 1940]. Pubblicata solamente per l’anno scolastico 1940-41, costituisce oggi una vera rarità bibliografica. Questo testo rappresenta una guida didattica preziosa per comprendere le linee pedagogiche del ventennio fascista, nonché una testimonianza degli sforzi del regime per orientare ideologicamente i docenti. L’Agenda comprende un’introduzione sui programmi della scuola elementare, spazi per annotazioni giornaliere e memorie personali del maestro, note didattiche con indicazioni metodologiche e suggerimenti pedagogici, articoli ricreativi, frasi di figure celebri, e testi di natura politico-educativa.
Le ore di lezione dedicate a questi argomenti, attraverso discussioni collettive, possono trasformarsi in momenti di confronto e riflessione su come persino la matematica, solitamente percepita come disciplina ‘neutrale’, abbia subito condizionamenti ideologici. Gli studenti, oltre a rivedere nozioni aritmetiche di base, sono così portati a riflettere sui valori della libertà di espressione e di pensiero.
Scardinare i falsi miti
Un tema dalle molteplici implicazioni didattiche, particolarmente adatto a essere approfondito negli istituti a indirizzo biochimico, è il dibattito settecentesco sul poligenismo e sul razzismo e l’uso strumentale della matematica (statistica, demografia) e delle scienze (biologia, antropologia, medicina) per giustificare colonialismo, razzismo e antisemitismo nell’epoca moderna e contemporanea.
Grazie ai progressi della genetica, oggi è scientificamente accertato che il concetto di ‘razza’ umana non ha alcun fondamento. Tuttavia, le neuroscienze dimostrano come gli atteggiamenti razzisti permangano poiché gli individui tendono a discriminare coloro che percepiscono come esterni al proprio gruppo di appartenenza. L’infondatezza dell’idea di razza, infatti, non modifica la percezione immediata dell’altro come ‘diverso’ – percezione influenzata da differenze superficiali come il colore della pelle e rafforzata da pregiudizi sociali e familiari [Taguieff, 2002; Wade, 2015]. Tali atteggiamenti risultano da fattori socioculturali e cognitivi, basati su un ‘bias essenzialista’: secondo questa visione, popolazioni e gruppi etnici sono considerati essenzialmente diversi in base a caratteristiche genetiche ritenute immutabili, trascurando contesti storico-sociali. La genetica, al contrario, chiarisce che i geni hanno principalmente la funzione di codificare proteine e non determinano isolatamente le caratteristiche o le predisposizioni di un individuo [Cavalli-Sforza, Menozzi, Piazza, 2000; Piazza, 2020].
Si può quindi strutturare un percorso didattico che esplori le origini del razzismo fino alle scoperte più recenti nell’ambito del progetto Genetic Human Atlas (2014). Partendo dal razzismo scientifico di J.F. Blumenbach (1752-1840), il quale nella seconda metà del Settecento suddivise l’umanità in cinque razze sulla base di studi craniometrici, gli studenti possono approfondire le varie fasi delle scoperte sul DNA e le successive ricerche genetiche che hanno contribuito a comprendere le modalità attraverso cui geni e contesto ambientale interagiscono per formare il fenotipo, smantellando di fatto le basi della visione razzista.
Ulteriori riflessioni riguardano il cosiddetto razzismo scientifico, che sfruttava antropologia, antropometria, craniometria e altre pseudo-discipline per formulare tipologie antropologiche a sostegno della classificazione delle popolazioni umane in ‘razze’ fisicamente distinte, con l’obiettivo di stabilire una gerarchia tra queste presunte ‘razze umane’. Prima della Seconda guerra mondiale, il razzismo scientifico era una branca comunemente accettata dell’antropologia e veniva impiegato per legittimare programmi di eugenetica, sterilizzazioni forzate, leggi contro la mescolanza razziale e restrizioni all’immigrazione. I crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati dalla Germania nazista tra il 1933 e il 1945 provocarono, come effetto boomerang, un radicale discredito del razzismo scientifico nel mondo accademico [Ehrenreich, 2007]. Emblematico a tal proposito è il caso di Josef Mengele (1911-1979), medico e antropologo tedesco tristemente noto per i suoi esperimenti di eugenetica nel campo di concentramento di Auschwitz. Conosciuto anche come il ‘dottor morte’, Mengele è divenuto, soprattutto nel dopoguerra, un simbolo dell’aberrazione scientifica e della negazione dei principi etici della medicina. È essenziale che gli studenti comprendano l’uso strumentale della scienza per giustificare teorie razziste, affinché possano, in futuro, riconoscere e interpretare criticamente eventuali distorsioni e manipolazioni delle scoperte scientifiche.
Conclusioni: la storia della scienza per educare all’antirazzismo
In un contesto scolastico in cui si incontrano culture e origini diverse, è diventato cruciale educare le nuove generazioni all’antirazzismo per contrastare fenomeni di intolleranza sempre più frequenti. Le classi multiculturali richiedono un aggiornamento nell’insegnamento di temi come la storia del razzismo e delle discriminazioni, per affrontare i pregiudizi e le pratiche di esclusione radicati su basi etniche, razziali, religiose e di genere. Il lavoro dell’Osservatorio della Commissione speciale per il contrasto all’intolleranza e alla discriminazione ha evidenziato una preoccupante crescita degli episodi di odio, spesso amplificati dai social media, con un impatto rilevante su giovani e contesti scolastici. Gli episodi di discriminazione nelle scuole non sono casi isolati. Ciò che è accaduto in Piemonte in questi anni – documentato dall’attività della Rete regionale contro le discriminazioni, istituita ai sensi della legge regionale n. 5/2016 – è rappresentativo di una tendenza più ampia. Tra il 2018 e il 2023, i casi segnalati di razzismo in Piemonte sono aumentati del 150%, con una crescente incidenza in ambito scolastico. Solo nel 2022 e nel 2023, rispettivamente l’11% e il 13% degli episodi segnalati si sono verificati in contesti scolastici, con un picco di atti di intolleranza basati su origine etnica e colore della pelle. Questi dati evidenziano come la scuola non sia immune a fenomeni di discriminazione e confermano la necessità di promuovere interventi di sensibilizzazione specifici. Sfortunatamente, la percezione dell’urgenza di contrastare il razzismo non è sempre condivisa: nonostante l’aumento delle segnalazioni, la percentuale di persone che considera il razzismo un problema significativo è diminuita negli ultimi anni. Tuttavia, la crescita delle segnalazioni indica anche una maggiore consapevolezza rispetto a questi fenomeni e sottolinea la necessità di azioni strutturate. Di rilievo è, inoltre, l’indagine sul clima di opinione 2024 condotta dall’IRES Piemonte, che segnala un lieve aumento rispetto al 2023 della percentuale di persone che dichiarano di assistere frequentemente o occasionalmente a episodi espliciti di razzismo, omofobia o sessismo nella propria zona di residenza, ora al 13,9% rispetto al 12,1% dell’anno precedente. Le differenze risultano marcate in base all’età: la quota sale al 29,7% tra i giovani di 18-24 anni, mentre è dell’8,3% tra gli over 64.
La formazione antirazzista e la promozione di un’educazione che abbracci le differenze culturali sono strumenti preziosi per incoraggiare i giovani a sviluppare un senso di giustizia e inclusione. Attraverso un’educazione attiva e consapevole, che li prepari a respingere ogni forma di odio e indifferenza e ad affermare il principio della dignità della persona, possiamo contribuire a formare generazioni capaci di vivere in una società autenticamente inclusiva e rispettosa delle diversità. Far ricorso alla storia della scienza e della matematica come piattaforma concettuale transdisciplinare per discutere tematiche complesse rappresenta un’importante opportunità didattica.
I riscontri positivi di insegnanti e studenti che hanno sperimentato in prima persona itinerari didattici come quelli descritti nel presente saggio hanno evidenziato l’efficacia di percorsi di sensibilizzazione alla Shoah e di educazione all’antirazzismo attraverso la storia delle discipline scientifiche. Tali percorsi si adattano a vari gradi scolastici, promuovendo un approccio inclusivo e interdisciplinare. Alcuni docenti hanno osservato come queste attività incentivino l’integrazione e l’inclusione sociale, in particolare per studenti provenienti da contesti fragili. L’uso di fonti storiche si è rivelato efficace, stimolando l’interesse e il coinvolgimento degli studenti e rendendo le materie scientifiche ‘vive’ e attuali. Inoltre, le tecnologie digitali hanno dimostrato di poter favorire l’insegnamento, promuovendo un confronto attivo su concetti chiave quali razza, discriminazione e pregiudizio, e permettendo di coinvolgere un pubblico più ampio, interessato ad approfondire questi temi attraverso una rilettura critica di eventi e momenti storici. L’educazione alla tolleranza è stata riconosciuta come fondamentale nell’ambito dell’Educazione Civica, poiché sottolinea l’importanza di imparare a valorizzare l’altro, con il suo bagaglio culturale e le sue differenze, come competenza chiave per i cittadini di domani.
In questo senso, la storia della scienza diventa un mezzo per aumentare la consapevolezza sui temi del razzismo e della discriminazione, in quanto «la storia è ciò che può renderci consapevoli di chi siamo e di come siamo diventati ciò che siamo» [Radford, 2014, p. 89]. L’insegnamento delle discipline scientifiche, d’altronde, non consiste nella pura trasmissione di metodi, tecniche e contenuti, né nell’esclusiva promozione del pensiero logico-deduttivo, ma include anche l’educazione al pensiero critico per formare i futuri cittadini. Conoscere la propria storia e le proprie radici è essenziale per guardare al futuro con consapevolezza; la storia della scienza, nella sua dimensione culturale, ci ricorda chi siamo e da dove proveniamo. Essa può suggerire possibili percorsi didattici e, richiamando le parole della senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, contribuire ad «aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri» [Segre, 2020].