Silvia Bencivelli, "Eroica, folle e visionaria. Storie di medicina spericolata"
Università di Bologna paolo.savoia3@unibo.it
Torino: Bollati Boringhieri, 2023, pp. 279.
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Il libro di Silvia Bencivelli traccia con taglio divulgativo una storia della sperimentazione medica da un punto di vista molto particolare, che reimmette nella narrazione storica i soggetti umani, spesso dimenticati in favore di «farmaci, procedure, tecniche, teorie» (p. 10). All’interno di questa ampia cornice l’Autrice assume un punto di vista più specifico, dal momento che racconta la storia degli episodi in cui il soggetto che sperimenta e l’oggetto della sperimentazione coincidono. In tal modo, il libro racconta una storia della medicina moderna occidentale dal punto di vista dei corpi dei medici, un’operazione indiscutibilmente meritoria in un panorama nazionale in cui questa storia viene ancora troppo spesso narrata e insegnata come una successione di teorie e idee geniali e ‘vincenti’. Se il libro non è esente a tratti da un certo trionfalismo che esalta i progressi della medicina e ignora quindi quel principio di ‘simmetria’ tra teorie vincenti e teorie perdenti tanto caro agli storici sociali delle scienze, esso ha il merito di raccontare una storia della medicina in cui, accanto ai corpi dei medici, balzano in primo piano anche complesse sfumature etiche. Solo per fare alcuni esempi di questioni che vengono affrontate lungo tutto il libro: dove si situa il confine tra responsabilità etica e desiderio di spettacolarizzazione del proprio corpo? In che modo i medici possono essere presi sul serio se prima non sperimentano le loro innovazioni in prima persona? Fin dove può condurre il senso della responsabilità per la collettività?
La cronologia coperta da Bencivelli è altrettanto interessante, e pone una questione storica che rimane aperta. Il censimento delle auto-sperimentazioni mediche ha tra i secoli XVIII e XIX il picco di intensità, sia quantitativa sia qualitativa, per poi scemare nel corso del XX secolo, nonostante il fatto che siano stati ben quindici i premi Nobel che hanno praticato auto-esperimenti nel corso del secolo scorso. In questi ultimi casi non si tratta però più di quegli auto-esperimenti ‘eroici, folli e visionari’ che danno il titolo al libro, ma di prassi altamente codificate, che hanno seguito protocolli precisi e che non hanno messo in pericolo la vita dell’auto-sperimentatore. L’ultimo auto-esperimento di un ‘maverick’ è quello del vaccino contro l’HIV di Daniel Zagury, negli anni ’80 del XX secolo, ma si tratta di un’eccezione.
Bencivelli ricostruisce anche il tortuoso percorso che nel corso del Novecento ha regolamentato la sperimentazione sui soggetti umani – un percorso pieno di passaggi poco edificanti, che ha dovuto affrontare gli orrori della medicina nazista e di studi come quello sulla sifilide nella cittadina di Tusgekee in Alabama (1932-72), condotto sulla popolazione afro-americana, dal quale però emerge il punto cieco dell’auto-sperimentazione. Se da un lato l’auto-sperimentazione può essere assimilata alla sperimentazione su soggetti umani, la coincidenza di soggetto e oggetto crea un cortocircuito etico e politico in seno alla pratica medica. È come se l’avvento compiuto dalla biomedicina, insieme alla costruzione degli ospedali e delle strutture private per la ricerca contemporanee, avessero fatto passare in secondo piano la dimensione etica non solo del rapporto tra medico e paziente, ma anche quella del rapporto che il medico intrattiene con sé stesso.
Il libro segue un ordine cronologico che si intreccia in ogni capitolo a quello tematico, e va dalle celebri sperimentazioni con la bilancia di Santorio Santorio all’inizio del XVII secolo fino ai biohacker e alle battaglie sull’open access per i vaccini auto-sperimentati durante la recente pandemia.
Il primo capitolo si concentra sulle figure più importanti nell’auto-sperimentazione dietetica (il nome che la medicina moderna dava al sapere scientifico sul cibo e sullo stile di vita in generale), fino alle scienze della nutrizione e alla loro scomposizione degli alimenti in calorie e vitamine. Il secondo capitolo inizia a concentrarsi su un ambito in cui gli auto-esperimenti, per motivi facilmente comprensibili, sono stati tra i più arditi e spettacolari: la chirurgia. Il capitolo si concentra essenzialmente su due figure: John Hunter, chirurgo scozzese che sperimentò su di sé una terapia chirurgica contro le malattie veneree e Werner Frossman, che nella prima metà del Novecento è stato tra i protagonisti della seconda rivoluzione chirurgica dopo l’introduzione delle pratiche anestetiche, ovvero la chirurgia cardiaca. Il terzo capitolo prosegue il discorso rinarrando, ancora una volta partendo dal punto di vista del corpo del chirurgo, la storia dell’anestesiologica dai tempi eroici degli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo fino alla prima metà del Novecento. Il quarto capitolo tenta di sintetizzare, con successo, la ricchissima storia dell’auto-sperimentazione farmacologica, alternando storie di austeri medici austriaci e la storia dell’LSD a partire da Albert Hofmann. Il quinto capitolo inizia una storia delle malattie infettive che parte con un altro topos della storia della medicina: la nascita e l’affermazione della teoria dei germi nel XIX secolo, parallela all’epoca dei pionieri della medicina tropicale e coloniale. Questa porterà con sé l’identificazione precisa di malattie clinicamente note da secoli e una delle pratiche più rivoluzionarie di questa storia: l’inoculazione prima e la vaccinazione poi. Nel capitolo successivo, che ha come protagonista il movimento igienista e la figura di Max von Pettenkofer, ‘rivale’ di Koch e Pasteur, ci si concentra soprattutto sulle battaglie contro il colera nell’Ottocento. Degna di nota è la storia di Gianmario Cavagna, medico del lavoro e tossicologo, che nel 1970 morì in un esperimento in cui il collega Renato Gilioli si esponeva al Floubrene, un gas prodotto negli stabilimenti di Porto Marghera (oggi vietato per la sua pericolosità per l’atmosfera terrestre). Dall’igienismo ottocentesco si passa dunque alla medicina del lavoro e alla tossicologia del XX secolo, e più in generale a quella che lo storico Michael Egan ha definito survival science, ovvero quei tentativi, proprio a partire dagli anni Settanta, di rispondere alla crisi politica di legittimità della Big Science della guerra fredda con sforzi interdisciplinari volti alla risoluzione dei problemi della salute della popolazione nell’epoca del nascente ambientalismo. A ben vedere, la sentenza di Pettenkofer la anticipa di quasi un secolo: «Se dovessimo vivere solo di quello che è stato accertato scientificamente, saremmo già morti da un pezzo» (p. 183). Infine, l’ultimo capitolo prende di petto la storia dei vaccini, non trascurando di mettere in luce, oltre agli auto-esperimenti, anche le storie delle cavie delle prime vaccinazioni, a partire proprio dai contadini di Pasteur e dall’esperimento assai temerario e controverso su un bambino, Joseph Meister, morso da un cane rabbioso. In questo caso (come in altri trattati dall’autrice, come quello, famosissimo, della “febbre gialla” di Walter Reed) Bencivelli giustamente cerca di allontanare lo sguardo del lettore dall’eroismo delle agiografie mediche per farci concentrare sulle complicate vicende etiche – e si dovrebbe aggiungere: sociali, una dimensione che purtroppo viene poco esplorata dal libro – che accompagnano gli sviluppi della medicina. Infine, l’autrice segnala spesso in modo discreto ma acuto le disuguaglianze di genere che corrono lungo tutta la storia della medicina.
La scrittura divulgativa è un’arte necessaria quanto difficile e rischiosa. Da un lato, spesso la divulgazione storico-scientifica rischia di infantilizzare lettori e lettrici adottando toni eccessivamente bassi; dall’altro, rischia di proporre una narrazione storica lineare, trionfalistica e basata sulle grandi personalità del canone scientifico occidentale. Il libro, bello e importante, di Silvia Bencivelli, se a tratti non è esente dal primo rischio – un esempio: «Anche i grandi della scienza si recano alla toilette. Lo fanno diverse volte al giorno» (p. 20) – svolge un eccellente lavoro di alta divulgazione in rapporto al secondo. Bencivelli scrive: «Ma a raccontarla così [la storia della medicina moderna che va da Vesalio a Harvey] si rischia di fare la storia per aneddoti e a darne una rappresentazione lineare, di progresso in progresso, come se si trattasse di una marcia inevitabile e gloriosa verso le meraviglie della medicina attuale. Soprattutto, si rischia di dimenticare che non c’è mai il genio che da solo fa la grande scoperta, e un attimo dopo il mondo cambia. C’è una temperie, ci sono dibattiti […]» (p. 21). Parole scontate per storici e storiche che hanno assimilato la lezione della storiografia degli ultimi decenni, così aperta verso le scienze sociali e l’antropologia? Forse, ma parole importanti se si tiene conto che si tratta di un libro rivolto a un pubblico non esclusivamente accademico.
Bencivelli, oltre ad aver scritto un libro appassionante di ottima qualità narrativa, ha anche discusso approfonditamente le sue fonti, e padroneggia una bibliografia estesa. In sostanza, questo libro offre una buona introduzione alternativa alla storia della medicina occidentale moderna e contemporanea e dunque, oltre ad un pubblico non specialistico, può rivolgersi anche, con le opportune integrazioni, a studenti e studentesse universitarie.