N.1 2024 - Scientia | Giugno 2024

Navigazione dei contenuti del fascicolo

‘Gunpowder Joe’: Joseph Priestley, l’apologia del cristianesimo e del flogisto

Ferdinando Abbri

Università di Siena ferdinando.abbri@unisi.it

Received: 10/05/2023 | Accepted: 2/09/2023 | Published online: 27/05/2024

Abstract

Joseph Priestley (1733-1804) è una delle figure di maggior rilievo della scienza sperimentale del secondo Settecento. Instancabile indagatore nella ricerca sulle arie fu sino alla morte un sostenitore di un flogisto, uno strenuo oppositore della chimica antiflogistica francese; questa opposizione a Lavoisier e seguaci ha richiamato l’attenzione dei filosofi e degli storici che hanno proposto molte interpretazioni. Il saggio intende considerare la lotta finale di Priestley per il flogisto alla luce delle sue concezioni teologiche e filosofiche che non possono essere ignorate ove si voglia comprendere il significato complessivo delle sue esperienze di chimica pneumatica. Dopo l’esilio americano Priestley abbandonò le controversie politiche, si dedicò all’apologia del cristianesimo, della rivelazione mosaica e cristiana e fu in questo contesto di indagine teologica che pubblicò saggi e opuscoli a favore del flogisto contro la rivoluzione chimica. A Northumberland, in Pennsylvania, il dissidente Priestley si trovò schierato anche in chimica dal lato eterodosso contro la nuova ortodossia chimica.

English abstract

Joseph Priestley (1733-1804) is one of the most outstanding experimental philosophers of the second half of the eighteenth century. He was a steadfast researcher on airs, to death he was a supporter of a phlogiston, and an active opponent of the French antiphlogistic chemistry. His opposition to Lavoisier and his school has called the attention of philosophers and historians who have proposed many different interpretations. The essay aims at considering Priestley’s last fight for phlogiston to the light of his philosophical and theological tenets which cannot be disregarded in order to understand the whole meaning of his chemical experiments on airs. After his American exile, Priestley gave up the political controversies, devoted himself to an apology of rational Christianity, of the Mosaic and Christian revelation and within this theological context he published papers and booklets to favour phlogiston against the Chemical Revolution. In Northumberland, Pennsylvania, the dissident Priestley found himself sided with the heterodox party against the new chemical orthodoxy.

Per scaricare l'articolo in pdf visita la sezione "Risorse" o clicca qui.

«At one time I was followed by a number of boys,

who left their play, repeating what they had seen on the walls,

and shouting out Damn Priestley, damn him, damn him for ever.

for ever, for ever, &c. &c.».

[Priestley, 1791].

«Farewell to you, old comrades!

Farewell to you for ever!

Farewell, Rights o’ Men.

Farewell, old Rights o’ Men.

Farewell to you for ever, old Rights o’ Men!».

[E.M. Forster, E. Crozier, Billy Budd, 1950-51].

L’enigma Priestley

Il volume VIII di quel Panorama General de Historia de la Ciencia, progettato nell’esilio argentino da Aldo Mieli, uscì a Buenos Aires nel 1955, è dedicato a El siglo del Iluminismo e venne redatto da Desiderio Papp e José Babini che portarono a compimento l’impresa di una storia generale della scienza alla quale Mieli aveva pensato da tempo ma che non poté mai completare a causa della sua difficile e tormentata vicenda esistenziale e politica. In questo volume il capitolo IX tratta di El flogisto y la química pneumática e nel paragrafo su Joseph Priestley si trova scritto:

Observador clarividente, PRIESTLEY fur un teórico miope. Por una curiosa inversión, mientras fue liberal y heterodoxo en sus opiniones religiosas, fue conservador y ortodoxo en sus convicciones científicas. Rechazó los dogmas de la Iglesia anglicana en la interpretación del Verbo, pero mantuvo rígidamente los dogmas de la doctrina del flogisto en la interpretación des sus experiencias [Papp, Babini, 1955, p. 163].

Papp e Babini facevano propria l’immagine accettata a quel tempo di Priestley come pensatore radicale in teologia e in politica, ma scienziato conservatore, inesorabilmente attaccato alle vecchie teorie pur avendo di fronte l’obra química di Lavoisier alla quale non a caso è dedicato il capitolo successivo del volume.

Fig. 1 - Ritratto di Joseph Priestley.

Da un punto di vista storiografico l’approccio dei due storici argentini può essere connotato come ‘Whiggism’, ossia basato sulla visione dell’opera di Priestley alla luce dei risultati della chimica antiflogistica francese e degli sviluppi successivi della scienza. Resta il fatto che la questione del radicalismo politico e della sua lotta a favore del flogisto sino al 1804 ha costituito un problema, una sorta di enigma che ha assillato filosofi e storici della scienza. Il confronto Priestley – Lavoisier è stato utilizzato come caso cruciale da illustri filosofi per dimostrare la validità di modelli di interpretazione del mutamento scientifico (paradigmatic shift [McCann, 1978]; programmi di ricerca in competizione [Musgrave, 1976], cambiamenti di episteme [Anderson, 1984], e così via), ma ha anche richiamato l’attenzione degli storici che hanno proposto spiegazioni ben diverse.

È da dire che il radicalismo politico unito ad un atteggiamento conservatore in scienza non è motivo di scandalo o sorpresa dato che alla fine del Settecento si ritrovano diversi naturalisti sostenitori della rivoluzione francese che erano feroci oppositori della chimica nuova, ad esempio J.-C. de La Métherie (1743-1817), il direttore del Journal de physique, ed è noto che la chimica di Lamarck non era di sicuro un modello di scienza innovativa. Il caso di Priestley è rilevante a ragione del contributo fondamentale fornito dal naturalista britannico allo sviluppo della chimica delle arie dal 1772 sino all’anno della morte.

La singolarità del caso Priestley deriva quindi dalla sua posizione nel contesto socio-culturale britannico del secondo Settecento: era il più celebre naturalista inglese del tempo, autore di scoperte sull’elettricità e le arie, ma allo stesso tempo apparteneva al gruppo dei Dissidenti e proclamava questa sua appartenenza in maniera assordante. La comunità scientifica ufficiale, legata alla chiesa anglicana, mal sopportava Priestley a causa delle sue idee religiose e politiche ma fu costretta a prendere atto della sua fama europea. Nell’agosto del 1874 una statua in marmo in suo onore fu scoperta alla Town Hall di Birmingham, ma il clero anglicano si rifiutò di partecipare alla cerimonia e questo episodio dà la misura dell’odio che la chiesa stabilita nutriva nei confronti dei Dissidenti.

Il philosophical business o i philosophical studies erano per Priestley gli esperimenti e le osservazioni sulle differenti specie di aria ma il centro della sua attività erano i theological studies ai quali dedicò la gran parte del suo tempo, e la pluralità dei suoi interessi costituisce un problema per lo storico che si trova di fronte ad una mole gigantesca, impressionante, quindi scoraggiante di scritti che coprono quasi l’intero arco tematico della cultura del secondo Settecento: Priestley pubblicò oltre cento volumi nel corso della sua vita. Le studiose e gli studiosi di Priestley sono specialisti di vari settori della cultura settecentesca e nella comunità accademica si è affermata una sorta di divisione del lavoro in modo da coprire la quasi totalità degli argomenti affrontati dal pastore inglese. Esemplare in questo senso è un volume uscito nel 2008 a cura di Isabel Rivers e David L. Wykes dal titolo Joseph Priestley. Scientist, philosopher, and theologian che individua già nel titolo tre ampi domini tematici [Rivers, Wykes, 2008]. Tuttavia, nel 1980 Lester Kieft e Bennett R. Willeford Jr. hanno curato un volume su Joseph Priestley. Scientist, Theologian and Metaphysician, suggerendo che ambiti differenti erano necessari per offrire un quadro soddisfacente della sua opera [Hiebert, Ihde, Schofield, 1980].

Filosofia, teologia, storia, pedagogia e scienza costituiscono aspetti diversi ma interagenti nel pensiero di Priestley e rinviano continuamente gli uni agli altri: sono simili a temi o motivi musicali che risuonano in composizioni differenti. Non a caso la Prefazione della sua fortunata The History and Present State of Electricity (1767) termina con una citazione di David Hartley (1705-1757) sulla gloria di Dio e il bene dell’umanità come scopi fondamentali della ricerca scientifica, nella quale è inclusa la teologia [Priestley, 1767, p. xxiii].

Per sfuggire ad accuse di ‘Whiggism’ gli storici hanno ammesso che Priestley, irriducibile difensore del flogisto, era il sostenitore di una teoria ‘antiquata’ perché con la sua sperimentazione era stato in grado di mettere in luce diversi problemi irrisolti della teoria antiflogistica, della nuova chimica, quindi il suo atteggiamento conservatore era giustificato proprio alla luce delle sue indagini. Ad esempio, il flogisto era un imponderabile come lo era il calorico di Lavoisier, quindi non poteva essere rifiutato per questa ragione, anche se in verità Laplace e Lavoisier nel loro Mémoire sur la chaleur (1783) avevano offerto uno strumento (il calorimetro) e modelli interpretativi per una indagine quantitativa sul calore che non si ritrovano nelle teorie dei flogististi. Senz’altro Priestley mise in luce alcuni punti controversi e irrisolti della teoria francese – la questione degli idracidi, dell’acido muriatico ossigenato (cloro), dell’aria fissa, ovvero la differenza tra anidride carbonica e monossido di carbonio, delle arie infiammabili – e le ricerche successive imposero modifiche alla teoria lavoisieriana, che non era una teoria compiuta e intoccabile, ma non segnarono una sorta di ritorno alla teoria del flogisto di Georg Ernst Stahl (1659-1734), come auspicava invece il naturalista inglese.

Giova inoltre ricordare che la diffusione della chimie nouvelle fu segnata da controversie assai accese che produssero la divisione delle comunità scientifiche nazionali in partiti contrapposti. Durante queste controversie temi scientifici e temi politici finirono per interagire e la chimica nuova divenne la chimie française. Nella stessa Francia si contava un buon numero di naturalisti che si opposero energicamente alle nuove idee. L’opposizione di Priestley non costituì dunque una singolare eccezione, ma venne a sommarsi a quella di molti naturalisti attivi in Europa.

Non intendo proporre una rassegna critica della storiografia scientifica recente in merito alla difesa del flogisto da parte di Priestley, che è ampia, infaticabile e assai inventiva nel giustificare il suo atteggiamento, né presentare una disamina dettagliata dei suoi innumerevoli contributi di chimica nel periodo americano, mi soffermerò solo su alcuni testi suoi più significativi. Il mio scopo è quello di mostrare che negli Stati Uniti fu un naturalista combattivo in nome del flogisto ma anche uno strenuo apologeta della rivelazione cristiana. A mio avviso non si è tenuto in debito conto del quadro dei suoi coevi lavori di teologia e di storia, mi sembra invece opportuno definire il contesto ideologico delle ricerche chimiche del tardo Priestley.

Non si tratta di stabilire un legame diretto tra le arie o il flogisto e l’idea di Dio degli Unitariani ma di valutare con attenzione che nelle ricerche chimiche risuonano concezioni, ideologie filosofiche e teologiche e che quelle ricerche non si configurano come tappe della costruzione di una scienza chimica compiuta. Nel 2005 John Brooke ha opportunamente sottolineato, riferendosi a Priestley, che «the shaping of science by religious preconceptions can sometimes be almost too subtle to notice» [Brooke, 2005, p. 331].

Non voglio ipotizzare un’ennesima soluzione del ‘dilemma’ relativo alle ragioni della fedeltà di Priestley ad un flogisto, ma mostrare che in America egli era un uomo in parte diverso rispetto al combattivo e irriducibile predicatore di Birmingham a ragione del mutato contesto storico: le aspettative millenaristiche di rinnovamento ad opera della rivoluzione francese erano andate deluse con l’avvento del regime giacobino e la nuova chimica francese gli apparve come una forma di giacobinismo scientifico.

La drammatica esperienza dei Birmingham riots del luglio 1791, con il clero anglicano che sobillò il popolaccio contro i Dissidenti, non solo segnò un punto di svolta nella vita di Priestley – da qui la decisione di emigrare in America–, ma anche dal punto di vista ideologico: il polemista instancabile, che non perdeva un’occasione per pubblicare lettere e opuscoli contro esponenti anglicani di fama nazionale o anche solo locale, e per pronunciare infuocati sermoni, lasciò spazio al difensore della rivelazione, allo storico della Chiesa, allo studioso che ribadì la superiorità della religione e delle leggi mosaiche su quelle dei pagani e degli Indù.

Fig. 2 - Celebre stampa satirica del 1791 nella quale si raffigura Priestley non come un naturalista ma come un prete dissidente, eversivo dell'ordine costituito, nemico del Re e della Chiesa anglicana. Priestley calpesta un trattato dal titolo Bible Explained Away. Il flogisto era anche sinonimo di principio infiammabile, ma sono i sermoni politici a fornire il combustibile per gli incendi.

Nel 1791 fu pubblicata una stampa satirica del Docter Phlogiston, ossia di Priestley che calpesta la Bibbia, ha nelle tasche dei saggi sulla materia e lo spirito, della polvere da sparo (gunpowder), dei brindisi rivoluzionari e brandisce un fumante sermone politico e un non meno fumante Essay on Government, ossia An Essay on the First Principles of Government, la cui prima edizione risaliva però al 1768. Nonostante il titolo, in questa immagine non c’è nessun riferimento al chimico e al filosofo naturale, è un’immagine tutta in chiave politica; in una stampa satirica di James Gillray del 1791 dal titolo A Birmingham Toast Priestley viene raffigurato come il proponente di un brindisi, con in mano un piatto e un calice che rimandano più a un rito cattolico romano che non a un servizio religioso guidato da un pastore unitariano: è la satira del pranzo previsto il 14 luglio del 1791 per celebrare il secondo anniversario della presa della Bastiglia, ma al quale Priestley aveva deciso di non prendere parte in modo che il pranzo potesse svolgersi con tranquillità dato che era consapevole di essere il principale oggetto di odio e disprezzo da parte degli anglicani. In un’altra immagine satirica dell’anno successivo su The Friends of the People, è rappresentato come un violento rivoluzionario sostenitore dei francesi; i Dissidenti vengono accusati di adottare la sedizione come credo, si fingono pecore ma sono lupi, quindi non è possibile fidarsi di loro: «Tom Paine and Priestley would, / Deluge the throne with blood» [Money, 1988] [Money, 1989].

La satira nel periodo della rivoluzione francese rivela che negli anni novanta Priestley era socialmente percepito come il maggiore e più pericoloso avversario della monarchia e della Chiesa stabilita. Nelle Familiar Letters addressed to the Inhabitants of Birmingham del 1790, pubblicate a seguito della polemica col Reverendo Spencer Madan della chiesa di St. Philip a Birmingham, gunpowder Priestley chiarì di non essere un sedizioso e che «My gunpowder is nothing but arguments», che la condotta del clero per favorire l’ingresso dei Dissidenti nella chiesa è giustificata «provided they make use of no other means than arguments, it cannot be wrong in me to endeavour by other arguments to bring you from it» [Priestley, 1790a, p. 7-8].

La pubblicazione (1782) della grande e sulfurea A History of the Corruptions of Christianity, due anni dopo il suo trasferimento a Birmingham, aveva sciolto ogni dubbio e ambiguità. Il metafisico e lo studioso delle arie era un sociniano irriducibile, un polemista instancabile che divenne noto anche per le sue campagne politiche. Il reverendo Samuel Horsley (1733-1806), vescovo di St. David’s in Galles, formidabile avversario dei Dissidenti, affermò che i principi di un non-conformista in religione erano inseparabili dalla fede repubblicana, denunciando così che Priestley era un nemico della Chiesa e del trono.

Durante i riots Priestley vide distrutta la sua casa, con annessi laboratorio e biblioteca, la New Meeting House dove predicava, e a 58 anni fu costretto a trasferirsi con la famiglia a Clapton/Hackney e a viaggiare camuffato per non essere riconosciuto. Scelse come sede del suo esilio la piccola cittadina di Northumberland in Pennsylvania e non Filadelfia per ragioni economiche ma anche perché la moglie Mary era rimasta terrorizzata dall’esperienza di Birmingham e non voleva vivere in una città. Il combattivo ma pacifico pastore sociniano, il maggior scienziato sperimentale inglese del tempo, noto in tutt’Europa per The History and Present State of Electricity (1767), The History and Present State of Discoveries relating to Vision, Light and Colours (1772), per le sue ricerche chimiche, i cui volumi di Experiments erano tradotti nelle principali lingue europee era diventato un nemico irriducibile del trono e della Chiesa: «Damn Priestley, damn him for ever», come gridavano i ragazzi per le strade di Birmingham [Priestley, 1791, p. 21].

Nella storiografia priestleyana, ricca di contributi importanti volti a privilegiare ora il debito di Priestley verso le tradizioni newtoniane di filosofia naturale, nei confronti di David Hartley e di Ruggero G. Boscovich (R. J. Bošković, 1711-1787), ora il debito verso la cultura dei Dissidenti che costituiva una tradizione di rilievo nel Settecento britannico, ora verso il socinianesimo nelle sue multiformi versioni, spiccano i lavori di Robert E. Schofield, al quale si deve la più recente biografia completa su Priestley in due volumi [Schofield, 1977] [Schofield, 2004], e i numerosi saggi di John McEvoy che in disaccordo con Schofield ha sostenuto la necessità di tenere conto del quadro filosofico complessivo di Priestley, e di evitare di isolare le sue concezioni chimiche dalla sua metafisica e dalla sua teologia [McEvoy, McGuire, 1975] [McEvoy, 1990] [McEvoy, 2010].

Nel volume di Victor D. Boantza del 2013 su Matter and Method in the Long Chemical Revolution vi è un capitolo dedicato a Priestley; Boantza e Ofer Gal hanno pubblicato un saggio notevole sulla sua difesa del flogisto [Boantza, 2013, p. 145-170] [Boantza, Gal, 2011].

Al 1984 risale un importante, pionieristico saggio di Simon Schaffer dal titolo Priestley’s Questions: An Historiographical Survey, nel quale lo storico britannico ha messo in luce le differenti questioni che s’incontrano quando si è alle prese con l’opera di Priestley, e in questo lavoro non mancano alcune critiche alle proposte interpretative di McEvoy [Schaffer, 1984].

In effetti, le conclusioni di McEvoy non sono tutte condivisibili ma a mio avviso lo storico americano ha avuto il grande merito di richiamare l’attenzione sulla complessità e unità del quadro filosofico di Priestley, ossia la sua metafisica, il suo socinianesimo, la sua epistemologia offrono risorse per capire le sue narrazioni di esperimenti e le sue conclusioni. I poteri della materia, che per lui non era né solida né impenetrabile [Taranto, 2020], sono espressione della presenza di Dio nel mondo, e la sua metafisica non può essere ignorata ove si voglia afferrare il senso della ricerca sulle arie.

Nelle Prefazioni ai sei volumi di Experiments and Observations (1774-1786) Priestley non manca mai di fare riferimenti sia di ordine metafisico sia di ordine metodologico; nel 1774 afferma che le sue indagini non mirano a produrre un’opera completa sulle arie, paragona la ricerca alla caccia (hunting) che mira a cogliere i powers of nature e non manca ovviamente un riferimento a Dio come governor and maker del mondo, lasciando intendere che la sua scienza vuole costituire anche un contributo ad una forma specifica di teologia naturale, offrire quindi sostegno alla religione naturale [Priestley, 1774a, p. vii-xxiii].

Nel giugno del 1779 scrisse a Giovanni Fabbroni (1752-1822) informandolo di essere stato impegnato «in a multiplicity of business not of a philosophical nature», tuttavia aveva fatto alcune osservazioni che gli appariranno piacevoli: «The facts appear to me to be rather extraordinary. You must help me to explain them, for I am a very bad theorist», confessando le sue difficoltà ad orientarsi nelle teorie chimiche [Schofield, 1966, p. 171] [McEvoy, 1983].

Nel quinto volume (1781) degli Experiments Priestley, che in precedenza si era mostrato più fiducioso sulla possibilità di proporre una «general theory of all kinds of air, and tables of affinity, to explain the various phaenomena in which they are concerned», ribadisce che il volume sarà analitico e storico, come i precedenti, e che il «summary and methodical view that I have given of all the facts that I have discovered» consentiranno al lettore di formarsi da sé una teoria [Priestley, 1781, p. vi-vii]. Nel volume successivo del 1786, ultimo della serie, afferma di presentare many new facts ma la gran parte della Prefazione è dedicata alla teologia, e qui riafferma l’importanza degli studi teologici, accenna alla sua visione di Gesù Cristo, della vita futura e scrive che la storia degli ebrei e i libri del Vecchio Testamento furnish many facts che possono essere spiegati solo attraverso l’ammissione dell’origine divina della loro religione. Il privilegiamento dei fatti è comune ai domini della teologia e della scienza. In nota suggerisce ai suoi amici filosofi di leggere le Letters to a Philosophical Unbeliever (1780, due successivi volumi furono pubblicati nel 1787 e nel 1795), gli Institutes of natural and revealed Religion (1772-1774) e la History of the Corruptions of Christianity (1782), ossia le sue grandi opere teologiche. Per quanto riguarda le obiezioni alla trinità raccomanda la sua History of early opinions concerning Jesus Christ (1786), dove individua la fonte del trinitarismo nella filosofia platonica, e ribadisce che in origine il cristianesimo era unitariano [Priestley, 1786, p. v-xxi].

Priestley non trascurò nessun aspetto delle controversie religiose e teologiche del suo tempo che andavano affrontate seguendo le stesse modalità in uso per gli argomenti filosofici, ossia scientifici. Nel 1768 pubblicò A Free Address to the Protestant Dissenters on the Subject of the Lord’s Supper, ristampato nel 1774 in terza edizione with Improvements, nel quale indicava che «Let us treat every subject of religion as we would do those of philosophy», lamentando l’incremento dell’ignoranza e del bigottismo nel tempo presente e sottolineando che tra i papisti «the thinking men, in the church as well as among the laity, are generally infidels, and all the unthinking are bigots». In polemica con i dissidenti protestanti sosteneva dunque la pratica della Lord’s supper, intesa come rito solenne ma piacevole in ricordo di Cristo e delle sue sofferenze per gli uomini, e chi partecipa alla cena del Signore afferma che Cristo «is a teacher sent from God; or rather, it is a profession of a man’s being simply a christian, and not of his attachment to any particolar sect or denomination of christians» [Priestley, 1774b, p. vii, p. ix, p. 35.]. A questa conclusione su un tema cruciale e divisivo per i cristiani Priestley era giunto attraverso una analisi dei «fatti», ossia delle testimonianze scritturali.

Questi innumerevoli riferimenti possono sembrare eccessivi e dispersivi, con richiami a troppi domini tematici differenti (arie, cristianesimo, politica), ma nel caso di Priestley lo storico delle idee è obbligato a spostarsi da un terreno all’altro perché la scienza non può essere isolata dalla teologia e Priestley stesso giustificò in termini metafisici e teologici la sua storia sperimentale delle arie. Fu sempre assai cauto e prudente nell’affrontare la questione dell’essenza di Dio [Wunderlich, 2020, p. 55-59], ma era convinto che l’azione divina sul mondo era reale, continua e si esercitava attraverso poteri naturali che gli studi sperimentali avevano il compito di afferrare e comprendere.

Da un punto di vista storiografico è possibile ignorare questioni metafisiche e analizzare puntualmente, passo per passo, la sperimentazione di Priestley, come ha fatto di recente Geoffrey Blumenthal per il periodo americano, in un saggio dedicato agli esperimenti priestleyani volti a dimostrare che l’acqua non è un composto di idrogeno e ossigeno. Blumenthal ha indicato la miscela di errori sperimentali, e soprattutto il ricorso alla retorica, ad analogie poco stringenti messo in atto da Priestley e gli ha rimproverato di avere ignorato i decisivi esperimenti di Henry Cavendish (1731-1810) sulla combustione dei due gas [Blumenthal, 2019]. Non intendo certo negare la specificità delle innumerevoli esperienze sui gas di Priestley, il suo trattare in laboratorio le più diverse, complicate e insidiose sostanze chimiche, le sue mutevoli interpretazioni e deduzioni teoriche che costringono il lettore a inseguirlo in un labirinto di esperimenti, osservazioni e deduzioni, ma non è possibile ignorare che queste esperienze volevano comporre una storia sperimentale delle arie di matrice baconiana perché l’accumulazione di fatti era la strada privilegiata, obbligata per cogliere la verità. I suoi philosophical studies devono essere considerati in relazione al suo ricco quadro teologico e filosofico al fine di afferrarne il senso complessivo, la loro finalità. Priestley non intese mai costruire una teoria chimica completa, voleva indagare fenomeni naturali cruciali come le arie in modo da confermare sul piano scientifico la sua immagine di un Dio creatore, benevolo e che ha predisposto il mondo in maniera favorevole alla sua creatura privilegiata e più amata, ossia all’uomo. Da qui il suo lavoro instancabile nelle indagini chimiche e le sue continue oscillazioni teoriche. Ad esempio, il sesto volume (1786) degli Experiments and Observations si apre con una sezione dal titolo Experiments relating to Phlogiston che contiene la ristampa annotata dei suoi Experiments relating to Phlogiston and the seeming conversion of Water into Air del giugno 1783, nei quali accettava la conclusione di Richard Kirwan (1733-1812) che il flogisto poteva essere identificato con l’aria infiammabile. Di lì a poco nuovi esperimenti lo convinsero della infondatezza di questa conclusione e la sezione sul flogisto scomparve nella ristampa parziale del volume. Questo era il modo consueto di procedere nella ricerca sperimentale da parte di Priestley: da esperimenti e osservazioni si traeva una conclusione provvisoria che altri, successivi esperimenti in laboratorio potevano modificare anche radicalmente.

Nel 1790 pubblicò una nuova edizione in tre volumi degli Experiments and Observations che è dedicata a George Prince of Wales e nella dedica ribadisce di essere una persona il cui deliberate judgment lo ha condotto ad un modo di religione diverso dal modo by law established in this country e auspica che in quanto futuro sovrano della Gran Bretagna il Principe di Galles si comporterà come un equal father of all your subjects.

Nella nuova edizione il materiale non è più organizzato seguendo il rigido criterio cronologico di narrazione degli esperimenti ma per rubriche tematiche, pertanto il libro primo riguarda l’aria fissa, il secondo l’aria infiammabile e così via. Nella lunga Prefazione al primo volume riprende parti dell’edizione originale e ribadisce il suo approccio che viene così definito:

As to myself, I find it absolutely impossible to produce a work on this subject that shall be anything like complete. Every publication I have frankly acknowledged to be very imperfect, and the present, I am as ready to acknowledge, is so. But paradoxical as it may seem, this will ever be the case in the progress of natural science, so long as the works of God are, like himself, infinite and inexhaustible [Priestley, 1790b, p. XVIII].

Il tono cauto, modesto, lo stile discorsivo sono tipici di Priestley, ma nei lavori contro la chimica antiflogistica il suo tono divenne perentorio, liquidatorio, sprezzante e questo mutamento ha ragioni epistemologiche – difendere la scienza coltivata assiduamente per trent’anni a fronte di una nuova visione non condivisa della chimica, ossia la messa in atto di meccanismi di difesa – ma anche ragioni di ordine storico e contestuale.

Nelle pagine che seguono intendo richiamare i criteri metodologici di Priestley, che non sono rintracciabili nelle sole opere scientifiche perché si estendono trasversalmente all’intera sua produzione. Per quanto riguarda la chimica delle arie mi soffermerò esclusivamente sulla questione cruciale della composizione chimica dell’acqua; in terra americana non cessò di fare esperimenti sulle più diverse sostanze, ma una ricostruzione di tutta la sua sperimentazione esula dallo scopo di questo saggio. La conservazione dell’idea dell’acqua come elemento è il fondamento delle sue conclusioni a favore di un flogisto.

Nella terza parte intendo richiamare i vari opuscoli suoi contro la chimica francese e collocarli nel contesto della sua produzione teologica e storica: Priestley continuò a pubblicare resoconti di esperimenti insieme a opuscoli sull’unitarianismo. Si possono senza dubbio ricostruire isolatamente questi due ambiti ma in questo caso il suo ritratto resta incompiuto, parziale.

Dopo il 1791 il filosofo britannico non modificò il suo quadro filosofico e teologico ma assunse un atteggiamento pubblico in parte diverso. Vide infatti nella difesa della rivelazione cristiana la sua principale missione, perciò privilegiò la sua attività di pastore cristiano rispetto all’impegno politico.

Il problema della natura chimica dell’acqua

È arduo delineare un quadro sintetico delle concezioni chimiche di Priestley e a conferma di ciò è sufficiente segnalare che nel 1978-79 McEvoy ha pubblicato quattro lunghi saggi sulla rivista «Ambix» per ricostruire il suo pensiero chimico dal 1762 al 1781 [McEvoy, 1978] [McEvoy, 1979]. Gli Heads of Lectures on a Course of Experimental Philosophy, particularly including Chemistry, delivered at the New College in Hackney pubblicati nel 1794 possono essere una guida utile.

Priestley aveva tenuto queste conferenze nel 1791 e nella Dedica agli studenti del testo a stampa sottolinea il ruolo dei loro docenti in quanto liberal friends of science, of virtue, and of religion, individuando così i tre campi fondamentali della loro formazione. L’educazione doveva essere rivolta allo sviluppo di una piena autonomia di giudizio, poiché conclusioni e massime derivano da «premises and data collected, and considered by yourselves»: la formazione di uomini intelligenti, virtuosi e buoni cittadini è l’esito primario dell’educazione a Hackney, non importa se in futuro gli studenti adotteranno sistemi di principi riguardo alla religione e alla politica diversi da quelli dei loro antichi docenti [Priestley, 1794a, p. VII-XXII].

Fig. 3 - J. Priestley, Experiments and Observations on different Kinds of Air, London, J. Johnson, 1774. Antiporta.

La prima Lezione ha un carattere introduttivo e Priestley definisce la filosofia sperimentale come conoscenza della natura in generale o più strettamente delle proprietà delle sostanze naturali e dei cambiamenti di quelle proprietà in circostanze differenti. La sottolineatura delle circostanze è decisiva perché riteneva che una stessa aria o sostanza potesse mutare radicalmente col mutare delle circostanze naturali o sperimentali, da qui le sue difficoltà a definire in maniera perentoria la composizione delle sostanze chimiche e le sue oscillazioni di ordine teorico. Questa conoscenza è acquisibile attraverso l’esperimento o l’osservazione ma la filosofia sperimentale: «is an investigation of the wisdom of God in the works and laws of nature, so that it is one of the greatest objects to the mind of man, and opens a field of inquiry which has no bounds; every advance we make suggesting new doubts and subjects of farther inquiry» [Priestley, 1794a, p. 2].

Queste affermazioni ribadiscono la matrice teologica della sua scienza, e le uniformità che si scoprono nelle proprietà delle sostanze naturali consentono di formulare regole generali o principi che vengono chiamati leggi di natura e la conoscenza dei poteri della natura permette di applicare le conoscenze per un miglioramento delle condizioni dell’uomo. Ogni nuovo fenomeno che appare in natura è preceduto da una nuova circostanza e si può asserire che ad essa si deve la nuova apparizione ossia che si tratta di una causa e la nuova apparizione è un effetto, per questo possiamo concludere che «the union of phlogiston to a particolar kind of earth is the cause of its becoming a metal» [Priestley, 1794a, p. 3].

A livello metodologico suggerisce di formulare proposizioni generali in numero sufficiente a includere tutti i particolari, per cui una volta osservato che il ferro consiste di una terra specifica unita al flogisto e che è solubile negli acidi possiamo affermare in via generale che tutti i metalli sono composti di una terra peculiare e di flogisto e sono solubili in acidi. Tra le circostanze che producono un cambiamento nelle proprietà delle cose alcune sono un’aggiunta di qualcosa di visibile e tangibile ma altri cambiamenti possono essere prodotti da qualcosa di non osservabile. Fino a che la natura della causa non è accertata, conviene usare il termine principle in quanto include le cause di due tipi – osservabili, non osservabili – nel cambiamento delle cose. Si parla del principio di gravità, quindi si può affermare che esiste un principio di infiammabilità. Risulta chiaro che la chimica di Priestley ha la sua radice nella tradizione dei principi chimici e non sorprende la sua fedeltà ad alcune idee di Stahl, anche se il suo flogisto è ben lontano da quello originario stahliano, trattandosi di un principio dai mutevoli caratteri e non di una terra.

Sempre nella prima lezione afferma che le sostanze naturali possono essere classificate secondo i tre regni della natura, secondo gli elements che entrano nella loro composizione e secondo la loro forma fisica (aerial, fluid or solid), ma gli elementi che compongono tutti i corpi della natura sono l’aria deflogisticata o principio acidificante, flogisto o principio alcalino, le varie terre e i principi del calore, luce e elettricità; a questi vanno sommati i principi che non sono sostanze, ossia attrazione, repulsione e magnetismo. Con l’aiuto di questi principi è possibile spiegare tutti i fenomeni noti.

Conviene ricordare che la parte prima delle Letters to a Philosophical Unbeliever (1780) si apre con Letter I. Of the Nature of Evidence e Priestley indica la struttura logica della proposizione e stabilisce una sorta di graduatoria delle scienze a partire dall’aritmetica passando per la geometria, quindi alla filosofia e alla fisica. Nel caso della filosofia la proposizione man is mortal è di natura diversa rispetto alle proposizioni dell’aritmetica e della geometria, così pure in fisica la proposizione che air is elastic; le proposizioni matematiche sono universali, necessarie e la loro evidenza si chiama «dimostrazione», ma le proposizioni filosofiche e fisiche derivano da osservazioni e sono sempre suscettibili «to be corrected and modified by subsequent and more exact observations», e per la conoscenza della loro verità non è sufficiente il confronto tra idee perché successive osservazioni possono correggere ciò che è sbagliato nelle prime idee. Esistono tuttavia proposizioni che non derivano dalle proprie idee ma dalla testimonianza di altri: nel campo storico la proposizione Alexander conquered Darius è completa, corretta ma deriva dal ricorso a testimonianze altrui; le proposizioni della religione naturale e rivelata appartengono in generale al secondo tipo (filosofico, fisico e storico) e nel caso della rivelazione il fondamento è la testimonianza ma «such testimony has never yet be found to deceive us» [Priestley, 1780, p. 7-10]. La relazione tra credenze e contesto culturale pubblico deve essere studiata scientificamente perché «An opinion, and especially an opinion adopted by great numbers of mankind, is to be considered as any other fact in history; for it cannot be produced without an adeguate cause and is therefore a proper object of philosophical enquiry» [Priestley, 1782, p. 4] [Canovan, 1980].

L’epistemologia di Priestley è un empirismo di marca britannica, ma non è un empirismo ingenuo.

La seconda lezione degli Heads riguarda le proprietà della materia, in particolare i poteri di attrazione e repulsione che sono decisivi per spiegare le caratteristiche osservabili della materia, per dimostrare l’esistenza dell’azione divina sul mondo e la sua regolarità causale: i poteri servono per eliminare qualsiasi ipotesi di visione miracolosa del mondo. Questa lezione si conclude con una sezione sulle sostanze aeriformi, mentre nella terza si tratta dell’aria atmosferica e le successive sette lezioni riguardano le arie, quindi si prosegue con gli acidi, le terre, i metalli e gli Heads si chiudono con calore, luce, magnetismo e elettricità.

Conviene richiamare la lezione XXIX, l’ultima strettamente chimica, dal titolo Of the Doctrine of Phlogiston and the Composition of Water nella quale si ritrovano argomentazioni che saranno ripetute nei testi successivi redatti in America. Dopo avere ricordato la grande scoperta di Stahl che il flogisto entra in tutte le sostanze infiammabili e nei metalli Priestley parla di Lavoisier e della maggior parte dei chimici francesi che negano l’esistenza di questo principio. A questo rifiuto del flogisto i francesi uniscono la concezione dell’acqua come composto di ossigeno e idrogeno, Ammette che la calcinazione del mercurio che si trasforma nel celebre precipitato per sé (HgO) unendosi all’aria pura è un problema per un flogistista perché questa calce ritorna allo stato metallico senza la mediazione di una sostanza contenente flogisto, ricorre quindi ad un’ipotesi aggiuntiva, ossia il mercurio conserva il suo flogisto quando diventa il precipitato (ossido) ma alla fine fu costretto a riconoscere differenze nei processi di calcinazione e riduzione dei vari metalli.

Si sofferma soprattutto sulle esperienze di sintesi dell’acqua e stabilisce che non si ottiene solo acqua pura, ma anche nitrous acid (acido nitrico), dunque l’ipotesi migliore è quella di considerare l’acqua un elemento che unito al principio del calore costituisce l’aria atmosferica, e «if so, it must consist of the elements of both dephlogisticated and phlogisticated air» [Priestley, 1794a, p. 134]. Qui non faceva altro che ribadire le sue conclusioni del 1788 sulla specificazione del nitrous acid (HNO3) come risultato principale della combustione di idrogeno e ossigeno, mentre la presenza di acqua era solo accessoria, dovuta al fatto che è la base di tutti i gas.

Queste conclusioni avevano fornito un argomento d’importanza non trascurabile per gli oppositori di Lavoisier, che venne rafforzato quando Priestley effettuò esperienze di riduzione del precipitato per sé affermando di avere ottenuto come risultato acqua e aria fissa. Nel dicembre del 1788 scrisse al fisico olandese Martinus Van Marum (1750-1837) che la combustione di ossigeno e idrogeno da’ vita a nitrous acid e in condizioni sperimentali diverse a fixed air, mentre l’acqua è un elemento che entra nella composizione di tutte le arie [Schofield, 1966, p. 252]. La questione della composizione dell’acido nitrico divenne cruciale e nell’aprile del 1788 Cavendish lesse alla Royal Society una memoria nella quale mostrava la sintesi di acido nitrico a partire da azoto e ossigeno. Priestley non accettò le conclusioni di Cavendish e in un paper pubblicato nel 1789 ribadì che dell’acido è il risultato principale e costante nell’unione di idrogeno e ossigeno, mentre l’acqua è un risultato secondario. La formazione di acido nitrico e di aria fissa nella combustione di idrogeno e ossigeno divenne dal 1788 sino alla sua morte l’oggetto privilegiato della sperimentazione di Priestley e tra il 1789 e il 1791 presentò tre memorie alla Royal Society di Londra.

Alla vigilia dei Birmingham riots del luglio 1791 Priestley era impegnato in controversie con esponenti anglicani in difesa del suo cristianesimo, nella battaglia politica per l’abolizione del Test Act (nel novembre del 1789 aveva tenuto un sermone sul comportamento che i dissidenti dovevano adottare per ottenere l’abolizione dei Corporation and Test Acts), nel sostegno alla rivoluzione francese – conviene ricordare che febbraio del 1790 era uscita la prima parte di The Rights of Man di Thomas Paine (1737-1809) e nel dicembre dello stesso anno le Reflections on the Revolution in France di Edmund Burke (1729-1797) alle quali Priestley rispose con delle Letters del 1791– e a difendere il flogisto dalla chimica francese. La distruzione della sua abitazione e della sua cappella significò la fine di quel mondo di ricerca e di attività pubbliche in diversi campi che aveva costruito a Birmingham e l’esilio americano gli sembrò l’unica soluzione possibile per sé e la sua famiglia.

The Malignant old Tartuff of Northumberland, Pennsylvania

Filadelfia divenne la città di riferimento nella nuova patria ma come ho accennato sopra Mary Priestley Wilkinson, timorosa per la sorte dei figli, scelse di vivere nella piccola cittadina di Northumberland dove Priestley costruì la sua abitazione e allestì il suo nuovo laboratorio, con il sostegno di amici americani e europei, poté quindi utilizzare strumenti e vetreria fabbricati localmente o provenienti dall’Europa.

Agli inizi del suo soggiorno s’inserì nel dibattito politico statunitense tra federalisti e democratici ma nel 1794 William Cobbett (1763-1835), giornalista inglese emigrato e noto con lo pseudonimo di Peter Porcupine, pubblicò un fortunato opuscolo di Observations on the Emigration of Dr. Joseph Priestley, nel quale attaccò duramente Priestley, ritenendolo responsabile indiretto dei Birmingham Riots, e di essere un propagandista della Rivoluzione francese, ossia un giacobino. La distruzione della Meeting House di Priestley a Birmingham veniva qualificata come un atto di non grande conseguenza perché era un tempio di sedizione e infedeltà [Cobbett, 1794].

Queste Observations e attacchi sui giornali costrinsero Priestley – chiamato old Tartuff – a rispondere alle accuse di giacobinismo con le Letters to the Inhabitans of Northumberland (1799). Temé anche di essere considerato un ‘Alien’, quindi a rischio di espulsione, per questo dichiarò che «my library and philosophical apparatus are, without boasting, superior to any thing of this kind in this country, and of much more value than my house» [Priestley, 1799, p. 4].

Nelle Letters chiarì che tra le sue pubblicazioni in Inghilterra ben poche erano relative alla politica, mentre quelle negli USA riguardavano solo la teologia e la scienza. Vale la pena di segnalare che un argomento usato contro l’accusa di essere un giacobino riguarda la sua attività scientifica perché «In philosophy I am combating the principles of French chemistry; and as every thing that is French is now unpopular, the Federalists may be expected to wish me success» [Priestley, 1799, p. 17]. Conviene sottolineare che anche Priestley usa l’espressione ‘chimica francese’, non parla di chimica nuova.

Queste rinnovate controversie sfociarono nella sua decisione di assumere un atteggiamento di grande prudenza, e di abbandonare il terreno della politica.

Nel decennio americano non diminuì il suo tasso di produttività letteraria, pur soffrendo della ridotta possibilità di quegli scambi con amici e colleghi che avevano caratterizzato la sua vita a Birmingham. Ci si trova di fronte ad un diluvio di opere e saggi, che sono ricompresi in tre settori principali, ossia storia sacra, apologia del cristianesimo, scienza sperimentale, mentre sono scomparsi gli incendiari sermoni politici e religiosi che avevano contribuito alla creazione dell’immagine di gunpowder Joe.

Nel 1790 aveva scritto che la «old age is narrative» perché tra tutti i generi di creazione letteraria la storia è quella che meglio si adatta ai periodi più tardi della vita quando i «powers of invention» diminuiscono e quelli della riflessione o quanto meno la disposizione a riflettere aumentano e se questo è anche il suo caso dichiara di essere ben lieto di avere davanti la prospettiva di un impegno nella redazione di una storia del cristianesimo. Queste affermazioni si ritrovano nella Premessa a A General History of the Christian Church to the the fall of the Western Empire che aveva pubblicato in due volumi a Birmingham nel 1790 e che ristampò a Northumberland nel 1803 e nel 1804. La storia della chiesa cristiana antica aveva uno scopo polemico, perché era rivolta contro The History of the Decline and Fall of the Roman Empire (1776-1788) di Edward Gibbon (1737-1794) che aveva fatto maturare un’impressione negativa della nascita e sviluppo del cristianesimo, uno scopo pedagogico in quanto destinata ai più giovani e in questa History le vicende del cristianesimo erano inserite nel contesto storico mentre tutto ciò che aveva sapore di fiaba era stato omesso.

Dopo l’esilio Priestley riprese il progetto della sua General History: a Northumberland, oltre alla ristampa della parte antica, scrisse la storia della chiesa cristiana from the Fall of the Western Empire to Present Times che apparve in quattro grossi volumi (1802-1803) con la dedica a Thomas Jefferson (1743-1826). È una storia monumentale per dimensioni scritta da un cristiano unitariano, sociniano collegata alla incendiaria History of the Corruptions of Christianity (1782) perché ne offriva il quadro generale di riferimento [Abbri, 2017].

L’ultima opera da lui pubblicata in Inghilterra sono dei Discourses on the Evidence of Revealed Religion (1794) che hanno lo scopo di illustrare l’evidenza dei miracoli che hanno accompagnato la missione divina di Mosè e Cristo. Il cristianesimo non è una favola astutamente costruita, ma si basa su «fatti» che non possono essere ignorati perché in tal caso si dovrebbe abbandonare la fiducia nella storia e nelle testimonianze umane. Priestley, sostenitore di un necessitarismo assoluto derivato da Hartley e da Thomas Hobbes, salutò l’Inghilterra con un volume di discorsi che aveva lo scopo di dimostrare il carattere divino delle missioni di Mosè e Cristo, pur alla luce della convinzione razionale che l’analisi di ogni circostanza storica di relazioni tra Dio e l’uomo deve essere assolutamente scrupolosa [Priestley, 1794b, p. vii-viii].

Nel 1796 a Filadelfia pronunciò nella Chiesa degli Universalisti dei Discourses Relating to the Evidences of Revealed Religion che vennero pubblicati in due corposi volumi nella città americana nel 1796 e nel 1797. Si tratta di lavori di apologia della tradizione mosaica e della rivelazione cristiana nei quali considera con attenzione il tema della superiorità delle concezioni e istituzioni mosaiche rispetto a tutte le altre concezioni antiche. Nel secondo volume il saggio più ampio e dettagliato è dedicato a principi e prove del mahometanism e la conclusione è che la religione di Gesù risulta decisamente superiore [Priestley, 1797a, p. 243-380]. Sempre nel 1797 pubblicò un opuscolo dal titolo An Outline of the Evidences of Revealed Religion [Priestley, 1797b].

L’apologia della sapienza mosaica impegnò Priestley nella redazione di un’opera dietro l’altra. Nel 1803 pubblicò un’operetta su The Originality and Superior Excellence of the Mosaic Institutions Demonstrated e secondo lui l’evidenza del carattere divino della missione di Mosè è tanto convincente quanto quella di Gesù per cui i due sistemi del giudaismo e del cristianesimo sono così connessi che è impossibile rigettare l’uno e mantenere l’altro e si tratta di affermazioni che colpiscono non poco [Priestley, 1803a, p. III]. Nel 1804 uscì, postumo, un volume su The Doctrines of Heathen Philosophy compared with those of Revelation che contiene una storia critica della filosofia greca classica ed ellenistica e grazie al quale si ha la conferma che Priestley riteneva le filosofie orientali e il platonismo responsabili delle corruzioni del cristianesimo, pertanto nutrì poco entusiasmo per il mondo greco e la filosofia classica.

Il lavoro in India e a Calcutta di Sir William Jones (1746-1794), orientalista e linguista che era stato amico di Priestley, sui testi in sanscrito, e in particolare la sua edizione degli Institutes of Hindu Law: or the Ordinances of Menu (1794), gli fornì conoscenze sulla filosofia e religione indù e Priestley non si lasciò sfuggire l’occasione, nel 1799, di pubblicare un volume dal titolo A Comparison of the Institutes of Moses with those of the Hindoos and Other Ancient Nations che contiene una nuova difesa del giudaismo.

Questi sommari riferimenti valgono a mostrare che a Northumberland fu altamente produttivo nel suo intento di difesa del cristianesimo in tempi exceedingly calamitous, soprattutto nell’affermare il legame tra cristianesimo e giudaismo, nel dimostrare la superiorità delle leggi mosaiche su tutte le altre civiltà antiche occidentali e orientali.

Quello che sorprende è che a questa massiccia produzione storica, teologica e apologetica affiancò una produzione scientifica non meno impressionante dal punto di vista quantitativo. Il decennio americano vide la pubblicazione del maggior numero di saggi scientifici da parte di Priestley. Si tratta di contributi brevi – il progetto di pubblicare un settimo volume di Experiments and Observations rimase tale – e conviene ricordare che aveva difficoltà a trovare una sede editoriale per i suoi lavori che apparvero per lo più sul New York Medical Repository, dove vennero pubblicati dal 1799 al 1802 saggi e lettere contenenti resoconti di esperimenti in favore del flogisto, obiezioni alla teoria antiflogistica e risposte ai suoi Antiphlogistian Opponents. Le Transactions dell’American Philosophical Society di Filadelfia furono un altro luogo di pubblicazione delle sue ricerche e nel 1802 e 1803 potette pubblicare anche sul Journal of Natural Philosophy, Chemistry and the Arts, ossia sul Nicholson’s Journal di Londra.

Conviene prendere in considerazione qui alcune opere in forma di opuscolo che apparvero dal 1793 al 1803 e nelle quali si trovano sezioni uguali, riprodotte da un testo all’altro. Priestley ricorse spesso alla strategia di ripubblicare in tempi e sedi editoriali diversi i resoconti di uno stesso insieme di esperimenti. Era convinto che i suoi critici non avessero prestato sufficiente attenzione alla sua narrazione, da qui la necessità di una ristampa di testi già editi.

Nel 1793 pubblicò a Londra degli Experiments on the Generation of Air from Water to which are prefixed Experiments relating to the decomposition of Dephlogisticated and Inflammable Air che erano dedicati agli amici della Lunar Society di Birmingham. Nel Preface confessa di avere scelto la forma dell’opuscolo perché è venuto a conoscenza che la Royal Society di Londra ha respinto un candidato meritevole per ragioni politiche, ribadisce di appartenere con orgoglio alla minoranza dei Friends of Liberty, presume quindi che l’istituzione scientifica londinese non gradisca più sue comunicazioni. Questa scelta editoriale chiarisce la situazione di Priestley a Clapton, lontano dagli amici di Birmingham, non più gradito all’anglicana Royal Society perché motivo di imbarazzo politico. Sul piano strettamente scientifico afferma di non avere nessuna difficoltà a spiegare gli esperimenti dei francesi facendo ricorso alla «received doctrine of phlogiston» [Priestley, 1793, p. VII-IX], che era una dottrina specifica di Priestley, non certo quella dei flogististi francesi o tedeschi. L’opuscolo contiene la ristampa di un saggio sulla combustione dell’ossigeno e dell’idrogeno, originariamente pubblicato nel 1791 sulle Philosophical Transactions della Royal Society mentre la parte nuova riguarda esperimenti di generazione di aria dall’acqua, un argomento del quale si era occupato in saggi pubblicati nel 1783 e nel 1785. Le conclusioni sul flogisto sono quelle illustrate negli Heads, alle quali ho accennato sopra, che furono pubblicati sempre a Londra l’anno successivo.

Nel 1796 a Filadelfia pubblicò un opuscolo dal titolo Considerations on the Doctrine of Phlogiston, and the Decomposition of Water che è dedicato a quegli scienziati francesi sopravvissuti alla rivoluzione, con l’eccezione quindi di Lavoisier, che avevano confutato nel 1788 l’Essay on phlogiston (1787) di Kirwan, e la dedica ha un tono che merita di essere sottolineato. In precedenza, Priestley aveva sempre indicato che i contrasti interpretativi, il confronto tra le ipotesi costituivano una strada privilegiata per giungere alla verità, nel 1796 constata che la gran parte dei chimici ha adottato la chimica francese ma scrive che «no man ought to surrender his own judgement to any mere authority, however respectable». Il regno della chimica francese non deve assomigliare a quello di Robespierre e si augura che i pochi rimasti fedeli al flogisto vengano convinti attraverso la persuasione e non resi silenti attraverso il potere. Se riusciranno a convincerlo come hanno fatto con Kirwan «there will be no Vendée in your dominions» [Priestley, 1796a, p. V-VII]. La dedica termina con un auspicio del trionfo della verità e della pace, nell’interesse della filosofia e dell’umanità, ma Priestley presenta sé stesso come un combattente quasi isolato e timoroso che un potere scientifico e politico venga esercitato su di lui al fine di tacitarlo, e su questa immagine da lui costruita tornerò nella Conclusione.

Di queste Considerations esistono sia una versione di Filadelfia, stampatore Thomas Dobson del 1796 sia una versione, sempre del 1796, di Londra, ristampata da Joseph Johnson [Priestley, 1796b] [Braithwaite, 2003], e queste versioni confermano che Priestley era intenzionato a prendere parte al dibattito scientifico come aveva fatto in passato. Non a caso queste Considerations furono tradotte in francese nel 1798 con lunghe osservazioni critiche da parte di Pierre-Auguste Adet (1763-1834) [Priestley, 1798]. Nella Introduction offre un quadro di una chimica che ormai ha adottato il nuovo sistema, e come sostenitore del vecchio sistema ha poche aspettative di essere pazientemente ascoltato ma non avendo motivo di cambiare la sua opinione, ed essendo convinto che la discussione libera è sempre favorevole alla causa della verità, si rivolge al mondo filosofico non per presentare qualcosa di nuovo, ossia il resoconto di nuovi esperimenti, ma per offrire l’opportunità di riconsiderare le sue passate osservazioni contenute in parecchie pubblicazioni che non sono state ben studiate o ben comprese.

Le Considerations sono costituite da tre sezioni, dedicate rispettivamente alla composizione dei metalli, alla composizione e scomposizione dell’acqua e ad alcune obiezioni alla teoria antiflogistica. La prima sezione si apre nel nome di Johann Joachim Becher (1635-1682) e Stahl, è volta a confermare che i metalli sono dei composti, non degli elementi come vuole la nuova teoria, e Priestley scrive che il precipitato per sé, se ben fatto, viene ridotto a mercurio senza produrre aria, lo stesso vale per il minio e questo accade perché hanno bisogno di acqua, che è la base di tutte le arie [Priestley, 1796b, p. 41]. Per il lettore odierno è difficile comprendere come in una riduzione di ossidi nell’apparato pneumatico con mercurio non si osservi la liberazione di aria; in questo caso è probabilmente il pregiudizio dell’acqua come elemento dei gas che impedisce a Priestley di vedere quelle arie che compaiono per lui solo in presenza di acqua. Ribadisce quindi un concetto elaborato sin dal 1772, ossia quello di flogisticazione e deflogisticazione dell’aria, anche se ora è costretto a tener conto del ruolo dell’acqua. Nella seconda sezione conferma le sue idee sulla combustione di idrogeno e ossigeno, ossia che «a highly phlogisticated nitrous acid is instantly produced» [Priestley, 1796b, p. 51]. Da qui l’affermazione nella terza sezione che l’azoto o aria flogisticata non è un elemento ma un composto di flogisto e aria deflogisticata.

Sempre nel 1796 a Londra uscì un opuscolo contenente degli Experiments and Observations relating to the Analysis of Atmospherical Air, con l’aggiunta dei Farther Experiments relating to the Generation of Air from Water, ossia due memorie che Priestley aveva letto nel febbraio del 1796 all’American Philosophical Society che furono pubblicate solo nel 1799 nel volume IV delle Transactions di questa istituzione. L’opuscolo era una sorta di preprint che era stato stampato a Londra dal fedele Johnson per favorirne la circolazione [Priestley, 1796c]. Negli Experiments il tema centrale è la difesa della flogisticazione dell’aria, quindi del flogisto come principio di infiammabilità che unendosi ad una parte dell’aria deflogisticata forma quella flogisticata. Priestley riporta esperimenti con un gran numero di sostanze differenti, dalle ossa rese nere per combustione al ferro, allo zolfo e ai fiori, e gli esperimenti col ferro danno risultati difficili dato il comportamento di questo metallo e dei suoi ossidi.

Nel 1797 a Filadelfia il tenace, instancabile Priestley pubblicò un altro opuscolo contenente delle Observations on the Doctrine of Phlogiston and the Decomposition of Water. Part II e nella Introduction si ascrive il merito di avere richiamato una considerevole attenzione sulle due opposte teorie chimiche, desidera tenere viva questa attenzione, nonostante che la sua distanza dal centro della informazione filosofica lo ponga in una posizione di grande svantaggio, e saluta con piacere le notizie che in Germania e in Inghilterra esistono gruppi di chimici che sostengono il flogisto e che nella stessa Francia è apparsa di recente una pubblicazione contro la nuova teoria. Riconosce che alcune sue conclusioni possono essere dovute a imprecisioni ma ribadisce che nessuno ha fatto così tanti esperimenti come lui compiendo un numero così limitato di errori, che sono relativi non alle opinions ma al report of facts. E sottolinea di nuovo il ruolo giocato dalle piccole differenze di circumstances che possono sfuggire all’osservatore e sfociare in errori [Priestley, 1797c, p. 3-6].

Priestley riporta esperimenti sull’azione degli acidi vitriolico e marino sul ferro, sull’ossido di ferro – faceva esperimenti su un metallo complicato come il ferro che subisce l’azione combinata dell’umidità, dell’anidride carbonica e dell’ossigeno atmosferico, producendo un ossido ferrico idrato – sulle calci di mercurio mentre la sezione IV e ultima è dedicata alla composizione e scomposizione dell’acqua e afferma di essere in grado di produrre acqua priva di acido ma con produzione di aria flogisticata, dunque la composizione chimica dell’acqua non è confermata [Priestley, 1797c, p. 34].

Nel 1800 uscì a Northumberland un volumetto dal titolo The Doctrine of Phlogiston established and that the Composition of Water refuted che venne ristampato con aggiunte nel 1803. È l’ultima opera chimica di Priestley e contiene una apologia della sua dottrina del flogisto. Include la ristampa della dedica agli antiflogististi francesi già presente nelle Considerations del 1796, seguíta da una seconda lettera ai medesimi nella quale afferma che non è stato convertito, che è lieto di conservare l’ipotesi per la quale combatte e chiude ironicamente auspicando che rivoluzione politica in Francia sia più stabile della rivoluzione chimica [Priestley, 1800, p. xiii]. Le differenze tra le due edizioni riguardano una sezione nuova dedicata alle ricerche dello scozzese William Cruickshank (c.1740-1811?) che nel 1801 aveva identificato una delle arie infiammabili col monossido di carbonio, favorendo così la teoria antiflogistica e spingendo Priestley a confutare questa conclusione in diversi saggi pubblicati dal 1801 al 1803. Un’altra sezione nuova riporta esperimenti di combustione del manganese (sostanza chimicamente interessante ma insidiosa, in quanto capace di produrre una serie di ossidi diversi) in aria infiammabile; nuova è anche la Conclusione.

Conviene richiamare alcune affermazioni della Prefazione dove Priestley ricostruisce le sue vicende dopo il 1791, dichiara di volere ripubblicare alcuni suoi lavori precedenti e presentarli come dimostrazione della dottrina del flogisto e completa confutazione di quella della composizione dell’acqua. Confessa di avere dato la precedenza ai suoi studi teologici perché sono indubitabilmente di maggior importanza per l’uomo che quelli di tipo filosofico, un settore senza dubbio delizioso di speculazione e ricerca, ma nessuna scoperta in filosofia ha un valore reale come quello di portare «life and immortality to light», e ciò accade nel Vangelo e in nessun altro luogo. Riconosce che i filosofi non sempre sono cristiani, ma è convinto che il numero di cristiani veramente filosofici – che significa per lui unitariani – aumenterà col tempo. Invita a leggere la Prefazione al suo sesto volume di Experiments and Observations, e afferma che le sue pubblicazioni dimostrano che il suo tempo è stato dedicato in gran misura alla teologia e pur tuttavia pochi sono stati assidui come lui nelle ricerche fisiche [Priestley, 1800, p. v-x]. Nella Prefazione alla seconda edizione Priestley afferma perentoriamente che se le calci dei metalli, in particolare quelle del ferro, non sono ossidi perfetti la decomposizione dell’acqua non ha fondamento. I suoi saggi americani, insieme a questo trattato in difesa del flogisto, comporranno un settimo volume dei suoi scritti filosofici, che però non venne mai pubblicato [Priestley, 1803b, p. xix].

La più grande scoperta fatta in chimica è ancora quella di Stahl, ossia del flogisto come componente dei metalli, da qui i suoi esperimenti sui metalli mentre nella Conclusione, oltre a ribadire che il flogisto è un imponderabile come il calore e la luce, indica che l’acqua non è un composto e la sequenza del suo ragionamento merita di essere sottolineata: la formazione di acqua per combustione delle due specie di aria non è stata sufficientemente ripetuta, perché richiede una strumentaria difficile e costosa con la quale non è possibile ripetere spesso gli esperimenti, e in queste circostanze uno sperimentatore non può evitare di sospettare in merito alla precisione del risultato, dunque della certezza della conclusione [Priestley, 1803b, p. 103]. La difficoltà effettiva nel sintetizzare acqua da idrogeno e ossigeno – occorre infatti operare su grandi quantità dei due gas – implica il rifiuto della conclusione di Lavoisier, pertanto per Priestley era più conforme alla sua ideologia democratica accettare la natura elementare dell’acqua, e una teoria basata su un flogisto.

In questo caso scienza e teologia mostrano lo stesso carattere, ossia sono egualitarie perché la scienza può essere praticata anche da chi non è in possesso di una particolare genialità. A ragione Jan Golinski [Golinski, 1992, p. 83-87] ha notato che Priestley detestava la chimica francese perché richiedeva un apparato di strumenti dispendioso e complicato, sottraeva la pratica scientifica da uno spazio sociale e culturale ampio, e la riservava a pochi privilegiati.

Conclusione

I Birmingham riots del 1791 sono anche chiamati i Priestley riots perché Priestley fu l’unico che rischiò di venire ucciso dalla folla al grido di Church and King for ever dato l’odio di natura politica e religiosa che aveva suscitato [Ditchfield, 1991] [Fruchtman, 1983]. Su di lui si era addensato il disprezzo dell’Establishment anglicano ed era più coinvolto politicamente di quanto ammise dopo il 1791: era stato un sostenitore della rivoluzione americana, di quella francese, della piena tolleranza religiosa, dei rights of Man e nel 1780 aveva difeso quel Catholic Relief Act (1778) che aveva attenuato le discriminazioni nei confronti dei cattolici romani e aveva scatenato nel giugno del 1780 i Gordon riots a Londra. Tra i motivi di odio sono anche da annoverare il suo socinianesimo e l’appartenenza all’ala più radicale del dissenso religioso: Priestley rappresenta un riferimento decisivo nella storia dell’unitarianismo del Settecento, il flogistista e gunpowder Joe non devono oscurare il fatto che era un pastore e un teologo.

Gli eventi del 1791 segnarono una fase decisiva di svolta perché in America Priestley, pur conservando piena fiducia nella provvidenza divina, si fece carico del compito pastorale di difendere e diffondere il vero cristianesimo a fronte di un mondo che abbandonava la religione. Insieme agli scritti in difesa del flogisto, nel 1794 pubblicò a Filadelfia delle Observations relating to the General prevalence of infidelity, nel 1796 delle Observations on the increase of Infidelity, e un discorso su Unitarianism explained and defended, confermando così che nel suo pensiero teologia e scienza sono inestricabilmente unite. L’apologia della vera religione cristiana fu un tema centrale della sua attività intellettuale nel periodo americano.

Nel 1802 pubblicò su «The Medical Repository» delle Miscellaneous Observations relating to the Doctrine of Air nelle quali forniva il resoconto di alcuni esperimenti e scriveva:

Indeed, a knowledge of the elements which enter into the composition of natural substances, is but a small part of what is desiderable to investigate with respect to them, the principle, and the mode of their combination: as how it is that they become hard or soft, elastic or non-elastic, solid or fluid, &c. &c. &c is quite another subject, of which we have, as yet, very little knowledge, or rather none of all [Priestley, 1802, p. 266].

Le prime righe di questa citazione descrivono la chimica di Lavoisier, mentre il resto conferma che Priestley pensava le sue ricerche filosofiche sull’aria come qualcosa di ben più ampio da un punto di vista tematico. Su immagine e fine del sapere chimico il dissenso restava irriducibile perché per lui l’indagine filosofica aveva anche una dimensione metafisica e teologica. Le sue concezioni teologiche non spiegano l’interpretazione dei fenomeni di ossidazione del ferro ma la conservazione della concezione del ferro come composto di una terra e flogisto o dell’idea dell’acqua come elemento, ossia della tradizione stahliana, erano la base di una filosofia che aveva lo scopo di rafforzare la religione naturale e quella rivelata. La chimica francese gli appariva troppo modesta e limitata nelle sue implicazioni metafisiche perché non parlava più dei processi voluti da Dio per mantenere l’equilibrio della natura tra fenomeni di flogisticazione e deflogisticazione dell’aria, mentre i suoi philosophical studies erano indirizzati verso l’apologia della rivelazione cristiana.

Ben presto negli USA Priestley cessò di essere un filosofo impegnato in battaglie democratiche pubbliche, l’uomo che gli avversari avevano soprannominato the malignant old Tartuff of Northumberland si dedicò con le sue opere storiche e teologiche alla difesa del cristianesimo. Nel dicembre del 1813 John Adams (1735-1826) scrisse a Thomas Jefferson affrontando questioni religiose e affermò «Oh! That Priestley could live again!», e questa esclamazione testimonia quanto la teologia fosse stata centrale nella sua vita.

Sul piano scientifico Priestley costruì la sua immagine come quella di un naturalista isolato perché sostenitore di un flogisto a fronte di una nuova ortodossia scientifica, irriducibile nelle sue convinzioni e nelle sue battaglie filosofiche ma timoroso di essere oggetto di azioni repressive anche in campo chimico da parte dei francesi.

In questo caso si assiste ad un mutamento di tipo socio-culturale: in filosofia, col suo necessitarismo, in teologia col suo unitarianismo, in politica col suo radicalismo liberale Priestley occupò sempre il lato eterodosso di ogni questione ma in scienza dal 1767 in poi fu al centro dei capitoli più innovativi della filosofia sperimentale del Settecento, ossia elettricità e chimica delle arie, un protagonista, un punto di riferimento, ammirato e stimato in tutt’Europa.

I Birmingham riots dimostrarono che in Inghilterra le controversie religiose avevano più forza e impatto pubblico della scienza e il mondo di Priestley crollò sotto la spinta della sommossa popolare contro i dissidenti e i radicali. Nel contesto americano egli continuò ad occupare teologicamente il lato eterodosso ma per la prima volta nella sua vita si trovò anche in campo scientifico dal lato eterodosso, ossia contro la chimica francese, percepita come nuova ortodossia.

Per concludere, in questo saggio ho inteso solo illustrare un capitolo della intricata carriera di Priestley e ho tentato di mostrare che lo storico delle idee, a fronte di un personaggio così stravagante, è obbligato a muoversi su terreni tematici più diversi provando ad individuare quei collegamenti che egli vedeva tra un Dio provvidenziale, benevolo e i fenomeni chimici delle arie.